
Il loro gioco ormai è chiaro: vanno fermati
22 Febbraio 2017
Credete forse di potervi fare beffe di Dio?
23 Febbraio 2017Credere in Dio, credere in Gesù Cristo, nella società moderna è cosa ardua; almeno così si dice. Non sappiamo fino a che punto fosse facile, o, comunque, assai più facile, in altri temi, per esempio nei secoli dell’Impero Romano, quando, oltretutto, la fede cristiana poteva essere bersaglio di persecuzioni sanguinose in qualsiasi momento, a seconda della politica di un sovrano o del capriccio di un procuratore. Non lo sappiamo, e quindi non siamo in grado di dire se credere fosse cosa più facile nei secoli dell’alto Medioevo, fra una scorreria barbarica e una prepotenza del signore feudale più vicino, per non parlare del cattivo esempio che davamo, così spesso, sul piano morale, il clero e gli stessi vicari di Cristo sulla terra. Oppure se fosse più facile credere durante il Rinascimento, o sotto i rigori della santa Inquisizione, o al tempo della Rivoluzione scientifica, o sotto la ghigliottina egualitaria dei giacobini, o nei quartieri operai, squallidi e disperati, della prima Rivoluzione industriale. Non lo sappiamo, perché non possediamo la macchina del tempo: per cui qualunque affermazione troppo recisa, a questo proposito, rischia di essere poco più che una mera esercitazione retorica.
Certo, sappiamo che, nei secoli passati, i popoli d’Europa vivevano alla luce di una gran fede, sorretti e illuminati da un clero che, pur albergando in sé non poche mele marce, nel complesso è stato all’altezza dei suoi compiti per più di un millennio: difendere le anime dall’errore e mostrar loro la via del paradiso. Il contesto, però, era troppo diverso da quello odierno, così come, senza dubbio, è assai diversa la struttura psicologica delle persone e l’orientamento culturale delle comunità. È impossibile, pertanto – lo ripetiamo — fare un paragone. Sta di fatto che la società europea ha iniziato a muoversi sulla via della secolarizzazione a partire dagli ultimi secoli del Medioevo; ha consumato una rottura silenziosa, e tuttavia più netta, nella stagione umanistico-rinascimentale; ma è solo con l’avvento della Rivoluzione scientifica che il processo è divenuto definitivo e irreversibile, nonché foriero di ulteriori sviluppi, tutti nel segno di un distacco sempre più accentuato degli uomini dalla fede dei loro avi (se poi la fede dei loro avi fosse "semplice", questo è tutto da vedere; così siamo stati abituati a pensare, ma non esistono prove convincenti al riguardo; a noi pare più probabile che la fede sia sempre stata qualcosa di arduo e di complesso, proprio perché qualcosa di estremamente impegnativo). La Rivoluzione scientifica, infatti, ha matematizzato la fisica, e ha trasformato la natura in un immenso laboratorio matematico, ove l’uomo — o meglio, lo scienziato: precisazione non da poco, come è evidente nel pensiero di Galilei, ma anche in quello di Francis Bacon e di Cartesio — ha il dominio assoluto su ogni cosa, e in ogni cosa altro non vede che una sequenza di operazioni matematiche. Per fare un esempio banale: una cicala non è più una cicala, cioè un piccolo organismo vivente, perfetto, armonioso, infinitamente affascinante: è una macchina per produrre suoni; e, per comprendere l’origine di quei suoni, lo scienziato è autorizzato a vivisezionarla, senza scrupoli o rimorsi di sorta. Una cosa sola conta: il risultato, cioè la comprensione del fenomeno-suono. Niente paura, comunque: l’animale non soffre; parola di Cartesio. Come potrebbe soffrire, se è solo res extensa? Un cane, quando sia preso a bastonate, guaisce, sì, ma non soffre; i suoi guaiti altro non sono che i suoi emessi dalle sue corde vocali, come reazione ai colpi di bastone. Solo un meccanismo: molto semplice, in fondo. Si comprende il meccanismo e si è padroni della natura e dei suoi fenomeni. E questo preme allo scienziato: non capire la natura spassionatamente, non riconoscerne il mistero, ma esercitare su di essa tutto il suo dominio, potenziandolo al massimo, per i suoi scopi e per la sua utilità.
Quello che non è soggetto a spiegazione matematica, quello che non risponde al modello matematico, non ha importanza, non interessa: sta fuori del quadro; e il discorso è chiuso. Non esiste altra interpretazione del mondo che sia sensata, se non quella matematica. L’arte, la filosofia, la religione, ogni forma di conoscenza che non risponda al metodo e ai parametri della scienza matematizzata, sono forme di sapere di secondo o terzo ordine: poco più in su della chiromanzia o dello spiritismo. Anche l’affermazione del modello cosmologico copernicano ha contribuito, per la sua parte, al cambio di paradigma: a torto o a ragione, l’ipotesi, sempre più accreditata, che la Terra non sia affatto al centro dell’universo, immobile, ma che sia solo un piccolo pianeta vagante nelle immensità dello spazio, e ruotante intorno a una stella, ha scosso in maniera decisiva le convinzioni teologiche dell’epoca. Dunque, l’uomo non è al centro di ogni cosa? Dunque, Dio non gli ha dato una sede speciale e assolutamente privilegiata? Dunque, potrebbero esservi altre forme di vita, anche senzienti e intelligenti, nella moltitudine dei corpi celesti che il cannocchiale, di colpo, mette sotto lo sguardo degli osservatori umani! È di questi giorni la notizia (febbraio 2017) che una campagna di ricerca congiunta di astronomi americani ed europei ha rivelato l’esistenza, a "soli" diciannove anni luce da noi, di un sistema stellare simile al nostro, con una nana rossa paragonabile al nostro Sole, intorno alla quale orbitano sette pianeti, almeno sei dei quali presentano notevoli somiglianze con la nostra Terra, sui quali la temperatura dovrebbe essere abbastanza simile alla nostra, o paragonabile ad essa, e alla cui superficie potrebbe esservi l’acqua allo stato liquido, cioè distribuita in fiumi, laghi e mari, proprio come qui, da noi. Tutto questo, in teoria, non ha nulla a che fare con la religione; però sorge spontanea la domanda: se quei pianeti fossero abitati, Dio si sarà rivelato anche ad essi? Gesù Cristo si sarà incarnato anche nella forma dei loro abitanti? E noi, allora, noi umani, noi inquilini del pianeta Terra, nella galassia chiamata Via Lattea, non siano dunque le creature solitarie e splendidamente privilegiate che avevamo sempre creduto di essere? Ecco: la difficoltà di credere, per l’uomo contemporaneo, viene anche da qui: dalla scienza, divenuta nemica della fede, e dalla ragione, divenuta capace di pensare la verità solo in termini rigorosamente matematici. È vero, per essa, ciò che risponde alla logica matematica; ma la logica matematica è simile a quella di un gigantesco, sofisticatissimo computer: dobbiamo dunque rivedere anche la nostra idea di Dio, e specialmente di Dio uno e trino, nonché di Dio incarnato per amore degli uomini, e incominciare a pensarlo come un super calcolatore elettronico?
Una volta messe le cose in questo modo, credere in Dio, nel Dio del Vangelo di Gesù Cristo, diventa davvero un’impresa di grande difficoltà. Senza contare la cultura del sospetto, inaugurata da Marx, Nietzsche e Freud: come si fa a credere ancora in qualcosa, dopo quei tre (cattivi) maestri, senza sentirsi dei sempliciotti, dei creduloni, dei babbei? Come si fa a stringere in mano la corona del Rosario, a vedere nell’Ostia consacrata la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo, e a pensare, davanti a una tomba fredda e nuda, che rivedremo i nostri cari defunti, ed essi rivedranno noi, ma rivestiti d’un corpo glorioso, indistruttibile, fatto di luce; e ciò per i meriti della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo, venuto nel mondo per la nostra salvezza? Eppure i nostri genitori, i nostri nonni, lo potevano; e non si sentivano né dei sempliciotti, né dei babbei, né dei creduloni; al contrario: si sentivano figli di Dio ed eredi della sua promessa. Non ci si venga a dire che erano dei contadini ignoranti; primo, perché il contadino sarà anche una persona ignorante, ma certo deve essere, per forza, anche intelligente; secondo, perché non tutti erano contadini, anche nell’Italia rurale di cinquanta o sessant’anni fa; terzo, perché a credere con fede erano pure le persone di cultura, i professori universitari, gli intellettuali, i pensatori, e anche molti uomini di scienza. E allora? Il vero problema non è che noi siamo troppo colti e che apparteniamo a una società troppo sofisticata, ma che noi siano malati di pigrizia e presunzione: un cocktail micidiale. Di pigrizia: perché andiamo a rimorchio delle mode, di quel che fa e dice la maggioranza; e ci portiamo dietro questa pigrizia e questo conformismo anche stando all’interno della cultura cattolica e della Chiesa. Per esempio, ci siamo abituati a dare per scontato di vivere in una società cristiana, e di non dover mai più subire quel che subirono i primi cristiani, cioè le persecuzioni. Anche se le vicende del Messico, della Russia, della Spagna, già nei primi anni del Novecento, e quelle odierne di milioni di cristiani in vaste zone del mondo, dall’Egitto all’India, dalla Nigeria alla Cina, dovrebbero toglierci ogni illusione circa il fatto che l’epoca delle persecuzioni sia finita. E sono state proprio le persecuzioni a rafforzare la fede, perché le persecuzioni sono come il setaccio: vagliano la fede e scremano la massa dei sedicenti cristiani; lasciano i veri credenti da una parte, e i pusillanimi dall’altra. E dopo la pigrizia, la presunzione: ci crediamo talmente intelligenti, talmente colti, talmente smaliziati, che nessuno potrà mai darcela a bere: tanto meno una vecchia storia di un Dio che si fa uomo, muore per amor nostro e risorge il terzo giorno; di una Vergine che dà alla luce un bambino, e che quel bambino è il Figlio di Dio, e Dio lui stesso; e di un Dio che è uno solo, ma in tre persone distinte. Via! Come possiamo ancora credere, noi, a simili storielle, noi figli della cultura del sospetto? Che vadano a raccontarle alle vecchine; che vadano da loro a parlare della vita eterna e della grazia, del peccato e del giudizio, dell’inferno e del paradiso. Ma noi, non ci prendono in giro; a noi nessuno la può dare a bere. Possiamo credere in tante cose, ma sempre e solo secondo ragione: l’unica razionalità ammessa e riconosciuta come tale, quella logico-matematica. Al di fuori di essa non c’è salvezza, c’è solamente il vuoto, il nulla.
Questo, però, è solo un pregiudizio: un pregiudizio moderno. Dobbiamo liberarcene. Esistono molte forme di conoscenza, ed esistono molte maniera di utilizzare la ragione; esistono anche molti modi d’interpretare la natura, e quello matematico è solo uno fra i tanti. Poiché esso ha dato buoni risultati sul piano pratico, lo abbiamo assolutizzato: ma è stato un grave errore. Esso è efficace in determinati ambiti, non in tutti; non è il metodo, il solo veritiero e meritevole della nostra fiducia, Checché ne dicano i vari Kant, Hume e tutti gli altri philosophes illuministi, la verità è che la ragione logico-matematica, il Logos strumentale e calcolante, non sono tutto; ed esistono delle forme di conoscenza superiori alla ragione, e delle forme di razionalità superiori a quella logico-matematica. Non tutto può essere ridotto a matematica, perché non tutto è logica; anzi, la maggior parte delle cose non rispondono a un criterio puramente logico. Perché voi amate i vostri figli? Non c’è una ragione logica; e anche se una frotta di antropologi e di biologi evoluzionisti e positivisti si affretterà a dirvi, col valido rincalzo degli psicologi e degli psicanalisti di osservanza freudiana, che lo fate per assicurarvi una discendenza, ossia una forma d’immortalità, resta inevasa la domanda: ma perché mai è così importante, per l’uomo, l’idea di non finire nel nulla, di continuare a vivere in qualche modo? Stando a quei signori, si tratta di un istinto assurdo, irragionevole. Strana contraddizione: a sentir loro, tutto nella natura risponde a una ragione: a una ragione che si può ragionevolmente spiegare. Spieghino, dunque, questo fatto: che l’uomo, creatura finita e mortale, desidera l’immortalità e l’assoluto. Da dove gli viene un simile istinto? E come mai esisterebbe un istinto che non ha origine da ciò che la natura c’insegna: ossia che tutto nasce e muore, che tutto ha un inizio e una fine? Ecco; il nodo è tutto qui: esiste, in noi, istintivamente, e anteriormente a ogni ragionamento (anteriormente, non in contrasto: non può esservi contrasto con quel che non vi è ancora) una brama di assoluto e d’immortalità, che contrasta con la nostra condizione creaturale, con il nostro statuto ontologico di esseri finiti. Da dive viene, allora; chi ce lo ha messo? È soltanto una nevrosi dovuta all’angoscia della morte? Se così fosse, si dovrebbe ammettere che l’uomo è la più folle e infelice di tutte le creature; che tutta la storia umana altro non è che un errore; e che la natura umana è, in se stessa, uno sbaglio e una macabra ironia. Può essere? Forse: ma si dovrebbe immaginare una immane cospirazione cosmica contro l’uomo; si dovrebbe immaginare che per lui, e per lui solo, tutte le leggi di natura siano state piegate, infrante, capovolte. Invece di lottare per il raggiungimento delle mete possibili, egli si affanna inseguendo l’impossibile. L’uomo, dunque, è la sola creatura folle, irrimediabilmente folle di tutto l’universo conosciuto? Se così è, allora non ha senso neanche porsi tutti questi interrogativi: perché con la follia non si discute; e poi perché i folli non possono né formulare domande ragionevoli, né darvi risposte sensate. Forse, dopotutto è meglio scommettere su Dio, come faceva Pascal; o seguire l’esempio di Sant’Agostino, come hanno fatto generazioni di uomini, ignoranti e colti, intelligentissimi e semplici di cuore. Credo ut intelligam: credo per poter comprendere il mistero di Dio: perché Dio è un mistero, e, se lo si prende di punta, cioè con la sola ragione logico-matematica — come hanno fatto, in fondo, i biblisti e i teologi modernisti, pretendendo di leggere la Bibbia ed il Vangelo come qualsiasi altro libro storico, e con gli stessi metodi d’indagine filologica e scientifica — non si arriva da nessuna parte. No: per poter capire, bisogna prima credere; bisogna prima dire: Io credo, Signore, aiuta la mia poca fede! Poi, illuminati dall’alto, si arrivano a capire le ragioni razionali della fede: intelligo ut credam. Solo così si può spezzare il circolo vizioso del razionalismo presuntuoso e sempre diffidente. Si deve partire da un atto d’umiltà di tutto l’essere, ragione inclusa. A chi gli si abbandona, Dio dà le risposte…
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