
Che ci fa monsignor Paglia nella Chiesa cattolica?
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Quatto quatto, lemme lemme, come ti cambio il paradigma sotto il naso
30 Novembre 2016Stiamo attraversando tempi difficili, come forse poche altre volte nella storia è capitato.
Il mondo profano ha conosciuto altre crisi, anche nei tempi moderni, e forse peggiori di questa; pure, dopo ogni caduta, è stata possibile la ripresa, la ricostruzione: dalle macerie è emersa una umanità indomita, ansiosa di volare pagina, di ricominciare, e di costruire qualcosa da lasciare ai propri figli, alle generazioni future.
Ora no. Ora il mondo è prostrato, accasciato su se stesso; non ha subito una prova come le due guerre mondiali, ma si direbbe che l’esperienza della modernità, della tecnologia avanzata pervasiva, del benessere consumista e fine a se stesso, ne abbiano prosciugato le energie, ne abbiano spenta la voglia di vivere: e le culle vuote sono l’inequivocabile segnale di una crisi spirituale senza precedenti, di una sfiducia nel futuro, quale non si era mai vista, neppure nei momenti più bui della storia.
Nello stesso tempo, la crisi ha investito in pieno anche la sfera del sacro: mai come oggi gli uomini si sono allontanati dalla religione, mai come oggi hanno perso la loro spiritualità; si sono inariditi, si sono rimpiccioliti, e, quel che è peggio, hanno portato la loro incredulità fin dentro la cittadella della Chiesa, ma senza esserne del tutto consapevoli, o, forse, essendone consapevoli anche troppo: con il risultato che hanno inquinato le sorgenti stesse della fede, hanno alterato la sacra liturgia, la pastorale, il catechismo, perfino i dogmi e la morale cattolica. E tutto questo l’hanno chiamato, con vuota enfasi celebrativa, "aggiornamento", "dialogo col mondo", "andare incontro al mondo"; l’hanno chiamato "svolta antropologica", "teologia negativa", "teologia del silenzio di Dio" e in cento altre maniere, tutte più o meno barocche, più o meno balorde, compiacendosi di se stessi e applaudendosi e complimentandosi l’un altro, come l’asino del proverbio latino, che si strofina all’altro asino (asinus asinum fricat), per nascondere la semplice verità: e cioè che non l’uomo si è fatto adulto, ma che si è rimbambito a furia di praticare il culto della propria intelligenza. Non è ritornato bambino, come auspicato dal Vangelo, per accogliere la fede con la semplicità e il candore d’un fanciullo; si è rimbamboccito, conservando, cioè, i vizi dell’adulto, a cominciare dalla superbia, dall’irriverenza, dal cinismo, dallo scetticismo radicale, ma innestandoli in un orizzonte mentale sempre più asfittico, sempre più bamboccesco, come un pargoletto cresciuto male e ormai incapace di recuperare il ritardo, di responsabilizzarsi, di maturare come dovrebbe farlo una persona normale.
Il Vangelo è il sale del mondo; ma se coloro che lo annunciano hanno perso il senso del gusto, chi lo annuncerà? Tristissimo spettacolo quello di una Chiesa cattolica, la quale, dopo duemila anni di storia, durante i quali ha tenuto alto il vessillo della fede, è stata maestra di civiltà e di spiritualità ai popoli, ai regni, agli imperatori, e perfino ai nemici che da ogni parte l’assalivano, trasformandoli, a loro volta, in figli amorevoli e in valorosi combattenti, pronti a difenderla, ora invece sembra ansiosa di svendere il suo patrimonio ideale, disprezza il proprio passato, si autoaccusa di colpe reali e, più spesso, immaginarie, e intanto cerca di compiacere il mondo, di essergli gradita, di farsi quasi perdonare la colpa d’esistere, e si dà un gran daffare per strappare l’applauso del mondo, l’approvazione del mondo, le lodi del mondo. Tristissimo momento storico, quando i Pannella, gli Scalfari, le Bonino, levano alte lodi alla Chiesa cattolica, che essi hanno sempre odiato e detestato, e che vorrebbero vedere distrutta, mentre i santi, come san Pio da Pietrelcina, vengono da essa perseguitati, con astio, con accanimento, con tenacia veramente diabolica (strana coincidenza: la seconda, e più grave, persecuzione di San Pio ha inizio con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII e coincide con gli anni del Concilio Vaticano II, delle cui novità egli non era affatto persuaso).
In questo momento storico tanto difficile, la Chiesa soltanto, cadute le altre ideologie, possedeva l’esperienza, la saggezza, la cultura e la prudenza per offrire un conforto e un progetto di rinnovamento all’umanità stanca e avvilita; e invece di fare ciò, invece di restare fedele alla propria missione e al mandato di Gesù Cristo, Andate e annunciate il Vangelo, si è persa per strada, si è ingolfata in astruse e velleitarie dottrine moderniste, ha scambiato il dialogo con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni per una rinuncia alla propria verità assoluta e trascendente; ha voluto storicizzarsi, proclamarsi soggetta al mutare dei tempi, bisognosa di continui aggiornamenti. E siccome il Progresso corre sempre più in fretta, anche la Chiesa si è messa a correre, sempre più in fretta, sempre più affannosamente. A forza di correre e correre, tutti questi teologi modernisti e questi preti progressisti, tutti questi vescovi storicisti e relativisti, si son lasciati sfuggire per strada la cosa essenziale: l’anima del Vangelo, che è fatta di amore e di timor di Dio. Amore e timore di Dio, ripetiamo: perché l’uno non sta senza l’altro, sono le due facce di una stessa medaglia, e sempre lo sono state; ci volevano le teste d’uovo sbucate fuori dal Concilio Vaticano II per rovesciare la prospettiva, e pretendere che il timore sparisse, che la giustizia sparisse, che il castigo sparisse, e rimanessero solo, trionfalisticamente, la misericordia, il perdono, la beatitudine. Ma una misericordia senza giustizia è una spaventosa deformazione del volto di Dio; un perdono senza giustizia, è un controsenso logico e morale; e la beatitudine senza il castigo per i malvagi, sarebbe una cosa priva di senso.
Quello che si sta formando è un neo-cattolicesimo modernista e storicista: modernista, perché è intimamente compenetrato dei valori della modernità — che sono, giova ricordarlo a chi non lo vuol sapere o non lo vuol vedere, per loro stessa natura, radicalmente anticristiani, come la storia degli ultimi tre secoli dimostra ad abundantiam, e, per chi non sia del tutto cieco, continua a dimostrare, più che mai, anche ai nostri giorni; e storicista perché lo ha storicizzato, lo ha reso dipendente dalla storia, ha preteso di spiegarlo mediante la storia, e, così facendo, ha invertito i termini del rapporto dialettico: non è più il Vangelo che ridisegna la mappa della storia universale, e le dà un senso, una direzione, una meta; no, ma è la storia che ingloba il Vangelo e agisce su di esso, plasmandolo, modellandolo, forzandolo ad adattarsi alle necessità del nostro tempo, le quali vorrebbero essere tutt’altro che spirituali e tutt’altro che religiose. Codesti signori si sono scordati che Gesù Cristo è il Signore della storia, e non viceversa: e così si son fatti fichtiani, hegeliani, crociani, gentiliani, idealisti, marxisti, feuerbachiani, gramsciani, castristi: tutto, tranne che cattolici. E che altro è questo continuo ritornello, ogni volta che accade una disgrazia, una tragedia storica, una calamità naturale: Ma Dio dov’è? Dov’era, dov’è andato? Com’è possibile che sia rimasto a guardare?; e abbiamo udito anche dei vescovi parlare in tal modo – se non storicismo di pessima lega, se non irreligiosità e materialismo camuffati e travestiti da teologia "adulta", alla Bonhoeffer, da teologia che deve insegnare all’uomo a fare come se Do non ci fosse, etsi Deus non daretur? Non avevamo già sentito dire, a suo tempo, che, dopo Auschwitz, è diventato quasi impossibile, per non dire irriverente — verso i morti, non verso Dio — continuare a credere in Lui? E che cos’è tutto questo, se non storicismo esasperato? Dio, per quei cristiani, è diventato un personaggio storico: Se ci sei, batti un colpo!, vien da dirgli; ma se tace, se tace proprio quando abbiamo bisogno di Lui, allora vuol dire che sta barando al gioco, che non c’è, o che è impotente, e allora che ce ne facciamo di un Dio impotente, noi che — è inutile negarlo — siamo più che mai adoratori della forza, magari nella versione tecnologica e "pacifica" dei viaggi spaziali, delle centrali di energia nucleare, della manipolazione genetica? In fondo, non è altro che il vecchio ritornello di Voltaire, intonato dopo il terremoto di Lisbona del 1755: se ci sono i terremoti, se muoiono gli innocenti con tanta facilità, allora la giustizia di Dio, la sua misericordia, la sua stessa provvidenza, non sono che altrettante chimere, e noi non viviamo affatto nel migliore dei mondi possibili, ma nel peggiore, o in uno dei peggiori — con buona pace di Leibniz e di tutti coloro i quali si ostinano ad aver fede in Lui.
Del resto, lo stesso papa Francesco ha ammonito, credendo di dire una grande verità, che "Dio non è cattolico": massima espressione dello storicismo e del relativismo, della babelica confusione ormai imperanti e impazzanti nella Chiesa cattolica. Certo che Dio non è cattolico: Dio è Dio; ma si dà il caso che, per i cattolici, Dio si sia incarnato nel Figlio, un certo Gesù di Nazareth, che sia morto e risorto per amore degli uomini, e che abbia insegnato: Io sono la Via, la Verità e la Vita; e ancora: Chi ha visto me, ha visto il Padre; e ancora: Io sono la vite, voi i tralci, il Padre mio è l’agricoltore: rimanete uniti alla vite, rimanete nel mio amore. Dunque, se Dio non è "cattolico", i cattolici adorano il vero Dio, che non è il Dio della altre religioni, ma è il Dio della croce, del Calvario, della morte e della resurrezione di Gesù Cristo. Questo è il Dio che adorano e il Dio dal quale aspettano e attendono la vita eterna. Lo dica chiaro, dunque, papa Francesco, se lo pensa: è questo il problema? Il problema, per lui, è che i cattolici non dovrebbero affermare di credere nel Dio vero, nel Dio rivelato e infallibile, che ha parlato per mezzo dei profeti, di Gesù Cristo, degli apostoli, degli Angeli e dei Santi? È questo il problema che non vuol dire, anche se ci sta girando attorno fin da quando è stato eletto al soglio di san Pietro, e ha gelato milioni di cattolici con quel "buonasera" iniziale, senza una benedizione apostolica, senza un "sia lodato Gesù Cristo"? Non pensa forse che tutte le religioni sono uguali, che sono tutte vere, e che per mezzo di una qualunque di esse si arriva a Dio, visto che "Dio non è cattolico"? Ebbene, allora lo dica apertamente; e, se no, che dica apertamente quel che la Chiesa ha sempre detto: che la religione di Cristo è la sola via per arrivare a Dio, perché è la sola vera. Dire una cosa del genere sarebbe superbia, per i suoi sensibili orecchi? Stramo, perché è semplicemente un ovvio concetto logico-filosofico: la verità è una, non due, non tre, non quattro. Una sola è la verità matematica, quella storica, quella teologica: una, e non bisogna essere timidi ad affermarlo. Non ci possono essere due verità: se ci fossero, allora si tratterebbe di piccole verità parziali, non certo della Verità suprema, che è Dio.
Ma oggi sembra che tutti, anche nella Chiesa cattolica, stiano precipitando nella confusione più completa. Ogni giorni sentiamo alti prelati e sedicenti teologi lanciarsi nelle affermazioni più temerarie, più bislacche, più blasfeme, e spacciarle per la verità cristiana (storicizzata) del terzo millennio. San Pio da Pietrelcina se la rideva dei cattolici modernisti e della loro pretesa di aggiornare il Vangelo: diceva che i santi si sono sempre beffati del mondo e dei mondani e si sono messi sotto i piedi il mondo e le sue massime (cit in: Yves Chiron, Padre Pio, Ed. Paoline, 1997, p. 334). La Chiesa dei nostri giorni, invece, sotto il pontificato di papa Francesco, non sembra pensarla così: al contrario, pare tutta protesa a farsi carico della mentalità del mondo, a spingere il dialogo col mondo fino al punto accettare per buoni i suoi punti di vista, anche nelle materie di fede. Quando il cardinale Kasper, per esempio, sostiene, rifacendosi — ma in maniera capziosa — alla esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio, per sostenere, come ha fatto nella sua relazione introduttiva al concistoro sulla famiglia del 2014, che l’importante non è quel che dice la Chiesa circa la validità o la nullità di un matrimonio, ma quel che ne pensano i coniugi, soggettivamente e in "buona fede", è chiaro che siamo di fronte non solo a una storicizzazione ed una relativizzazione del Vangelo, ma alla esplicita pretesa di far valere, sulla Legge di Dio, le opinioni e i desideri degli uomini. E anche se quel documento è piaciuto moltissimo a papa Francesco, che non si è trattenuto dal lodarlo e dal magnificarlo fino alle stelle, è chiaro che esso esprime la folle pretesa dell’uomo di aver ragione contro Dio, con la scusa della misericordia di Dio stesso. All’esplicito comando di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito, Kasper e i suoi amici sostituisce un’altra dottrina, che ormai è cattolica solo di nome, secondo la quale gli uomini possono unirsi e separarsi a loro discrezione, purché siano in "buona fede" e purché la Chiesa riconosca loro la patente di "sofferenti" che chiedono aiuto. Strano modo di porgere aiuto, quello di confermarli nel loro peccato, e di non chiamarlo tale, ma di legittimare la rottura di un sacramento: tanto vale dichiarare apertamente che si vuole instaurare una nuova religione che abbia l’uomo al centro, che sia al servizio dell’uomo e che consista nel dare sempre ragione all’uomo, anche se sbaglia, anche se pecca. Ma che senso ha parlare ancora di peccato, in una religione cosiffatta? Il peccato è l’offesa recata a Dio: ma dov’è Dio, in tutto questo pasticcio modernista, senza capo né coda; in questo sincretismo deista di tipo gnostico-massonico?
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