
Tutto ha per fine la salvezza dell’umanità e chi annuncia il Vangelo coopera con Dio
25 Novembre 2016
Mezzo secolo di evirazione intellettuale ha prodotto una generazione di eunuchi
26 Novembre 2016La società moderna e la cultura moderna mostrano di ritenere che ciò di cui l’uomo ha bisogno, quando incontra delle gravi difficoltà al livello del proprio equilibrio interiore, tali da rendergli pressoché impossibile condurre una vita normale, sia una analisi dell’inconscio, per individuare quei nodi irrisolti, quei conflitti repressi, quegli istinti rimossi, che provocano le sue sofferenze e il suo stato d’impotenza e di paralisi. E questa analisi viene fatta, novantanove volte su cento, in una prospettiva rigorosamente materialista, che non lascia alcuno spazio alla spiritualità, ai valori morali e alla vita dell’anima: logico, dal momento che l’anima, per la scienza moderna, è una parola priva di senso compiuto.
Ma siamo proprio sicuri che sia questa la strada giusta per aiutare le persone ad uscire dalle loro acute difficoltà e tribolazioni interiori? Siamo proprio sicuri che basti individuare gli istinti e gli impulsi inconsci, per offrire a quella certa persona la via d’uscita dalla sua sofferenza? Per crederlo, bisognerebbe ammettere che la nostra vita è determinata da ciò che sta sotto il livello della coscienza e non da ciò che sta sopra: il che può essere, forse, ma solo per quei rarissimi casi in cui si mostra una patologia psichiatrica particolarmente grave, ostinata e profonda. Per la stragrande maggioranza delle persone, ciò che fa soffrire interiormente e provoca disturbi nella vita psichica, non è dovuto all’inconscio, ma alla consapevolezza, più o meno chiara, di aver trasgredito alle leggi morali e di aver inflitto una ferita alla propria coscienza. Oltre a questo, i contenuti dell’inconscio sfuggono al nostro dominio, e si fatica a comprendere come e perché, una volta che essi vengano rivelati a noi stessi, ciò dovrebbe innescare un vero processo di "guarigione". Senza contare che non abbiamo sufficienti garanzie che quei contenuti siano stati interpretati correttamente dai signori della psicanalisi, dei pseudo scienziati che si dichiarano esperti dell’inconscio, ma che ammettono in partenza che l’inconscio non è, per definizione, conoscibile, se non nelle manifestazioni esteriori cui danno luogo i conflitti che vi si svolgono, ben nascosti nelle profondità. Non sarebbe la prima volta che essi ritengono di ravvisare tracce di istinti e di conflitti che non esistono, o che sono ben altri da quelli da essi diagnosticati. Ma ammettiamo, per amor di accademia, che siano tutti dei valenti esploratori dell’inconscio e che riconoscano, con istinto infallibile, i veri istinti e i veri conflitti che si agitano e che ribolliscono nell’inconscio: perché mai tale conoscenza dovrebbe avvantaggiarci, una volta che l’avessimo rischiarata e portata in piena luce? Affinché i conflitti si sciolgano e subentri la pace dello spirito, è necessario che alla conoscenza del male faccia seguito una risoluzione della volontà: ad esempio, la decisione di operare scelte diverse, o quella di cambiar vita. La contemplazione del proprio male, di per sé, non hai sollevato nessuno, e tanto meno lo ha guarito. Lo psicanalista dice che, una volta portati alla superficie i conflitti inconsci, e prospettate al paziente le varie possibilità di agire, il suo compito finisce: sarebbe come dire che il compito della guida alpina finisce allorché essa ha portato gli alpinisti a contemplare da vicino la vetta che desideravano raggiungere, e poi se ne sia andata, lasciandoli lì, soli, esposti a tutte le intemperie ed alle prese con la difficoltà più grande: quella di proseguire e di affrontare l’ultimo tratto della parete, il più arduo e pericoloso.
La convinzione che la nostra vita sia determinata da fattori e meccanismi inconsci nasce da una estrema sfiducia nella libertà umana e da un estremo fatalismo circa il nostro destino e il significato stesso della nostra vita. Se le cose più importanti che determinano ciò che siamo e ciò che facciamo sono al di là del nostro volere, e perfino al di là della nostra capacità visiva, tanto vale dichiarare che tutto è assurdo e che vani sono i nostri sforzi per dare ordine al caos dell’esistenza, all’incommensurabile irrazionalità dell’universo. È una visione da disperati, come lo è, del resto, quella dell’evoluzionismo biologico: darwinismo e freudismo sono stati, di fatto, potentissimi canali di dissoluzione della società moderna, e modelli altamente negativi per l’immagine che l’uomo ha di se stesso. Oltretutto, nella psicoanalisi, specialmente freudiana, il paziente, se così vogliamo chiamarlo, non deve far nulla, tranne che cercare di ricordare, anzi, di evocare — in una sorta di parodia della magia nera — frammenti d’infanzia, cose sperdute negli abissi della memoria: ma il lavoro di analisi lo fa un altro, lo fa un estraneo, che si fa pagare per tale servigio. Nell’esame di coscienza, così come ci è stato insegnato per secoli dall’educazione cattolica, è l’uomo che deve darsi da fare per leggere dentro se stesso le proprie mancanze; ma non è un compito poi così difficile, se egli si apre, con la preghiera, il pentimento e la volontà di emendarsi, all’azione della Grazia divina. Il sacerdote, nel confessionale, non è che lo strumento attraverso cui agisce la misericordia di Dio (ragion per cui, fra le altre cose, si guarda bene dal domandare un compenso per il servigio inestimabile che offre: la pacificazione dell’anima). Nello stesso tempo, quel che deve fare il peccatore penitente è molto più impegnativo di quel che dovrebbe fare il nevrotico che sia stato illuminato circa i suoi mali inconsci dallo psicanalista: deve divenire l’artefice, o, quanto meno, l’indispensabile cooperatore della propria guarigione, mediante la riconciliazione con Dio. Egli ha perduto il suo equilibrio interiore e la pace dell’anima per essersi ribellato alle leggi di Dio, che sono ispirate dall’amore: pertanto deve ritornare all’amore di Dio, mediante la riparazione del male fatto e il proponimento di cambiar vita.
Sulla coscienza ogni uomo può agire, non vi è nulla che glielo impedisca, se non la cattiva volontà, ossia il rifiuto del bene e la ribellione alle leggi di Dio; sull’inconscio, il potere dell’uomo è scarso, quasi nullo: gli istinti sono una forza selvaggia e primordiale che non si sa donde venga e che va dove vuole, trascinando tutto e tutti, senza che sia possibile opporre una valida resistenza. Quindi, nella prospettiva psicanalitica, l’uomo si crede più forte, perché si interroga sul proprio male senza fare ricorso a entità invisibili, e riducendo il gioco ad una partita a scacchi con se stesso; però, di fatto, si pone in una condizione di estrema fragilità e debolezza, perché egli dovrebbe trovare in sé le risorse per la propria guarigione, quando invece, sia pure con l’assistenza dello psicanalista, sente di esserne privo, e proprio per questo si rivolge alle cure di uno specialista. Ma quello "specialista", dopo avergli rivelato i segreti inconfessabili che il suo inconscio teneva celati nelle profondità della psiche, ad esempio la passione incestuosa per sua madre, o per sua sorella, o il desiderio di uccidere suo padre, e altre amenità di questo genere, sul più bello, cioè nel momento della massima tensione e della più scioccante scoperta delle sue vere pulsioni, lo pianta in asso, e gli dice che deve assumere su di sé le scelte che lo porteranno al ristabilimento del proprio equilibrio. In particolare, in omaggio alla natura "laica" e materialista della sua pseudo-scienza, lo "specialista" si asterrà rigorosamente dal considerare come "buone" o "cattive" le pulsioni del paziente: suprema forma di ossequio a quell’utilitarismo che, nella cultura moderna, sembra avere definitivamente spodestato, nell’etica, la dialettica fra il bene e il male, e, nella conoscenza, quella fra il vero e il falso. In altre parole, ciò che il paziente deve decidere non è se assecondare i suoi impulsi d’incesto e parricidio sia cosa buona o cattiva, ma semplicemente se sia cosa utile, o no: utile, si capisce, non in senso assoluto (non esistono più valori e verità assoluti, per la psicanalisi moderna!), ma dal proprio punto di vista, cioè secondo la sua personale convenienza.
Scriveva, in uno dei suoi libri più noti, l’arcivescovo americano Fulton John Sheen, La pace dell’anima (titolo originale: Peace of Soul, McGraw Hill, 1949; traduzione dall’inglese di Ada Salvatore, Napoli, Richter, 1951, pp. 134-137):
… Il cristiano non discute con lo psicanalista per il quale lo spirito dell’uomo è come un fiore le cui radici affondano nel letame e nel fango; ma si oppone allo psicanalista che, concentrata tutta la sua attenzione sulle radici, nega l’esistenza dello stelo, l’organica parentela tra foglie e stelo, o la bellezza del fiore. Come la radice non è tutto il fiore, così l’inconscio non è tutto l’uomo. Se siamo tanto ammalati da aver bisogno di uno psicanalista che esamini il nostro inconscio, non dobbiamo però dispensari dall’esame di coscienza. Il primo è a volte necessario, ma non può mai SOSTITUIRE il secondo.
Il fatto che un medico ci somministri un farmaco per guarirci dall’anemia non ci sottrae alla costante necessità di purificare il sangue mediante la respirazione. Similmente, sui può dare talvolta la necessità di analizzare l’inconscio ove si voglia appurare se un’idea sia stata repressa o soppressa; ma sempre dobbiamo ricorrere al’esame di coscienza per sapere se il movente di un’azione fosse buono o cattivo. (Acquistata questa conoscenza, si può anche scoprire la causa della repressione.) A volte è utile analizzare atteggiamenti o stati d’animo, ma è SEMPRE necessario analizzare la volontà e accertarne l’eventuale colpa. È un procedimento è più doloroso di quello della psicanalisi: un uomo può andar fiero delle sue idee, può vantarsi del suo scetticismo, del suo agnosticismo, della sua perversione, ma la sua coscienza non si glorierà mai delle proprie colpe, delle proprie vergogne, della propria miseria. Anche nell’isolamento, una coscienza colpevole è turbata. Desidera sottrarsi al tormento che viene dal conoscersi, lasciando che altri se ne assuma il compito. Non si radio si verifica il caso che una anomalia mentale sia effettivamente dovuta a tare ereditarie, o a crudeltà di genitori, o ad ottusità di educatori; ma non bisogna mai dimenticare che il più delle volte i veri colpevoli siamo noi, onde dobbiamo batterci il petto confessando: "Mia colpa, mia colpa, mia massima colpa". Talvolta avvertiamo il bisogno di abbandonare il nostro inconscio all’esame di un estraneo, così come sentiamo il bisogno di abbandonarci su un letto; ma a meno che noi ci decidiamo ad abdicare del tutto la nostra personalità in favore di un altro, dobbiamo pur sempre conservare il diritto di scavare entro la nostra anima, di penetrare nel profondo del nostro dominio mentale. Nessuno è mai diventato migliore sol perché altri gli ha dimostrato quanto è corrotto; ma molti sono diventati migliori confessando apertamente le loro colpe,.
Spesso avviene che, quando l’inconscio diventa conscio, le turbe mentali scompaiono. (Con ciò, tuttavia, non ci emenda l’eventuale infrazione a qualche principio oggettivo.) Si danno casi in cui è moralmente utile portare alla luce del conscio le sostanze psichiche celate nell’inconscio, perché, venendo a conoscenza di queste sostanze, il soggetto acquista la capacità di trattare con esse e di fare quindi un uso migliore del proprio Io volgendo le proprie energie verso mete più ragionevoli.
Nessuno negherà che l’efficacia dell’analisi dipende dal metodo, ma il metodo non sostituisce il pentimento. Né una psicologia penetra profondamente entro gli umani problemi se si limita a interpretare l’uomo in termini di istinti e di conflitti di istinti, o se attribuisce a tutti i conflitti origini istintive, sostenendo che NELL’UOMO NON VI SONO ALTRI ELEMENTI. Negli animali non vi sono che istinti; non così nell’uomo. Gli istinti di un animale rispondono così bene alle sue eventuali condizioni che si avvicendano automaticamente. Come dice S. Tommaso, in un essere irragionevole non può esservi deliberazione (anche se abbiamo l’impressione che vi sia); non vi è che una reazione di forze, in quanto che l’aspetto più attraente si rivela più forte e finisce col determinare il comportamento. Negli animali gli istinti operano secondo la scala delle energie fisiche, la più forte delle quali ha sempre la prevalenza, perché gli animali sono del tutto privi di quella libertà che caratterizza l’uomo.
Siccome è libero, l’uomo può peccare, mentre gli animali non lo possono. Il peccatore può aver bisogno dell’introspezione, ma ha CERTAMENTE bisogno di un aiuto che venga dall’esterno a riportarlo al bene. Una profonda differenza tra esame di coscienza ed esame dell’inconscio è questa: che il secondo rimane soggettivo e può rinchiudere il paziente entro il suo Io, come uno scoiattolo in una gabbia. Ha detto uno psicologo: "Voi non potete vedere quello che cercate perché rimanete nella vostra stessa luce". Ossia: voi cercate voi stessi cerando proprio ciò che a sua volta cerca qualche cosa. è come tentare di osservarsi mentre ci si addormenta. Ma nell’esame di coscienza si esce da se stessi il più presto possibile, permettendo alla luce di Dio di penetrare entro di noi. È Cristo che guarda nell’anima e scruta la coscienza. Perciò nella sacra Scrittura troviamo con tanta frequenza l’invocazione: "Guarda nella mia anima, o Signore". E quando la Luce Divina guarda entro lo Spirito, fa sì che questo esca da se stesso evitando le molte miserie che scaturiscono da una eccessiva introspezione…
L’esame di coscienza è il porsi dell’anima di fronte a se stessa, sotto lo sguardo di Dio. Non è una operazione interamente umana, perché Dio vi coopera; ma è, in compenso, un’opera che ogni uomo è perfettamente in grado di compiere da solo, o, almeno, di avviare, senza bisogno di "specialisti" o di "esperti" a pagamento. La confessione, che fa seguito al’esame di coscienza, ne è la logica conseguenza: l’anima si pone da se stessa sulla bilancia, e si trovo in difetto; quel difetto ha un nome preciso, "peccato". Non è un impulso oscuro e misterioso, è una trasgressione consapevole delle leggi divine, che si fondano sull’amore: perché l’anima sa quando trasgredisce ad esse, così come sa quando vi si conforma. L’anima sa quello che avviene in se stessa, mentre la coscienza può anche ignorare quel che avviene nell’inconscio. Non si vuole, con ciò, negare l’esistenza dell’inconscio; sarebbe come voler negare che, al di sotto del pavimento della casa, vi sono le cantine; si vuol negare, però, che le cantine siano così importanti, da determinare la struttura, l’orientamento e perfino l’arredamento dei piani superiori. Il palazzo è il palazzo, con i balconi fioriti, le ampie terrazze e il sole che le illumina; le cantine sono le cantine, umide, fredde e buie, popolate di topi e scarafaggi. Non si deve confondere il conscio con l’inconscio, né attribuire troppa importanza all’inconscio, tranne nel caso di gravi patologie della mente. Ci si dimentica troppo spesso che la psicanalisi è nata come il tentativo di dare una spiegazione e indicare una via di guarigione ai malati, non ai sani. La grande maggioranza delle persone non dovrebbero vedere se stesse attraverso le lenti della psicanalisi, e meno che meno della psicanalisi freudiana, la più materialista e la più determinista di tutte: ne risulterebbe un ritratto inattendibile, preoccupante e gravemente deformato della loro vera natura.
Gli esseri umani, in condizioni normali, sanno quel che fanno, sanno quel che vogliono e sanno quel che sentono: non sono in balia di un inconscio delirante e potenzialmente distruttivo. Possiedono il bene prezioso del libero arbitrio, anche se le circostanze in cui vivono e devono fare le loro scelte sono, talvolta, oggettivamente difficili. Ma "difficoltà" non è la stessa cosa che "impossibilità": solo le persone gravemente malate al livello della loro sfera mentale risultano incapaci di intendere e di scegliere liberamente. Di regola, quando noi facciamo il male, sappiamo di farlo: altro discorso è dire che non vedevamo ragioni sufficienti per resistere. Tuttavia, non sarebbe onesto dire che "non potevamo opporci", dopo averlo commesso: abbiamo sempre una possibilità, anche se, lo ripetiamo, a volte si tratta di operare scelte difficili, che ci mettono a dura prova. Ma è chiaro che la prova è tanto più dura, quanto più ci siamo abituati a viziare il nostro ego e a dargli tutte le soddisfazioni che vuole, senza mai imporgli una disciplina, un senso del limite, una capacità di auto-controllo. Resistere alla tentazione del bicchiere è tanto più arduo per chi inclina all’abuso dell’alcol, mentre risulta assai più agevole per chi ha dato un ordine e una disciplina alla propria vita, ha stabilito una scala di valori, e ha esercitato la propria volontà a servire fedelmente la voce della coscienza. Chi cede completamente al male, di regola, è colui che ha preparato lentamente la propria caduta, trascurando tutte le occasioni di bene e indulgendo a tutto ciò che ottunde la volontà e confonde il giudizio, quasi a volersi precostituire un alibi.
Davvero, è troppo facile dire, come fa Luigi Pirandello (nel titolo di uno dei suoi incomprensibili e allucinanti drammi): Non si sa come. A meno che siamo gravemente malati, noi sappiamo perché facciamo una cosa piuttosto che un’altra, così come sappiamo se quello che stiamo facendo sia bene o male. La coscienza ce lo dice, per quanto siamo tentati di mettere a tacere la sua voce. Non vi sono persone talmente indurite nel male da non udirla più del tutto; vi sono, però, delle persone talmente indurite nel male, da udirla sempre più debolmente, sempre più fiaccamente. Perciò, l’esame di coscienza è un esercizio necessario, che va fatto con regolarità, anche perché ci abitua a non essere troppo indulgenti con le nostre debolezze, a sorvegliare i nostri difetti, a corroborare le nostre forze, i nostri buoni proponimenti e la nostra fermezza d’animo.
E poi, bisogna affidarsi a Dio, e consegnare a Lui la propria debolezza, la propria fragilità, per domandare il suo aiuto. Che verrà sicuramente, anche se, forse, non nei tempi e nei modi che noi avremmo sperato e desiderato. Ma si deve sempre ricordare che le Sue vie non sono le nostre vie, e i Suoi pensieri differiscono dai nostri pensieri. Lui vede e sa; noi siamo come ciechi e stolti. E siamo tanto più ciechi e tanto più stolti, quanto più ci crediamo sapienti e intelligenti. Non è forse per questo che Gesù Cristo eruppe in una esclamazione di esultanza, dicendo: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli? Sì, o Padre: perché così è piaciuto a Te"? (Matteo, 11, 25-26).
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