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4 Gennaio 2017Gli sproloqui del tuttologo Umberto Veronesi**
Era il 23 giugno 2011, allorché l’oncologo Umberto Veronesi, già ministro della Sanità nel governo Amato II, se ne uscì con la sua memorabile sparata, affermando: Quello omosessuale è l’amore più puro, al contrario di quello eterosessuale, strumentale alla riproduzione. Si trattava di una "risposta" al sindaco di Sulmona, Fabio Federico, che aveva definito l’amore fra persone dello stesso sesso una aberrazione sessuale (per la qual cosa venne insultato da un ragazzo, che poi fu assolto in tribunale, perché gli venne riconosciuto il diritto a reagire contro una frase "omofobica"), e al sindaco di Bologna, Virginio Merola, promotore di una iniziativa che pareva mirata a favorire le coppie sposate rispetto alle coppie di fatto, comprese (ma non solo) quelle omosessuali.
Umberto Veronesi non era ceto nuovo ad intervenire su questo e quell’argomento di attualità, specialmente nell’ambito dei diritti civili e della bioetica. Non è mai stato semplicemente un medico e un oncologo, ma ha sempre voluto essere un personaggio pubblico, discusso e discutibile, che, a sua volta, mette tutti sotto esame e vuol far sapere al mondo come la pensa su una quantità di cose. Il tutto condito da un massiccia dose di narcisismo, dato che innumerevoli volte la sua fotografia è entrata nelle case per mezzo della televisione ed è apparsa sulle pagine dei giornali e sui muri cittadini, con aria compiaciuta e soddisfatta di sé, ed è stata diffusa in svariate campagne pubblicitarie miranti a sensibilizzare l’opinione pubblica su questa e quella cosa, ma specialmente sulla necessità di finanziarie la ricerca scientifica contro il cancro. Per riassumere la sua posizione d’infaticabile attivista, diremo che Veronesi si è rumorosamente schierato per la depenalizzazione delle droghe leggere; per la "difesa" della laicità dello Stato (evidentemente minacciata, secondo lui, dalle oscure forze del clericalismo); per la piena liceità dell’eutanasia e dell’ingegneria genetica, da lui definita una tecnica estremamente intelligente per combattere la fame nel mondo; contro le intercettazioni telefoniche, in via di principio; convinto della superiorità della donna; contro la pena di morte e contro l’ergastolo; contro qualsiasi pratica che infligga sofferenze agli animali; infine, come abbiamo visto, contro l’idea che l’amore omosessuale abbia qualcosa di sbagliato o che abbia qualcosa in meno dell’amore fra l’uomo e la donna. A ciò si aggiunga che è stato "ambasciatore" del movimento internet per la pace, fra le cui finalità vi è quella di avanzare proposte per l’assegnazione del Nobel per la pace. Riassumendo: laicista, scientista, garantista, animalista, femminista, omosessualista, filantropo, buonista, tollerante, permissivo, progressista, libertario e liberista: un vero concentrato della cultura radical-chic che è diventata il vestito nuovo dell’imperatore per tutti gli orfanelli dell’estinta cultura (e speranza messianica) marxista: vecchio militante socialista, aveva fatto il suo esordio in politica sotto l’egida di Bettino Craxi, venendo poi eletto come senatore, nel 2008, nelle file del Partito Democratico. A riprova del fatto, se ce ne fosse bisogno, che quest’ultimo altro non è che una estensione del Partito Radicale, una specie di Partito Radicale di massa, che, non avendo più rivoluzioni da promuovere, né ribaltamenti di classe da realizzare, si è gettato nella lotta per i diritti civili, per la difesa dell’ambiente e delle minoranze (a costo di opprimere e discriminare le maggioranze), per la delega dei pieni poteri alla scienza, quale nuova fonte del diritto e quale unica speranza di salvezza per affrontare e risolvere i nodi della società post-moderna e, nello stesso tempo, per la promozione e l’integrazione (ammesso che sia ciò che essi vogliono realmente) di coloro i quali, in passato, si sono visti, o si sono sentiti, discriminati, a causa dei loro comportamenti, delle loro scelte e dei loro stili di vita.
L’affermazione circa la superiorità dell’amore omosessuale rispetto a quello eterosessuale, in quanto basato su un supposto "disinteresse", su una supposta "gratuità", comunque, merita di essere discussa, perché riteniamo sia necessario controbattere vigorosamente a tutte quelle dichiarazioni, mediante le quali la cultura oggi dominante — globalista, scientista, meccanicista, riduzionista, materialista, edonista, individualista, nonché velleitariamente e incoscientemente progressista -, persegue l’indottrinamento, occulto o palese, della società, onde evitare che il silenzio generi una forma di assuefazione e che le giovani generazioni, alle quali è stato sottratto, con una operazione unica nella storia per cinismo e spregiudicatezza, il loro retroterra culturale, e, con esso, la conoscenza delle proprie radici e l’amore per la propria identità, ricevano l’impressione che opinioni come quella espressa da Umberto Veronesi siano l’espressione di ciò che di meglio, di più alto, di più maturo, la saggezza degli adulti e degli anziani (Veronesi aveva ottantasei anni quando fece quella sparata sull’amore gay, ed è morto a quasi novantuno) ha da trasmettere loro.
Cominciamo col dire che, senza una definizione, anche minima, di cosa s’intenda per "amore", qualsiasi discorso sulle sue manifestazioni pratiche è destinato a scivolare nella più imbarazzante ambiguità. Tuttavia, non crediamo che si sia trattato d’una banale "svista", o di una semplificazione in buona fede, da parte del dottor Veronesi; crediamo che essa, coscientemente o no, rientri in quel progetto, questo sì, voluto e deliberato, per destrutturare il linguaggio e per portare l’opinione pubblica, attraverso la distruzione della lingua, a non saper più parlare, né capire, né ragionare, insomma a prendere per buona qualunque fesseria venga presentata con una certa sicumera e "garantita" dal contesto ufficiale o ufficioso cui appartiene, ad esempio il fatto di essere una comunicazione a mezzo televisivo: ricordiamo, con il buon vecchio McLuhan, che, in questo ambito, il medium non è lo strumento della comunicazione, ma è proprio, esso stesso, il messaggio che "passa" ai telespettatori; e un discorso assai simile si può fare per il giornalismo, la letteratura, il cinema, e, naturalmente, la politica e la pubblica amministrazione. In altre parole: se si parla direttamente dell’amore omosessuale, e lo confronta (per proclamarne la superiorità) con quello fra uomo e donna, si segna un punto di vantaggio, giocando, per così dire, d’anticipo: vale a dire, si salta completamente un passaggio, quello di mostrare, o, almeno, di discutere, se sia appropriato parlare dell’attrazione fra due persone dello stesso sesso come di una forma di amore normalissima, e, magari, come sostiene Veronesi, perfino "superiore".
Dunque, iniziamo col dire che cosa l’amore non sia. Non è la stessa cosa del sesso, tanto per cominciare: perché l’amore comprende il sesso, ma non è detto che lo comprenda; e, infatti, non dovrebbe comprenderlo in una quantità di casi, ad esempio nel rapporto fra madre e figlio, fra padre e figlia, o fra adulto e bambino, fra il sacerdote e le sue pecorelle, o fra essere l’umano e l’animale. A meno di voler dire, come peraltro oggi si dice frequentemente, e come, senza dubbio, pensava anche il dottor Veronesi, che l’amore è auto-evidente e che giustifica tutto, o quasi tutto, perché, in se stesso, è una forza della natura, ed è anche "innocente". Una tipica deformazione russoviana: la natura è buona, la società è cattiva, perversa e corruttrice (ah, Rousseau, Rousseau, quanto male hanno fatto le tue idee balorde sulla natura umana, e quanto ne continuano a fare, a duecentocinquanta anni di distanza: sei stato perfino più dannoso di Marx, Lenin, Stalin e Hitler, che pure, di male, ne hanno fatto sin troppo, però relativamente circoscritto nel tempo). Viceversa, il sesso può fare benissimo a meno dell’amore, ma, in tal caso, l’amore, appunto, non c’entra niente: e allora staremmo parlando di un’altra cosa. Se ci limitiamo a parlare dell’amore, dobbiamo per forza connotarlo come un sentimento, cioè come un moto di natura spirituale (cosa che, senza dubbio, non piace ai materialisti come Veronesi). E questo è il primo punto.
Il secondo punto è che risulta contraddittorio connotare un moto di natura spirituale in base al genere sessuale di coloro che lo provano. Dunque, non ha senso parlare dell’amore omosessuale, e tanto meno lodarne la superiorità, a paragone dell’amore eterosessuale: questo è il tipico caso in cui la malizia della contro-cultura rancorosa delle minoranze si contraddice clamorosamente; infatti, se l’amore è l’amore e basta, perché mai bisognerebbe classificarlo in base al sesso delle persone? Ma questo è in contraddizione con la tesi di chi vorrebbe proclamare la pari dignità, o perfino la superiorità, dell’amore delle persone omosessuali: cosa che equivale a "bollarlo", e sia pure in positivo, ribadendo, con ciò, la sua "diversità", e, quindi, smentendo la pretesa di volerlo considerare "normale" quanto l’amore eterosessuale. In realtà, è facile vedere da dove, e perché, nasca la contraddizione: e la chiave per comprenderlo si trova proprio nella dichiarata "superiorità" dell’amore omosessuale, con la motivazione che esso, non avendo quale scopo la riproduzione, sarebbe per ciò stesso più "puro". Più puro, meno puro: questo è un gioco di potere; e chi ragiona in questo modo (ammesso che stia ragionando), non ha di mira, semplicemente, la rivendicazione di una pari dignità per il "diverso", ma la pretesa di un ribaltamento epistemologico dell’intero orizzonte socioculturale. Quel che egli vuole, non è la pari dignità, ma l’affermazione della superiorità del "diverso" e della inferiorità del "comune"; principio che, se passasse — e, in effetti, sta già passando, anche a livello legislativo — metterebbe tutti gli assi in mano alle minoranze e lascerebbe la maggioranza del tutto inerme e indifesa davanti alla loro aggressività; non solo, la lascerebbe anche umiliata e diffamata sul piano psicologico e culturale. In altre parole, si giungerebbe al punto che i "normali" dovrebbero vergognarsi di essere tali, e porsi in un atteggiamento di sudditanza verso i "diversi", tanto più che questi ultimi, poverini, sono stati troppo a lungo discriminati e perseguitati (magari qualche secolo fa…), per cui all’umiliazione di sentirsi "inferiori", i "normali" dovrebbero farsi carico anche di un complesso di colpa praticamente inestinguibile. Infatti, come si potranno risarcire le minoranze per tutto quel che hanno sofferto nel passato? Il passato è passato; e, se si vuol tenere la piaga perennemente aperta, quel che si ottiene è di porre il presente in una condizione di ricatto permanente. È una tecnica già sperimentata, ad esempio dal sionismo, che ha sfruttato senza ritegno il dramma sofferto dagli Ebrei sotto il regime nazista e durante la Seconda guerra mondiale, per ottenere che il mondo intero si inchini davanti ad esso e che si schieri sempre e comunque dalla parte di Israele in tutte le questioni internazionali, anche quando ha palesemente torto marcio. Ma che importa? Chi ha sofferto, deve essere risarcito all’infinito; e, se non proprio lui, devono esserne risarciti gli eredi, i successori, i discendenti, fino alla millesima generazione (anche se le ultime generazioni non hanno sofferto affatto).
Punto terzo: il fatto che l’amore fra uomo e donna — a noi non piace chiamarlo "amore eterosessuale", perché equivale a porlo sullo stesso piano delle altre forme di "amore" propagandate dalla ideologia gender, compreso quello "transessuale", cosa che, per molte ragioni, ci sembra non solo sbagliata, ma delirante — ha come effetto la riproduzione, non significa che sia meno puro di un amore sterile; al contrario. È nella procreazione e nella cura dei bambini che l’amore dei genitori si raffina, si sublima, si completa, si spiritualizza; l’amore fra un uomo e una donna che, per principio, non vogliono avere figli, si riduce ad una relazione chiusa, asfittica, ripiegata su se stessa; si tratta di una scelta legittima, ma non ci si venga a dire che essa è più "pura" dell’altra. Se così fosse, allora basterebbe che l’uomo si faccia sterilizzare, o che la donna si faccia allacciare le tube, e il loro amore diventerebbe automaticamente più "puro" di quello di un marito e una moglie che restano aperti alla procreazione. Tutto ciò è aberrante, e nasce, di nuovo, da una falsificazione del linguaggio: che cosa significa "puro", per il dottor Veronesi? Si direbbe che, per lui, "puro" equivalga a "disinteressato": ma che cosa significa disinteressato? Che non ha di mira altro che se stesso, e che non pone nulla al di sopra di se stesso? In al caso, potremmo definire puro anche l’amore di Hitler per la Germania e per la razza ariana; anche l’amore di Robespierre per la virtù e la libertà; e perfino l’amore di uno psicopatico per la persona che ha sequestrato e della quale abusa, nella sua ossessione erotica. Nossignori: "puro", nella nostra cultura, significa, e ha sempre significato, un’altra cosa: e cioè nobilmente benevolo verso l’altro, senza secondi fini. La nascita di un bambino non è un secondo fine per un uomo e una donna che si amano: è il naturale e perfetto prolungamento e completamento del loro amore. No, le cose non stanno come ha detto Veronesi; ci spiace polemizzare con un defunto, ma, oggi, ci sono moltissime persone, vive e vegete, e, spesso, molto aggressive, che la pensano esattamente come lui, forse anche perché suggestionate dalle sue parole, che godevano del peso del suo prestigio e della sua autorità. In questo senso, è stato uno dei tanti cattivi maestri della modernità; ha detto una cosa semplicemente assurda, e, in una cultura sana e cosciente di sé, la sua sparata non sarebbe passata liscia; vi sarebbe stata una forte protesta. Ormai, però, regna il conformismo intellettuale più avvilente, e il politically correct impone le sue regole di ferro.
D’altra parte, non si deve credere che quella sull’amore omosessuale sia stata l’unica sparata di Veronesi balorda e sconcertante.
Nel suo libro La libertà della vita – della quindicina e più di pubblicazioni che il prolifico oncologo ha consegnato alle stampe -, egli ha affermato testualmente (a pag. 39): Dopo aver generato i doverosi figli e averli allevati, il suo compito è finito, occupa spazio destinato ad altri, per cui bisognerebbe che le persone a cinquanta o sessant’anni sparissero. Filosofia che non ha applicato a se stesso, evidentemente, dato che, come si è visto, ha brillantemente superato la soglia dei novanta. Tuttavia, se una frase del genere fosse stata scritta o pronunciata da chiunque altro, si sarebbe scatenato il putiferio: tutto l’establishment della cultura dominante si sarebbe stracciato le vesti, gli sarebbe saltato addosso, lo avrebbe querelato, insultato, diffamato, minacciato di ritorsioni, sanzioni ed esilio; i giovani dei centri sociali lo avrebbero bruciato in effigie, o avrebbero promesso di volerlo picchiare, sino a farlo rinsavire; sarebbe stato accusato di nazismo, d’istigazione al suicidio, di disprezzo per la vecchiaia, di crudeltà, di sadismo, di follia criminale, e chissà che altro. Invece, uscite dalla sua penna, queste parole non hanno fatto muovere una piega nel coro dei tanti custodi della pubblica morale, dei tanto censori e garanti della civile convivenza.
Sarà perché Umberto Veronesi, le sue sparate, ha sempre amato farle sul filo della corrente, e mai contro di essa?
Ma anche questo è così tipico, così miseramente normale, nella cultura che si autodefinisce progressista e modernizzatrice: pigliarsela sempre con un avversario molto visibile, sì, ma pressoché inerme; e intanto, avendo quasi l’aria di provocare e trasgredire, cercare, in realtà, sollecitare, e di solito anche ricevere, l’approvazione e l’applauso della grande maggioranza dei colleghi intellettuali politicamente corretti…
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