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La storia sacra scorre in senso contrario alla storia umana

Qualcuno riesce ad immaginare un fiume, o un torrente, che scorre dalla sorgente verso valle, nel bel mezzo della cui corrente avanza una corrente esattamente contraria, che risale dalla foce verso la sorgente, aprendosi la strada, per così dire, tagliando il filo della corrente principale, contro tutte le leggi della fisica e della dinamica? È una cosa difficile da immaginare e tanto più da descrivere: non è secondo la logica, né secondo l’esperienza; in natura non esiste niente del genere, e quindi esula completamente dai nostri schemi mentali. E tuttavia, non sapremmo escogitare una immagine più appropriata per descrivere il doppio movimento che si verifica nella storia, quella sacra e quella profana. Forse potremmo aggiungere che la controcorrente "impossibile", quella che risale dalla valle verso il monte, non scorre in superficie, ma al di sotto, e quindi non è visibile, o lo è solo a tratti, e solo all’occhio particolarmente esercitato, altrimenti la sua esistenza sfugge completamente e l’unica corrente che si vede è quella principale, che segue le normalissime leggi della fisica e che scorre, come avviene in tutti i corsi d’acqua di questo mondo, dalla sorgente verso il mare.

La corrente naturale rappresenta il corso della storia umana. E la storia umana è fatta da uomini, non da angeli, checché ne pensino Platone, Rousseau, Marx e tutti coloro i quali hanno descritto o predicato futuri impossibili, che non tengono conto della natura umana quale essa è effettivamente, quale noi la vediamo, la osserviamo, la sperimentiamo, in noi stessi e negli altri: una natura imperfetta, ferita dal Peccato originale, che possiede una nozione e una nostalgia del bene, ma che, ciò nonostante, tende a fare il male, perché ciò le riesce assai più naturale che non il contrario. Per fare il bene, infatti, occorre andare contro gl’impulsi immediati dell’io, che reclama la propria continua gratificazione; che incessantemente brama o teme qualche cosa, e non trova mai pace, perché, se pure riesce a raggiungere quel che bramava, se ne stanca assai presto, o ne resta deluso, e rinasce in lui la brama di qualcos’altro — e, naturalmente, anche il timore di qualcos’altro; ad esempio, il timore di perdere per sempre, o di non riuscire a raggiungere, quel che brama.

E magari si trattasse solo di questo, cioè di una incessante, ossessiva, esasperata ricerca del proprio bene egoistico e di un incessante timore di non riuscire a raggiungerlo o a conservarlo. Ad essi si accompagna pressoché stabilmente un’altra componente, di natura estremamente maligna: l’invidia per il bene altrui, la gelosia nei suoi confronti, il rancore verso chi ci appare più fortunato, il desiderio di vendetta verso chi, secondo noi, è stato ingiustamente favorito dalla sorte, e ciò, naturalmente, a nostro danno. E non importa se si tratta di persone o situazioni che non ci riguardano direttamente, né, in alcun modo, ci potrebbero riguardare: noi ci sentiamo egualmente defraudati, egualmente offesi, egualmente risentiti, se qualcuno – con il quale mai entreremo realmente in competizione, per una quantità di ragioni oggettive che lo fanno escludere a priori – ha ottenuto qualcosa che noi, potendolo, avremmo desiderato al suo posto. Certo, la cosa è ancor più forte se si tratta di una competizione reale, ad esempio nel caso di una rivalità in amore, o fra due colleghi di lavoro, per primeggiare agli occhi del direttore o del superiore gerarchico; ma si verifica anche se si tratta di due persone le cui sfere d’interessi non hanno alcun punto in comune, addirittura viventi in due epoche diverse. L’istinto maligno della gelosia ci morde anche se si tratta di qualcuno che non conosciamo, o conosciamo solo di sfuggita, e che mai incrocerà i suoi passi con i nostri: come osa, costui, essere favorito dalla sorte — in amore, negli affari, nella salute, in politica, o in qualsiasi altro ambito – laddove noi stentiamo ad ottenere il meritato riconoscimento del nostro valore, delle nostre capacità? In pratica, e come si vede assai bene nei bambini piccoli, la competizione, almeno a livello inconscio, è di tutti contro tutti, senza esclusione di alcuno: basta che un altro essere umano riceva ciò che anche noi vorremmo, e sia pure in un raggio d’azione completamente distinto e separato, ed ecco che lo prendiamo in antipatia, ne elenchiamo i difetti, li mettiamo sotto la lente d’ingrandimento, andiamo a caccia delle cento e cento ragioni per le quali costui è un impostore, un miserabile, un cialtrone, un farabutto, la cui sola esistenza è un affronto ed il cui successo è una provocazione. Per esempio: come osa, costui (o costei) essersi felicemente sposato, avere dei bei bambini, una bella casa, una buona professione, mentre noi non ci siamo riusciti? E come osa costui (o costei) riscuotere l’approvazione dei vicini, dei colleghi, degli amici, del pubblico, quando è evidente che non possiede neppure la metà del nostro ingegno, della nostra cultura, della nostra serietà, ma è solo un pallone gonfiato, ingiustamente baciato dalla fortuna, e, probabilmente, agevolato da sporche manovre di corridoio, che penalizzano il merito e favoriscono i soliti raccomandati? È la storia delle due città di cui parla sant’Agostino: di Dio e dell’uomo.

Ora, se questa è la normale attitudine degli esseri umani, solo a stento contenuta e corretta (ma più che altro in superficie) dall’educazione e dalle norme sociali, al punto che ci asteniamo dal calunniare e dal danneggiare attivamente il nostro prossimo più per paura delle sanzioni di legge, che per senso della giustizia e di umano rispetto, ne deriva che la storia umana è una storia di sopraffazioni, di astuzie, di calunnie, di violenze, d’inganni, di perfidie. La storia umana non ha mai premiato il merito, il valore disinteressato, la generosità, l’altruismo, la bontà; ha sempre favorito e portato al successo chi è privo di scrupoli, chi è disposto a utilizzare qualsiasi mezzo, chi non ha esitato a mancare alla parola data o a tradire i patti: Machiavelli non ha inventato niente, ha solo dato una veste scientifica a una realtà di fatto, empiricamente osservabile da chiunque si prenda la briga di farlo in maniera onesta. Questa è la storia umana; questo e non altro: bellum omnium contra omnes, come sosteneva, con crudo realismo, Thomas Hobbes. Tanto è vero che, per "spiegare" le sue storture, le sue evidenti aberrazioni, le sue macroscopiche ingiustizie, Rousseau e altri hanno inventato la favola bella (e pericolosissima) di un uomo buono, innocente, libero e felice quanto a se stesso, ma reso cattivo, colpevole, schiavo e infelice dalla società.

Prendiamo il caso del marxismo-leninismo. Non basta che il proletariato abbatta il giogo della borghesia e socializzi i mezzi di produzione: il puzzo della borghesia (come diceva Lenin) gli resterà attaccato ancora per un certo tempo, con tutti i suoi bassi ed egoistici istinti, per cui sarà necessario un periodo di transizione, una quarantena, una fase passeggera, pudicamente chiamata dittatura del proletariato, onde spazzar via gli ultimi residui di mentalità capitalistica e sfruttatrice: peccato solo che si è trattato, ogni volta che i comunisti sono andati al potere in qualche Paese, di una dittatura del partito e non del proletariato, e che non è stata affatto temporanea, ma duratura, tanto è vero che è finita solo quando quei regimi sono caduti, sotto il peso dei loro stessi errori e dei loro crimini. Non si inganna impunemente la natura; non ci si beffa del principio di realtà, solo perché si vuole attribuire tutta la cattiveria dell’uomo a un fattore di classe, eliminato il quale egli tornerà buono e innocente come lo aveva concepito Rousseau. I comunisti, come i russoviani, come gl’illuministi, come i positivisti, come i fascisti, come i nazisti, come i progressisti d’ogni genere e d’ogni colore, hanno preferito dare ragione alla loro idea astratta dell’uomo, piuttosto che inchinarsi davanti alla realtà dei fatti: per fare ciò, sarebbe stato necessario un minimo di umiltà intellettuale, merce sempre più scarsa nel supermercato delle idee e degli stili di vita dell’uomo moderno, figlio di una indebita sopravvalutazione di se stesso che ha nome, appunto, Umanesimo.

La storia umana, dunque, sarebbe il regno della brutalità, dell’ingiustizia e della disperazione, se a bilanciarla non vi fosse un’altra storia, che scorre sotto la superficie, e va in senso contrario al suo: la storia sacra, cioè la storia della salvezza. La storia sacra è la storia dell’uomo che sente il richiamo d Dio, la nostalgia di Dio, e, con ciò stesso, la nostalgia della verità, della bontà, della giustizia e della bellezza. Ogni volta che l’uomo vede calpestato il vero, il buono, il giusto e il bello — ed è uno spettacolo frequentissimo, quotidiano, nell’ambito della storia umana, come dicono anche le pagine di cronaca dei giornali — egli avverte nondimeno, in se stesso, un certo qual fremito, un sottile disagio, magari messo prontamente a tacere. Quell’attimo di disagio, quel fremito di raccapriccio, per quanto fuggevoli, ma assolutamente istintivi, sono la voce della coscienza: sono il segno che, nell’uomo, vi è anche qualcosa di grande, qualcosa che vale l’altissimo prezzo di sofferenza che la storia continuamente richiede agli uomini. È la rivelazione della verità profonda che giace in fondo all’anima: quella della libertà originaria dell’uomo, che nessuna decadenza e nessuna abitudine al male possono offuscare completamente, almeno nei soggetti psichicamente normali; è la prova del fatto che l’uomo non è solo quel che appare, quel che effettivamente manifesta nel corso della sua vita, ma vi è dell’altro: una sottile corrente contraria a quella dell’egoismo, della brutalità, della prevaricazione verso i suoi simili e contro se stesso.

Se l’uomo è libero, è libero di scegliere il bene. Di fatto, però, c’è qualcosa che lo trattiene — qualcosa o qualcuno — che gli impedisce di fare il bene che vorrebbe, e lo spinge a fare il male che non vorrebbe. Questa è la ragione per cui l’uomo buono non è colui che sa fare il bene con le sue forze — un tale uomo non esiste; così come, nel giudaismo, non esisteva l’uomo "giusto", autorizzato a scagliare la prima pietra contro il suo fratello peccatore; ma colui che sa di non poter fare nulla di bene da solo, e perciò si rimette a Dio, con l’aiuto del quale il servo inutile diventa utile, e riesce a fare anche quel bene che, prima, pur vedendolo, non era capace di fare. Ed è allora che si verifica il prodigio della corrente che risale il fiume, e che va controcorrente rispetto alla tendenza principale della storia umana: perché semina luce, speranza, comprensione, pazienza, mitezza, benevolenza; tutte cose che controbilanciano, o smorzano, l’impatto negativo della corrente principale. È la storia dei profeti, degli apostoli, dei santi; è la storia degli uomini e delle donne di buona volontà, che hanno scelto il perdono invece della vendetta, la compassione invece del rancore, la generosità invece dell’avarizia; che hanno crocifisso il proprio ego, le proprie passioni, il proprio impulso animalesco verso l’affermazione di sé, e hanno scelto di rendersi umili e docili nelle mani del grande Vasaio, del saggio e amorevole Agricoltore: di rendersi simili ai tralci della vite, che danno molto vino, a condizione di restare attaccati alla vite.

La storia sacra è fatta da tutti coloro i quali, nelle diverse epoche della storia, hanno operato per il bene, hanno pregato, hanno preso su di sé il male e la sofferenza, hanno perdonato le offese, hanno reso bene per male, si son fatti carico delle necessità dei bisognosi, hanno corrisposto alla chiamata di Dio; di tutti coloro i quali, come ha fatto Maria Vergine con insuperabile umiltà, hanno risposto semplicemente: Eccomi! Sia fatto di me secondo la volontà del Signore; di tutti coloro che la grande storia dei conquistatori, dei rivoluzionari, dei macellai all’ingrosso, dei falchi e degli avvoltoi, non si è accorta, né si accorge: persone piccole e umili, talvolta analfabete, quasi sempre prive di mezzi e di cultura; ma persone grandi, perché seppero e sanno farsi piccole, e mettersi completamente a disposizione della Verità e del Bene, che sono in Dio. Tale è il concetto della comunione dei santi: un circuito virtuoso di anime buone, miti, benevole, sia quelle viventi, sia quelle vissute in passato, ma unite da uno stesso fuoco d’amore e cooperanti ad un medesimo fine: la salvezza dell’umanità per mezzo del ritorno all’amore di Dio, così come esso si è manifestato, in maniera sublime, nella Incarnazione del Verbo e nella sua Passione, Morte e Risurrezione.

Gli storici moderni, che hanno completamente smarrito la nozione stessa di storia sacra, non tengono affatto conto di questa controcorrente sotterranea, grazie alla quale, probabilmente, siamo ancora in vita, così come lo è la nostra civiltà: perché è certo che le preghiere di una suora di clausura, sinceramente rivolte a Dio, hanno scongiurato all’umanità mali tremendi, come nessuna opera puramente umana, né politica, né sociale, né intellettuale, avrebbe mai saputo o potuto fare. Per gli storici moderni, l’unica storia è la storia umana, fatta da uomini, entro un orizzonte puramente umano. Quella storia esiste, ma è solo una parte della umana vicenda: ed è quella peggiore. Possiamo anche dire che essa è l’inferno, o, quanto meno, l’anticipazione terrena dell’inferno: un deserto infuocato, dove non c’è spazio se non per l’egoismo più grossolano, né per il trionfo che non sia dei più malvagi. Più in generale, l’intellettuale moderno altro non vede se non ciò che cade sotto i sensi: vale a dire il perenne, monotono, atroce spettacolo degli egoismi individuali in lotta fra loro, per sopraffarsi a vicenda, senza esclusione di colpi. E l’uomo moderno è abituato, a sua volta, a non vedere, e a non sperare, nulla che vada oltre l’orizzonte immediato ed immanente. Ma l’uomo moderno è diventato cieco: resta abbagliato da ciò che è secondario e transitorio, e gli sfugge ciò ch’è essenziale e permanente. Essenziale e permanente è Dio, solo Dio…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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