
E. T. A. Hoffmann: quando l’iperrealismo sfocia nel meraviglioso e nel soprannaturale
20 Marzo 2017
«Fino a quando, uomini, adorerete il nulla?»
21 Marzo 2017Vogliono ridurre la fede, e, con essa, anche la Chiesa, ad una realtà puramente umana: questo è l’obiettivo dei preti progressisti e dei vescovi e cardinali modernisti: vogliono abbassare la sfera del divino sempre di più, sino a farla coincidere con l’umano, con la scusa di "umanizzare" il messaggio e di "contestualizzare" il vangelo, Un vangelo con la lettera minuscola, però, perché il vero Vangelo, quello di Gesù Cristo, non è un prodotto di questo mondo: le cose di questo mondo si devono contestualizzare, attualizzare, umanizzare; la Verità divina, no. È quella, e quella resta e resterà, nei secoli dei secoli. Splende immutabile, come il Sole che illumina la terra; non ha bisogno dei nostri ritocchi, dei nostri adattamenti; e non ne abbiamo bisogno neanche noi. Dobbiamo solo imparare ad essere umili, a ricevere la luce nella nostra limitatezza di creature. Ricevere la luce, ripetiamo: non prendere la luce. Noi siamo soliti dire: vado al mare a prendere un po’ di sole. Ma il Sole della Verità divina, non può essere "preso": siamo noi che lo riceviamo. Dietro la pretesa di "attualizzare" e "contestualizzare" il vangelo (lettera piccola), c’è una fondamentale mancanza di umiltà: è l’orgoglio umano che vuole abbassare il Mistero di Dio per poterlo capire, per poterlo maneggiare con disinvoltura, e, se possibile, per poterlo manipolare nel senso che gli fa più comodo. Per esempio, mettendo in discussione i dieci comandamenti, e insinuando che il peccato, in fondo, non è peccato; che la verità, dopo tutto, ha molte facce; e che vi sono tante strade per arrivarci. Tante strade, tante fedi, tanti sistemi di morale a cominciare da quello soggettivo che ogni essere umano, beninteso moderno ed "emancipato", decide di adottare.
È una sporca, abietta operazione, cinicamente portata avanti da persone che hanno peso la fede, ma non hanno l’onestà di dirlo e di trarne le logiche conseguenze; persone che occupano posti eminenti, eminentissimi, nella gerarchia cattolica; persone che si sono auto-promosse al rango di "veri" cristiani, di cristiani realmente "umili" e coscienti d’essere poveri peccatori: così, con la maschera dell’umiltà, stanno attuando una delle più colossali, delle più sacrileghe mistificazioni che la Chiesa cattolica abbia mai conosciuto nella sua storia due volte millenaria. Si veda il commento di Franco Cardini sul "caso Cinalli" e la sua celebrazione di don Gallo, del papa e di se stesso, soprattutto di se stesso: «Guardate come sono umile, guardate come sono un povero peccatore: però mi sento più vicino alle prostitute e a i transessuali, o al povero senegalese che cerca di rifilarti un braccialetto da pochi euro, che ai marpioni che siedono in parlamento e che si salvano a vicenda le poltrone e gli stipendi, corrotti e condannati, scambiandosi la solidarietà mafiosa da destra a sinistra e viceversa». Chissà se ci credono davvero.
Chissà se realmente pensano di essere più vicini al "vero" vangelo, solo perché anche Gesù non disdegnava di parlare con i peccatori e le prostitute. Non tengono conto, però, di un lievissima differenza: che Gesù era Dio, loro no. Gesù poteva parlare con i peccatori, per convertirli; gli uomini gonfi di vanità, e che si fingono umili, ostentano la loro amicizia coi peccatori solo per far vedere quanto sono di larghe vedute, aperti, dialoganti, progressisti, eccetera. Una differenza da niente, cosa volete. Gesù voleva redimere i peccatori, loro li vogliono assolvere senza bisogno di conversione. Gesù chiamava bene il bene e male il male, chiamava peccato il peccato e invitava i peccatori a cambiar vita; e, per buona misura, esortava a strapparsi l’occhio che era motivo di tentazione; loro, no. In fondo, pensano di essere ancora più misericordiosi di Gesù: perché loro non chiedono nulla ai peccatori; nemmeno a quei peccatori che sono essi stessi. È così comodo, così confortevole: esser peccatori e restar nel peccato, ma giudicare da se stessi di essere a posto con Dio, anzi, col "buon Dio" (perché, quando si vuol fare fesso Dio, ci si perdoni la bestemmia, lo si chiama buono; mentre Gesù diceva all’adulatore: Perché mi chiami maestro buono? Soltanto il Padre è buono. Non si tratta di sentirsi degni d’assoluzione, ma giudicare d’esser già a posto con Dio. È per questo che gl’invertiti di Cinalli salgono al cielo: perché ne sono degni.
In fondo, si sono trovati: i figli del ’68, ormai attempati signori che non hanno mai fatto i conti con le loro utopie sbagliate, e i "cattolici" modernisti, figli di un non meglio precisato "spirito" (con la minuscola) del Concilio (inutile specificare quale: ce n’è uno solo, per costoro, e tutti gli altri venti contano meno di zero), che vorrebbero spingere sempre di più sul pedale della umanizzazione della fede e della secolarizzazione della Chiesa. Il loro ideale è una religione "cattolica" buona per tutti gli usi e per tutte le stagioni, che vada a braccetto con le altre religioni, con gli atei e con gli anticristiani, con la massoneria, con la gnosi, con i radicali, con i fautori del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia, con la cultura edonista e materialista oggi imperante; una fede che non impegni troppo, che non domandi sacrifici, che assolva tutti, che benedica tutti, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, perché, in fondo, chi siamo noi per giudicare? Una religione "cattolica" che non sia troppo cattolica, ad ogni modo, perché Dio, lo dice il suo vicario in terra, certamente "non è cattolico". Una religione "cattolica" che non crei problemi all’uomo moderno, il quale, di problemi, ne ha già tanti, e soprattutto problemi di ego, di superbia, di vanità, di cupidigia e di lussuria; figuriamoci se ha tempo e voglia di caricarsi sulle spalle ulteriori problemi. Figuriamoci se ha voglia di fare i conti con la Croce. La Croce, sta bene nei quadri, nelle sculture: ma con misura, mi raccomando, che non ce ne siamo troppe, di croci, in giro: sarebbe imbarazzante, sarebbe poco laico e poco rispettoso nei confronti delle convinzioni altrui (parola di monsignor Cipolla, vescovo di Padova).
Del resto, anche nell’arte sacra, bisogna fare in modo che le croci perdano il loro carattere specifico, il loro autentico significato religioso, e ciò per vari motivi. Primo, perché se Dio è morto in croce, ed è morto per noi peccatori, allora il peccato esiste, eccome, e noi siamo chiamati a liberarcene, e non a rimanervi immersi fino al collo, dicendo che tanto siamo già redenti. Secondo, perché la croce è simbolo di tristezza, di sofferenza e quel che si vuole è un cattolicesimo allegro, spensierato, un cattolicesimo scherzoso e giocoso, che sdrammatizzi un po’ l’eccessiva serietà della vita. Terzo, perché non è sicuro che Gesù volesse proprio morire sulla croce; forse è stato solo un incidente; forse si poteva evitare; forse, dopotutto, il vangelo sarebbe stato lo stesso anche se Gesù non fosse morto sulla croce, e si fosse limitato a distribuirci le sue perle di saggezza, come tanti altri hanno fatto prima e dopo di lui. Anzi, a pensarci bene, che sia morto per sbaglio è quasi certo: i poveri giudei, come tutti sanno, non c’entrano per niente, i nostri fratelli maggiori sono comunque salvi, perché Dio non si rimangia le sue promesse e il patto di Abramo è sempre valido: e perciò, che bisogno c’era che Gesù morisse? (e poco importa se, per la stessa ragione, tanto vale chiedersi: che bisogno c’era che Gesù venisse, che il Verbo s’incarnasse? Ma siamo poi sicuri che era il Verbo, e non un semplice uomo di buona volontà?). Dunque, bastava che i pagani si facessero giudei, che si circoncidessero e abbracciassero la legge mosaica: e il gioco era fatto. Sì: a ben pensarci, è quasi certo che Gesù è morto per sbaglio. Tutta colpa dei romani, quei cattivi. Il Sinedrio è innocente; e anche la folla che gridava: Crocifiggilo!, è innocente pur essa. Perché, a dirla qui fra noi, non siamo nemmeno certi che i quattro Vangeli, sulla Passione, dicano la verità. Hanno caricato troppo le tinte a danno dei giudei, mettendoli in cattiva luce. I veri responsabili sono stati i romani; e, se questo dai Vangeli non risulta, allora vuol dire che i Vangeli non sono documenti affidabili. Vuol dire che non dicono il vero; non del tutto. E se non dicono il vero su una cosa seria come la Passione, come possiamo credere che dicano il vero su tutto il resto? Infatti — di eresia in eresia, c’è una logica assolutamente rigorosa in tutto questo — il nuovo generale dei gesuiti, un fedelissimo di papa Francesco, Arturo Sosa Abascal, lo ha detto a chiare note: noi non sappiamo quel che Gesù ha realmente detto. E non lo sappiamo, ha proseguito imperturbabile, senza arrossire, il generale dei gesuiti — cioè il numero uno dell’Ordine religioso più potente della Chiesa cattolica — per la semplice e ovvia ragione che, al tempo di Gesù, non esistevano registratori; dunque, non possiamo essere certi che le sue parole siano state fedelmente riportate.
Ah, questa è musica per le orecchie dei "cattolici" modernisti e progressisti: finalmente qualcuno che dica le cose apertamente. Non sappiamo che cosa ha detto e fatto Gesù; e, come logica conseguenza, lasciata all’immaginazione dell’interlocutore, ma in effetti largamente suggerita: non sappiamo esattamente neanche chi fosse. Il Figlio di Dio? La seconda Persona della Santissima Trinità? Eh, via; queste sono nozioni vecchie, superate, da Catechismo di san Pio X. Noi siamo cattolici evoluti, moderni, esigenti: non possiamo accontentarci di queste formulette. Nel dubbio, meglio dire che non sappiamo; meglio sospendere il giudizio, come ci hanno insegnato, e da tempo, i teologi progressisti e modernisti, alla Hans Küng: che cosa sappiamo, in fondo? Bisogna contestualizzare, bisogna interpretare. La vita eterna? Neanche di quella siamo sicuri, almeno non nel senso tradizionale. Si fa presto a dire: la vita eterna. Ma chissà cosa intendeva Gesù, quando parlava di essa? Forse era un simbolo, una specie di allegoria.
Ecco perché la parola d’ordine della neochiesa bergogliana è: partecipazione. L’uomo, il fedele, è sempre più chiamato a "partecipare": perché la fede, e la Chiesa stessa, sono viste essenzialmente in una prospettiva umana, come cose puramente umane. Il fedele, alla Messa, non deve essere come un testimone muto e passivo; deve partecipare. Ma partecipare a cosa? Nella Messa si rinnova il Sacrificio di Gesù: questa è l’essenza della Messa. L’uomo non è chiamato a partecipare, ma a convertirsi e ad aprirsi a questo grande mistero, accettandolo per fede. Oh, certo: per la neochiesa, il "mistero" non è un limite della ragione, è una rivelazione di Dio (rivelazione con la minuscola, però). Lo scrive Paolo Tomatis sul mensile Vita pastorale: che cos’è questa storia del mistero? Un residuo del medioevo, probabilmente. Il mistero non più il Mistero, non è più l’abisso della sapienza e dell’amore di Dio, che noi siamo chiamati ad accettare, senza pretendere di capirlo; no: è la sua manifestazione a noi, senza oscurità, senza cose troppo difficili da comprendere. Basta con le superstizioni del passato: viviamo in tempi grandi e meravigliosi, i tempi della ragione. L’uomo vuol sapere, vuol capire; non vuole essere uno spettatore muto, vuole parlare. È loquace, il cattolico modernista e progressista: ha sempre qualcosa da dire. È loquace quando strige il pugno sinistro e mastica il sigaro in bocca, come don Gallo, intonando le note di Bandiera rossa. Ed è loquace quando improvvisa sermoni sconcertanti, sempre più strani, sempre più ambigui, dal pulpito della Chiesa di Santa Marta, come fa papa Francesco. È loquace perché vuol partecipare, vuol sentirsi protagonista, non gli piace stare in ombra e in silenzio. Non gli piace il silenzio, non ama il raccoglimento: sono cose che sanno troppo di sacrestia. Gli piace la partecipazione alle lotte sindacali, politiche, sociali; gli piacciono le marce coi musulmani, i giudei, i buddisti e i pellerossa; gli piace celebrare la messa insieme ai luterani, e dire ogni bene di Lutero, quel bravo cristiano che ha spinto la Chiesa a rinnovarsi, a essere un po’ più ragionevole. Gli piace applaudire in chiesa, gli piace cantare a gola spiegata, non i soliti canti della Messa, ma quelli nuovi, giovani, moderni, accompagnati con la chitarra, coi tamburelli e con le nacchere.
Ecco da dove viene l’abbassamento dell’arte sacra, della musica sacra, della liturgia, del catechismo, della pastorale, della teologia e perfino del dogma: dalla fregola di abolire la distanza fra Dio e l’uomo, non già elevando l’uomo verso Dio, non spiritualizzando la religione, non rafforzando la fede, ma abbassando Dio al livello dell’umano, eleggendolo a nostro compagno di strada, a fratello maggiore che chiude un occhio, e anche tutti e due, sui nostri peccati, perché è tanto buono e tanto saggio che sa di non poterci chiedere troppo, sa che siamo fragili, e, anche se un tempo tentava di metterci un po’ in riga con la paura dell’inferno, adesso è diventato più ragionevole, più "misericordioso" e in fondo più democratico, si accontenta di un omaggio formale e null’altro: è come un vecchio zio che si prepara a lasciarci l’eredità e, nel frattempo, teme di seccarci con la sua presenza, con la sua malattia, è così discreto e così pieno di delicatezza verso di noi, che si allontana per non infastidirci con eventuali richieste. Invecchiando, il dio della neochiesa si è fatto tollerante e permissivo: scusa i vizi degli uomini perché ha ormai poco da dare. E cosa gli resta da fare, in ultima analisi, visto che tutti gli uomini sono destinati alla salvezza?
C’è solo un piccolo particolare, che i "cattolici" modernisti non hanno considerato, a cominciare dal papa Francesco, e dai vari monsignori Paglia, Galantino, Kasper, nonché dai teologi alla Enzo Bianchi: che un cattolicesimo così, come quello che stanno delineando e proponendo loro, non interessa più a nessuno. Che farsene di una religione senza mistero, una spiritualità senza sacrificio, un cristianesimo senza croce e un giudizio senza peccato? A che serve la misericordia senza la giustizia? Ci sono cento e cento religioni, sette, ideologie e scuole di pensiero che possono soddisfare assai meglio il desiderio dell’uomo moderno di autocelebrarsi, auto-glorificarsi e auto-assolversi da qualsiasi pecca, di quanto non possa fare un simile cattolicesimo evirato e snaturato…
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