
Psicopatologia del cardinale massone
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Quantum mutatus ab illo!
3 Gennaio 2017Gli opposti impulsi della natura e della grazia si contendono il segreto dell’anima umana

Il vero discrimine fra una vera fede in Dio e una fede vaga, condizionata, rivolta più all’uomo che al suo Creatore, è dato dal modi di porsi nei confronti dei due stati dell’esistenza: quello della natura e quello della grazia; vale a dire, quello naturale e quello soprannaturale; quello dell’uomo carnale e quello dell’uomo spirituale.
Il razionalista, il materialista, il progressista, il modernista, il cristiano che viaggia in sintonia coi tempi, che vuole "aggiornare" la sua fede, che legge il Vangelo adeguando e adattandolo alla mentalità moderna; che non vuole accettare la realtà del miracolo se non quando è proprio indispensabile, che ha in sospetto la mistica, la spiritualità, il raccoglimento, perché riserva tutte le sue simpatie all’azione sociale, all’emancipazione dei popoli e delle classi, all’abbattimento dei muri, alla lotta contro le discriminazione e i pregiudizi: ebbene, tutti costoro credono nella natura, si fidano della natura, lodano la natura, e non vogliono che essa quale criterio di verità, quale meta da raggiungere, quale principio di saggezza, di concretezza, di realismo.
Per credere nella grazia bisogna, in un certo senso, andare oltre la natura e perfino contro la natura; e non è, semplicemente, questione di opinioni, come potrebbe esserlo il fatto di scegliere di aderire al partito X piuttosto che al partito Y, ma un dono divino, che viene concesso a chi se ne rende degno; e se ne rende degno solo chi sa farsi piccolo, umile, semplice e mite, ossia solo chi abbandona la via della natura, perché è proprio della natura tendere al successo, al potere, al piacere e all’orgogliosa affermazione di se stessi. Pertanto, vivere secondo la grazia e non secondo la natura, vuol dire morire all’uomo vecchio e rinascere all’uomo nuovo, avendo il Cristo quale modello di perfezione, e il Vangelo quale costante fonte d’ispirazione.
Il cristiano non pensa che la natura sia male, ma pensa, e constata, che la natura, così com’è – ossia ferita dal Peccato originale, e non com’era originariamente – conduca verso la morte e il peccato; e che, pertanto, egli non debba vivere facendo di essa il suo principio ispiratore, né assecondandola in ogni sua manifestazione; sa che non tutti gi istinti, non tutte le pulsioni che vengono dalla natura sono buoni; e sa che esiste una opposizione di fondo tra essa e la grazia, per cui, se non sa o non vuole decidersi a fare una scelta, inevitabilmente finisce per essere un cristiano a metà, che crede e non crede, che vuol servire al tempo stesso Dio e mammona, e che vorrebbe giustificare i suoi vizi e scusare i suoi peccati con l’argomento specioso che la natura non può essere ignorata, non può essere disprezzata, non può essere sacrificata.
Quello a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, in effetti, è una specie di naturalizzazione del cristianesimo, e, da ultimo, una naturalizzazione della Chiesa cattolica, o di una parte non piccola di essa. Tutti quei cattolici, quei teologi e quei membri del clero i quali non parlano mai del peccato e della grazia, non parlano mai della morte e del giudizio, non parlano mai dell’inferno e del paradiso; che magnificano le virtù naturali dell’uomo, a cominciare dalla ragione, minimizzando, al contempo, il ruolo della grazia; che parlano di Gesù come di un uomo eccezionale, e assai meno, o quasi niente, di Gesù come Figlio di Dio e come Dio egli stesso, cioè la seconda Persona della santissima Trinità; che affermano la necessità, per la Chiesa, di aggiornarsi, tenendo conto dell’evolvere del costume e della mentalità, per cui non deve esservi, in lei, una verità eterna e incrollabile, ma una verità relativa; e che, del resto, né il cristianesimo, né le altre religioni, hanno l’esclusiva della verità, per cui ciascuna di esse è solo una delle molte strade che si possono percorrere per giungere a Dio, che è la Verità: tutti costoro sono seguaci della natura e, come si vede e si comprende benissimo, seguaci del modernismo, perché ciò è esattamene quanto volevano affermare i modernisti, scomunicati da san Pio X nel 1907, e tuttavia mai rassegnati, mai sottomessi, anzi, sempre rimasti in attesa della rivincita, che ora stanno celebrando clamorosamente, perché le più alte gerarchie, gli organi di stampa, la stessa opinione pubblica sembra dar loro ragione e aver abbracciato i loro principi ed i loro punti di vista.
Vivere secondo natura è assai più comodo dal punto di vista del mondo, perché riduce al minimo i conflitti con la carne, con l’ambizione, con l’egoismo, con la mentalità del mondo: significa incontrare la comprensione e l’approvazione dei più, spianarsi la strada verso la carriera e il successo, entrare nelle grazie delle perone che contano, poter sperare nei favori di quelli che hanno il potere. Ad esempio, per un teologo progressista e modernista, significa avere la quasi certezza di pubblicare i suoi libri con una casa editrice d’un certo peso, essere invitato ai programmi televisivi nazionali, trovare spazio sulla stampa, essere intervistato, e, soprattutto, piacere alla cultura oggi dominante: in altre parole, incontrare gratificazioni, approvazione, visibilità, complimenti; attirare l’attenzione, in senso positivo; farsi un nome, una reputazione, una fama di cattolico intelligente, aperto, dialogante, misericordioso, e, nello stesso tempo, al passo con i tempi. Anche se un certo Gesù Cristo aveva preannunciato non sorrisi e complimenti, ma persecuzione e morte per i suoi seguaci: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. […] Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome… (Matteo, 10, 16-22).
Non si arriva alla vita di grazia se non attraverso una profonda conversione: un percorso faticoso e accidentato, solitario e impopolare, che diventa, però, leggero e gioioso, quando l’anima si rende conto che non dovrà fare tutto da sola, anzi, che non dovrà fare nulla da sola, perché Dio stesso si china su di essa per sostenerla, incoraggiarla, guidarla, consigliarla, confortarla. Per chi ha operato la propria conversione, la vita secondo natura perde il fascino che aveva prima: né la ragione, per se stessa, né la carne quanto ai piaceri che offre, né il successo, il potere, la gloria, nessuna di queste cose conserva il fascino e l’attrattiva da cui pareva circondata quand’era ancor vivo l’uomo vecchio; tutte si rivelano per quel che sono, illusioni e pietre d’inciampo sulla via del bene e della pace. Se vuol trovare il bene e la pace, l’anima deve smettere di inseguire tali cose e divenire bramosa solo delle cose di Dio; e, per trovarle, essa cercherà istintivamente il silenzio, il nascondimento, l’umiltà, la mitezza, la semplicità, la modestia, la luce e la bellezza interiori.
Vi è, a questo proposito, una profonda e sempre attuale riflessione nel capitolo LIV della Imitazione di Cristo (Milano, Edizioni Paoline, 2005, pp. 210-214):
1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia: come si muovono in modo netta,ente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminati da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati.
La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita io male, sotto qualunque aspetto esso appaia non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete.
La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di esser sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere rimanendo sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana per amore di Dio.
La natura s’affanna per il suo vantaggio e bada all’utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell’interesse propri.
La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di partire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41).
La natura inclina all’ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica.
La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.
2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all’oggi, ma guarda all’eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po’ brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce.
La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alle vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico.
La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa, di questo mondo, mira a godere del sommo bene.
La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.
3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude chi è come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli anici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1 Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio.
La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione.
La natura riferisce tutti a sé; lotta per sé, discute per sé: La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l’opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all’eterna sapienza e al giudizio di Dio.
La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori per fare molte esperienze, desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo.
La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l’ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione;infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che in tutti i suoi doni sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.
4. È, codesta grazia, una luce soprannaturale, propriamente un dono particolare di Dio un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l’uomo dalle cose terrestri all’amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale.
Dunque, quanto più si ritiene in freno e si vince la natura, tanta maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l’uomo interiore si trasforma secondo l’immagine di Dio.
In fondo, si tratta dello stesso concetto già espresso mirabilmente da san Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi, là dove l’Apostolo contrappone la sapienza del mondo, che viene dalla carne, alla sapienza che viene da Dio, e che genera la vita nella grazia, di cui il frutto mirabile è l’uomo spirituale, emancipato dalle logiche del mondo (2, 11-15):
Nessuno può conoscere i pensieri segreti di un uomo; solo lo spirito, che è dentro di lui, può conoscerlo. Allo stesso modo solo lo Spirito di Dio conosce i pensieri segreti di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio; perciò conosciamo quel che Dio ha fatto per noi. E ne parliamo con parole non insegnate dalla sapienza umana, ma suggerite dallo Spirito di Dio. Così spieghiamo le verità spirituali a quelli che hanno ricevuto lo Spirito.
Ma l’uomo che non ha ricevuto lo Spirito di Dio non è in grado di accogliere la Verità che lo Spirito di Dio fa conoscere. Gli sembrano assurdità e non le può comprendere perché devono essere capite in modo spirituale. Chi invece ha ricevuto lo Spirito è capace di giudicare ogni cosa, ma nessuno è in grado di giudicarlo.
La vita secondo la grazia, pertanto è la vita illuminata dallo Spirito di Dio; e il modo in cui essa si esplica non può essere capito, se non da chi ha ricevuto quello stesso Spirito, mentre, per tutti gli altri, essa è semplicemente follia. Com’è possibile, ad esempio, preferire una vita d’incomprensioni, di persecuzioni, di patimenti, di oscurità, ad una vita di gratificazioni, di piaceri, di successo e di pubblici riconoscimenti? Questo, per il mondo, è follia, perché il mondo ragiona e giudica secondo la carne; ma, secondo la sapienza che viene da Dio, non vi sono incomprensioni, o persecuzioni, o patimenti, od oscurità, che non valga la pena di affrontare, di subire, di bere sino alla feccia, per ricevere, in cambio, il fiume di luce che viene dalla grazia divina, e che trasfigura ogni cosa in senso spirituale, perfetto, incorruttibile, indistruttibile, beato.
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