
Ci siamo dimenticati di pregare
27 Novembre 2016
Il nocciolo della questione
28 Novembre 2016Ci fu un tempo in cui si poteva ancora dire che anche Betsabea ebbe parte nel peccato di Davide

25 novembre: ricorre la Giornata internazionale per la violenza contro le donne; una festività laica istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1999: La data è stata scelta per commemorare la morte delle tre sorelle Mirabal, assassinate nel 1960 dal regime del dittatore dominicano Trujillo. Un piccione con due fave, quindi: mettere alla berlina il maschio cattivo e omicida, lo sconcio Yahoo di swiftiana memoria, che vaga incessantemente per le strade in cerca di donne da brutalizzare, stuprare e assassinare, e, nello stesso tempo, esaltare le lotte libertarie e rivoluzionarie, specie in America Latina, ma, in genere, contro tutti i dittatori maschilisti e conservatori (come Assad in Siria, per esempio?; così, almeno, diceva Hillary Clinton; e buon per la pace nel mondo, se non è stata eletta alla presidenza degli Stati Uniti d’America). Così si fanno contente sia le femministe, sia il popolo della sinistra: il quale popolo della sinistra, se farà il bravo, nella sua componente maschile, cioè se farà sue le tesi femministe circa l’innata e spregevole brutalità del maschio, e l’altrettanto innata innocenza e santità della donna, otterrà, in premio, di poter sfilare nei cortei commemorativi del 25 novembre, per protestare contro la violenza sulle donne, ma, si capisce, e come del resto è giusto, stando alla coda dei cortei, perché davanti hanno il diritto di marciare solo le donne. Sono loro le vittime, e quindi a loro spetta la testa dei cortei; ai maschietti, per quanto mortificati e volonterosi, per quanto scodinzolanti e auto-flagellanti, non viene concessa, come supremo atto di benevolenza, che la retroguardia.
Queste riflessioni sorgono alla mente quando, sfogliando una guida didattica per catechisti cattolici, stampata in Germania più di mezzo secolo fa – e cioè qualche anno prima di quel Concilio Vaticano II che ha scaldato tanti cuori e illuminato tante menti, facendo loro vedere e sentire ciò che, per dei secoli, non avevano visto, né udito — ci siamo imbattuti in alcune considerazioni circa la corresponsabilità morale delle donne nei peccati di lussuria maschili; non sempre, è ovvio, ma in alcuni casi, che, pure, vengono addebitati solitamente solo al maschio. Insomma, una osservazione di puro buon senso, a margine dell’episodio veterotestamentario di Davide e Betsabea, che tutti conoscono: a commettere peccati sessuali, ad esempio l’adulterio, bisogna essere in due: e se, apparentemente, spesso è l’uomo che prende l’iniziativa, a guardar meglio si scopre che la donna non ha svolto un ruolo meno importante nella genesi della lussuria che travolgerà entrambi. Apriti cielo: se quelle cose venissero dette oggi, che cosa mai non succederebbe! E non solo ci sarebbe una reazione furibonda da parte del mondo profano; ma nella Chiesa stessa, cardinali, vescovi e sacerdoti si scaglierebbero contro l’infame insinuazione che la donna, sempre e solo vittima di violenze e di stupri, possa aver contribuito al peccato quanto il suo partner maschile. Valga per tutti il caso accaduto a Lerici, in provincia di La Spezia, nel 2012, allorché il parroco della chiesa di san Terenzo si permise di ricordare alle sue parrocchiane, e a tutte le donne, che, davanti alle violenze perpetrate dagli uomini contro l’altro sesso, è necessario che alcune di esse si facciano anche un po’ di autocritica, relativamente al loro modo di vestire, alle loro abitudini, alle provocazioni che lanciano in continuazione, e al loro essersi allontanate dalla famiglia e dai figli. Parole di puro buon senso: ma cosa c’entra il buon senso, ormai, con la cultura dominante nella società progressista, femminista, buonista a senso unico, e totalmente indisponibile a svolgere una riflessione ampia e articolata dei fenomeni sociali, invece del rozzo ed ipocrita schematismo ideologico ormai divenuto d’obbligo, che semplifica tutto, appiattisce tutto e banalizza irrimediabilmente ogni cosa? Sta di fatti che don Pietro Corsi è stato sbattuto in prima pagina come il mostro di turno (il prete brutto, secondo il blog di Io Donna), e i concetti da lui espressi sono stato ignobilmente semplificati e stravolti dai titoloni dei giornali, sulla falsariga di questo: "Il femminicidio è colpa delle donne che provocano"; oppure di questo: "Il parroco espone in chiesa un manifesto contro le donne". Sconfessato e rimproverato pubblicamente dal suo vescovo (anche se difeso da un altro vescovo, quello di Senigallia, il quale ha confermato che le donne provocano gli uomini, vestendo e atteggiandosi con scarsa dignità), costretto a fare marcia indietro e a porgere le sue scuse alle donne, alla fine don Corsi è scomparso dai media e non si sa bene che fine abbia fatto: c’è chi dice che sia stato costretto a "dimettersi", altri che sia stato trasferito. Né è mancata la ciliegina finale, a nome della Chiesa progressista "di base", allorché una certa suor Rita, da una casa di accoglienza per ragazze madri di Caserta, ha voluto diffondere a mezzo stampa un comunicato, nel quale si diceva indignata per le parole del sacerdote di Lerici. Con poca carità cristiana e nessuna solidarietà ecclesiale: si vede che la comunione dei santi è roba d’altri tempi, e che l’importante è far vedere che ci sono religiosi e religiose i quali la pensano in tutt’altro modo da don Corsi, che hanno idee progressiste quanto quelle del "mondo", e che, in fatto d’indignazione femminista, non devono andare a lezione da nessuno, perché non sono indietro a nessuno.
Ma ecco il brano di cui stavamo parlando. Osservavano Fritz Andreae e Christian Pesch nella loro Guida alla Bibbia per la gioventù (titolo originale: Handbuch zur Katholischen Schulbibel, Düsseldorf, Patmos Verlag, 1960; traduzione dal tedesco di M. Schiro e L. Benna, Torino, Libreria Dottrina Cristiana, 1961, vol. 1, Antico Testamento, pp. 238-239):
DAVIDE SOCCOMBE ALLA TENTAZIONE. Il dovere del re era quello di andare alla guerra alla testa del suo esercito. Invece rimase a casa; preferì questa volta alla rude vita della guerra la più comoda vita della corte. Il riposo invernale lo aveva infiacchito? Chi non reagisce è minacciato dalla caduta.
Dalla terrazza del palazzo si poteva guardare nel cortile della casa di Uria, situata alquanto più in basso. In essa si trovava una vasca. Davide vide un giorno Betsabea mentre si lava. Poiché questa donna era molto bella destò la sua passione. Egli la fece venire nel suo palazzo e il peccato fu commesso.
Davide l’aveva vista per caso. Se si fosse subito rivolto altrove, appena il suo sangue incominciava a ribollire e il suo cuore a battere più rapidamente, avrebbe potuto superare la tentazione. Ma egli non oppose nessuna resistenza alla concupiscenza che sorgeva, lasciò che il suo occhio impudico guardasse e cadde in quello stato di sconvolgimento dal quale non è più possibile tornare indietro. Egli soccombette alla tentazione, perché non aveva evitato l’occasione prossima del peccato.
Certamente anche Betsabea ebbe parte nel peccato. Quantunque essa dovesse sapere che dal palazzo reale si poteva liberamente guardare in casa sua, non si curò di premunirsi contro occhi indiscreti. Essa, come donna, avrebbe dovuto sapere che con questa trascuratezza poteva eccitare le passioni di un uomo; ma nulla fece per evitarlo.
UN PECCATO NE CAUSA UN ALTRO. La confusione fu forte da entrambe le parti, quando, dopo questo incontro, Betsabea si accorse che una nuova vita palpitava nel suo grembo. Se il fatto fosse stato riconosciuto, essa stessa, come adultera, doveva essere abbandonata a tutto il rigore della legge. Ma Davide temeva con ragione perla sua reputazione nel popolo. Volendo ad ogni costo liberarsi da questa confusione, egli commise allora il volgare assassinio di Uria. Per liberare se stesso, e il proprio onore minacciato, l’altro doveva perdere la vita. Il pentimento di Davide.
IL PENTIMENTO DI DAVIDE. Che il pentimento di Davide sia stato sincero lo prova il salmo 50. Esso porta l’iscrizione: "Salmo di Davide, quando il profeta Natan venne da lui dopo che aveva peccato con Betsabea". In esso il re ammette la sua colpevolezza. Nel suo peccato egli aveva sperimentato la propensione al male e la debolezza della natura umana. Perciò egli implora da Dio un cuore nuovo che sia disposto a osservare volentieri i suoi comandamenti, ma che anche, per mezzo dell’aiuto concesso, diventi più forte in tutte le tentazioni.
Betsabea (Bath Sheba), dunque, sapeva di essere visibile, dalle terrazze del palazzo reale: non poteva non saperlo, bastava che alzasse lo sguardo per rendersene conto. E sapeva che Davide soleva affacciarsi al balcone; quanto meno, sapeva che egli era lì, a palazzo, dal momento che non era partito per la guerra contro la città di Rabbat-Ammon (l’odierna Amman, in Giordania), ma aveva preferito restare a Gerusalemme, e mandare l’esercito con alla testa proprio Uria, l’ittita, il marito di lei, che era un valoroso soldato.
Non conosciamo a sufficienza i retroscena della vicenda e, pertanto, possiamo ipotizzare sia che Davide, fin dall’inizio, abbia deciso di non partire con l’esercito, proprio per aver l’occasione di sedurre Betsabea, la fama della cui bellezza era forse arrivata fino a lui; sia che sia stata lei a fare di tutto per attirare l’attenzione del re, profittando dell’assenza del marito e della favorevole posizione della sua casa e della sua piscina. Ma poiché non possediamo alcun elemento che possa suffragare l’una o l’altra di queste ipotesi, limitiamoci a quella meno compromettente, tanto per il re Davide che per la moglie di Uria: cioè che nessuno dei due avesse desiderato, cercato o favorito la situazione in cui si sarebbero venuti a trovare. A costo di peccare d’ingenuità (ma è meglio che peccare di malizia), concediamo che Davide, quel giorno, avendo caldo, si sia affacciato dal suo terrazzo senza alcun secondo fine; e che la donna, avendo caldo lei pure, abbia voluto rinfrescarsi con un bagno, senza una precisa intenzione. Però, ripetiamo, se è difficile che Davide ignorasse che, guardando in basso, avrebbe potuto vedere Betsabea nuda (perché sapeva che l’appartamento di Uria era là sotto, e perché vedeva la piscina, donde poteva ben dedurne che la donna, a qualche ora, vi si bagnasse), è quasi impossibile ammettere che lei ignorasse almeno la possibilità che lui la scorgesse mentre faceva il bagno. Ed è di questa possibilità che i due Autori di cui sopra, stante la loro interpretazione "ingenua" dell’intero episodio, parlano; è su di essa che, dopo aver deplorato l’incontinenza di Davide, vogliono far riflettere il lettore.
Betsabea era molto bella, e lo sapeva; e aveva una casa con una piscina all’esterno, che era ben visibile dalle terrazze degli appartamenti reali. La decisione di fare il bagno in pieno giorno, spogliandosi come se si fosse trovata sulla riva deserta del mare, non poteva, quindi, non contemplare la possibilità, per non dire la forte probabilità, che Davide la vedesse: cosa doppiamente sconveniente, e quasi sacrilega, in quel tempo e in quella società, e tanto più con il marito lontano, impegnato in guerra per difendere gli interessi e l’onore del sovrano. Il minimo che si possa dire è che Betsabea aveva voglia di schierare col fuoco, di provare il brivido di un’azione che potrebbe avere facilmente conseguenze impreviste e imprevedibili: e forse era proprio quel che cercava. Forse era stufa della sua solitudine; stufa che la sua bellezza rimanesse senza ammiratori, ad appassire tristemente fra le mura di casa: non stava bene, infatti, che una nobildonna uscisse da sola, sia pure per faccende oneste. Insomma, si annoiava; e, nello stesso tempo, sentiva oscuramente di avere il "dirotto" di godere, di essere ammirata e sentirsi desiderata, di ricevere il tributo degli sguardi maschili, carichi di passione. Forse era soltanto la solita bambola viziata, che non tollera neppure per un poco di vedersi messa in disparte, e il fatto che il mondo continui ad andare avanti anche senza di lei, senza fare omaggio alle sue strepitose qualità femminili. Il minino che si possa concludere, quindi, è che Betsabea favorì al massimo il sorgere della concupiscenza da parte di Davide, mettendosi nelle condizioni di poter essere vista nuda da lui: cosa che nessuna donna farebbe, se davvero ci tenesse al suo pudore, alla sua castità e al rispetto verso il marito lontano.
Si sa quel che accadde poi: l’adulterio; la gravidanza; il perfido piano di Davide per far morire Uria, senza macchiarsi le mani di sangue, dopo aver fallito nel tentativo di far sì che avesse rapporti sessuali con la moglie, per giustificarne la gravidanza; i rimproveri del profeta Natan, il pentimento, le preghiere a Dio: tutto questo fu la conseguenza di quella prima tentazione, nella quale entrambi, l’uomo e la donna, si misero, e cui non seppero o non vollero resistere. Il bambino, poi, sarebbe morto; ma la bella Betsabea, ormai aggiunta di Davide al suoi harem come la sposa prediletta, gli avrebbe dato un altro figlio, che sarebbe diventato il successore al trono: Salomone, il più splendido dei re d’Israele. Perché Dio sa scrivere dritto anche sulle righe storte, ricavando il bene dal male.
Tale è l’infinita saggezza di Dio. Ben povera cosa è quella degli uomini, specie quando preferiscono mettersi il paraocchi dell’ideologia e negare la realtà evidente dei fatti, quando essa dà loro ombra…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash