
Ave Maris Stella
22 Novembre 2016
Ma non è la voce del buon pastore
23 Novembre 2016Sulle prime pagine dei giornali è stato un coro all’unisono: il papa assolve l’aborto. Tutti hanno dato questa chiave di lettura della Lettera apostolica Misericordia et misera, con la quale ha voluto concludere l’Anno Santo, e con la quale viene resa permanente la delega ai sacerdoti (e non più solo ai vescovi) per assolvere i credenti dal peccato di procurato aborto volontario: tanto le madri che hanno abortito, quanto medici e infermieri che hanno eseguito l’intervento.
Fra tutti, spicca il quotidiano La Repubblica, capofila di un vero e proprio "partito", quello della cultura gnostico-massonica, che vorrebbe assorbire e rimodellare, secondo le sue idee ispiratrici, la Chiesa cattolica, e che mai come in questi ultimi tempi sembra essere giunto a un passo dal trionfo della sua paziente ed abile strategia d’infiltrazione. Il titolone del 22 novembre 2016 recita: Aborto: la battaglia sui temi etico, così Francesco sfida i vescovi conservatori, dove il tutto sembra ridursi a una battaglia ideologica fra conservatori e progressisti, con il papa all’attacco dei primi e alla testa dei secondi, ben deciso a far prevalere la sua fazione. Tristissima (e interessata) interpretazione; ma anche, paradossalmente, fin troppo veritiera. La lettera apostolica di papa Francesco altro non sarebbe, insomma, che una risposta alla lettera, indirizzata al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, in cui quattro eminenti cardinali chiedevano chiarimenti sui punti controversi della Esortazione apostolica Amoris laetitia, quelli riguardanti l’Eucarestia ai separati e ai divorziati risposati (che, sia detto fra parentesi, non è stata degnata di una risposta). Come dire: se i cardinali conservatori esprimono perplessità sulla faccenda del divorzio, il papa reagisce attaccando ed alzando ulteriormente la posta, cioè mettendo sul tappeto la questione dell’aborto. E afferma che "non bisogna frapporre ostacoli" alla misericordia di Dio, cioè, in pratica, che qualunque sacerdote ha il poter di rimettere il peccato di aborto nella confessione ordinaria. Cioè nella confessione in cui altri si accusano, forse, di aver rubato delle caramelle.
Andiamo a leggere il commento del giornalista Paolo Rodari:
"Adesso speriamo che non si banalizzi il peccato dell’aborto". Fatica a dire altro quella parte di Chiesa, settori minoritari ma comunque parecchio agguerriti, che non vede di buon occhio i tentativi di Francesco di privilegiare la grazia sulla legge, lo spirito sulla lettera. La pubblicazione del documento "Misericordia et misera" allarga il solco tra il papa e i conservatori. Fra "chi è ossessionato dalla perdita degli spazi" di influenza e chi — spiega il filosofo Massimo Borghesi — confida in una libera testimonianza dettata dai "tempi di Dio". Dice ancora Borghesi: "Il processo di ideologizzazione è qui esattamente inverso a quello degli anni ’70 del Novecento. Allora l’ideologia della fede riguardava la sinistra cattolica affascinata dal marxismo. Oggi il processo di congelamento riguarda la destra "cristianista".
C’è una "destra", all’interno della Chiesa cattolica, che non tollera in nessun modo le aperture di papa Francesco. Una "destra" conservatrice e tradizionalista che per anni ha combattuto una sua battaglia sui temi etici. Sono diversi, infatti, i teologi morali che hanno costruito carriere importanti sulla difesa di una interpretazione ristretta dell’enciclica "Humanae vitae".
Ma che bravi questi giornalisti di Repubblica, vaticanisti di sinistra a tutto campo, e questi "filosofi" intervistati per l’occasione, pronti a sciorinare la "loro" verità su quel che sta accadendo nella Chiesa cattolica sotto il pontificato di Bergoglio. La premessa necessaria, per chi si ponga davanti ai fatti con un minimo di buona fede, è che l’ideologia, di cui è espressione La Repubblica, detesta la cultura cattolica, la presenza cattolica, il senso cattolico della vita; che vorrebbe veder sparire il cattolicesimo dalla vita degli italiani, sia come fatto privato, che come fatto pubblico; ma queste cose non le diranno mai, perché quei signori sono molto politicamente corretti, sono liberali, sono tolleranti; sì, un tantino radicali, ma sempre nel pieno rispetto delle idee di tutti, ci mancherebbe. Sta di fatto che, se procedessero a viso aperto, dovrebbero dire: Quel che succede nella Chiesa riguarda loro, i cattolici: noi, dal di fuori, e non da suoi amici, ma da avversari, facciamo il tifo per i progressisti, perché più vicini al nostro sentire, e perché, se vinceranno, riusciranno a fare quel che non abbiamo saputo fare noi, ossia stravolgere irrimediabilmente il nocciolo della fede cattolica: ma dall’interno, sicché essa verrà neutralizzata senza bisogno che noi ci sporchiamo le mani. Ma essi non hanno, né mai avranno, una siffatta dose di onestà intellettuale: no, preferiscono agire subdolamente, da serpenti che mordono strisciando.
E allora, invece di valutare con un poco di oggettività l’attuale travaglio della Chiesa, e prendere in considerazione, anche solo per amor di accademia, le ragioni degli "altri", cioè di quelli che essi chiamano "conservatori", mentre sono semplicemente i cattolici – mentre gli altri, i progressisti, sono, né più né meno, dei modernisti, cioè dei non cattolici -, ecco che si lanciano in banali tirate contro l’oscurantismo e l’ostruzionismo dei retrogradi, e battono le mani alle "coraggiose" iniziative del papa. Cosa c’è di più fazioso che presentare l’attuale contrasto dentro la Chiesa, come se fosse una lotta fra lo spirito e la lettera, fra la grazie e la legge? Banalità, schematismi, semplificazioni intollerabili: ma tant’è, per quel tipo di lettori va bene anche così: essi non vogliono la verità, vogliono che la realtà si pieghi ai desideri delle loro lenti ideologiche. Hanno sempre fatto così, e così continueranno a fare. E il bello è che si sentono intellettualmente superiori a tutti gli altri; chi legge La Repubblica si sente un gradino più in su di chi legge altri giornali. Migliore in tutti i sensi: sia come intelligenza, che come livello etico.
Ed ecco allora il filosofo di turno spiegare che i conservatori sono ossessionati dalla perdita degli spazi d’influenza; che sono simili — paradossalmente — ai cattolici di sinistra degli anni Settanta del XX secolo, affascinati dal marxismo; e che — questo è davvero un colpo basso, e anche poco intelligente — che alcuni teologi morali hanno fatto carriera aggrappandosi a interpretazioni restrittive della Humanae vitae di Paolo VI. A quei signori bisognerebbe ricordare: primo, che la Humanae vitae suscitò un coro di proteste, fin dall’inizio, e non già nelle sue "interpretazioni restrittive", ma nel testo originale, proprio dalla loro parte ideologica, nonché dai cattolici progressisti, cioè gli stessi che ora si spellano le mani ad applaudire le iniziative di Bergoglio; secondo, che i teologi morali sono quasi spariti, e quei pochi che restano non fanno certo carriera abbracciando il partito dei "conservatori", vista l’aria che tira nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II: e, pertanto, l’insinuazione che sia un meschino interesse personale a motivarli è una malignità perfettamente gratuita; terzo, che contrapporre a questi ipotetici "conservatori", la Chiesa di chi "confida in una libera testimonianza dettata dai tempi di Dio" equivale a negare il senso della Chiesa cattolica, e a volerla protestantizzare arbitrariamente. Perché la Chiesa cattolica non si fonda sulla libera interpretazione, ma sulla disciplina e sulla gerarchia; e, quanto ai "tempi di Dio", è un concetto talmente generico e bislacco, che lo può adoperare chiunque, per dire tutto e il contrario di tutto, e non solo un cattolico, ma anche un islamico, un buddista, un deista, un massone.
Non c’è niente da fare: non sono onesti. Non cercano la verità, non si sforzano di presentarla ai lettori, e non amano l’onesto confronto fra due parti diverse, che si misurano in base alle loro identità, ma prediligono le marmellate, i minestroni, gli amalgami, dove tutte le vacche diventano nere nella notte, e così le identità scompaiono e quel che resta sarà la "religione" sincretista e deista a loro sempre cara. Se amassero il dibattito aperto e leale, ammetterebbero che ciascuno deve fare il suo mestiere: i cattolici devono fare i cattolici, i comunisti devono fare i comunisti, i fascisti devono fare i fascisti, eccetera. Questa sarebbe chiarezza, questa sarebbe onestà: ci si confronta, ma mettendo le carte in tavola: ciascuno sia se stesso. Essi, invece, applaudono l’altro quando smette di essere se stesso, quando diventa simili a loro; se insiste a voler essere se stesso, a voler riaffermare la propria identità, a voler difendere i propri valori e i propri principî, allora lo qualificano di conservatore, insinuano che sia mosso da meschine ambizioni personali, lo dipingono come un fariseo che non sa staccarsi dalla lettera delle legge e che si allontana dallo spirito del Vangelo. Osano parlare del Vangelo, loro, che lo detestano: oh, ma questo non lo direbbero mai con franca lingua, da uomo a uomo; giammai: non è nel loro stile, anche perché dovrebbero gettare la maschera della tolleranza. Sono dei liberali, loro: e il loro padre nobile è John Locke, autore della celebre Lettera sulla tolleranza, del 1685. Peccato che i professori di sinistra, che leggono tanto volentieri La Repubblica, non spieghino mai ai loro studenti che, dai benefici della tolleranza, Locke escludeva esplicitamente i cattolici (e gli atei); e che, tre anni dopo la pubblicazione di quell’opera, il Parlamento inglese ne diede una dimostrazione pratica, spodestando illegalmente il primo e unico re cattolico che fosse salito al trono, in maniera perfettamente legale, da più di un secolo, cioè dai tempi di Maria d’Inghilterra, e chiamando a rimpiazzarlo un invasore straniero, l’olandese Guglielmo d’Orange, insieme alla figlia traditrice di Giacomo II, Maria II Stuart. Tolleranza, sì; ma giammai per i miserabili papisti.
Oggi, peraltro, gli amici di Repubblica non potrebbero chiamare "papisti" i cattolici, perché, per la prima volta nella storia, è stato eletto papa un uomo che non riflette più la Tradizione della Chiesa (e scriviamo Tradizione con la maiuscola, giacché, per i credenti, non si tratta d’un "deposito" puramente umano, ma di origine soprannaturale) e che ha causato profonde lacerazioni, drammi di coscienza, disagio e sofferenza in un numero significativo di fedeli. Ridurre tutto ciò a una battaglia di retroguardia dei "conservatori" vuol dire immiserire il quadro e falsificarlo nella sostanza; parlare di una lotta fra "destra" e "sinistra" nella Chiesa, e sia pure fra virgolette, significa trasporre all’interno del cattolicesimo, che è — fino a prova contraria – una religione, cioè un fatto eminentemente spirituale, la terminologia e gli schemi concettuali della realtà profana, e precisamente dell’ideologia politica. Ma ciò è sbagliato e disonesto. I cattolici non sono di "destra" o di "sinistra": e se, per caso, si dichiarano tali, allora non sono più cattolici, perché hanno stravolto e tradito il senso della loro identità; che è una identità religiosa e non già ideologica nel senso corrente del termine, tanto meno politica. Ma come potrebbero capire una cosa tanto semplice, dei signori che non sanno guardare al reale con un minimo sforzo di verità, ma che sono abituati, da sempre, a vedere le cose nel senso prescritto dai loro pregiudizi progressisti e modernisti?
Sia come sia, di loro non c’importa. C’importa della Chiesa, e, quindi, c’importa di sapere cosa pensa il papa di tutto ciò. Non si aspettava che i giornali si sarebbero allineati alla interpretazione di Repubblica, il cui nume tutelare, Eugenio Scalfari, è suo buon amico (come lo è la signora Bonino), che egli incontra con regolarità, rilasciando interviste sconcertanti? Non lo sa che i medici e gli infermieri i quali, sull’aborto, praticano l’obiezione di coscienza, sono da tempo nel mirino del partito progressista, e che la scure del legislatore si appresta a colpirli, minacciandoli di sanzioni e di licenziamento, se non deporranno le loro "fisime" cattoliche? E non s’immagina che la sua lettera apostolica verrà letta come un’autorizzazione a procedere contro di loro, dato che perfino lui, il papa, mostra di essere meno severo nei confronti dell’aborto? Sì, certo; ha ribadito che l’aborto rimane un peccato grave. Diciamo meglio: è un omicidio. Per un cattolico, è un omicidio: visto che non lo dice il papa, diciamolo noi; l’importante è che qualcuno lo dica. Non è lecito giocare con le parole, su questioni di tale gravità. E per assolvere un omicidio, basta un qualsiasi sacerdote, in un qualsiasi confessionale? Non è come dire che si tratta di un peccato non poi tanto grave, e che basta una bella confessione per lavarsene la coscienza, come dopo un furto di caramelle? Torniamo a domandare: come è possibile che papa Francesco non sia sfiorato mai da tali dubbi?
Il momento è assai cupo. Sembrano realizzarsi alcune oscure profezie, ad esempio della beata Katharina Emmerich, la quale "vide" arrivare una Chiesa apostatica, un clero infedele al Vangelo, un generale sbandamento delle coscienze, una perdita della fede ed una feroce secolarizzazione mascherata con nomi melliflui. Il punto è sempre lo stesso, prima e dopo il Concilio Vaticano II: se sia lecito, per venire ad un "dialogo" col mondo, che la Chiesa adotti la prospettiva del mondo, il suo sentire, il suo modo di pensare, perfino il suo linguaggio; e che finisca per abolire le differenze fra se stessa e il mondo. E, come sempre, in tempi di confusione e disorientamento, il pensiero deve correre al divino Maestro: il quale, a quanto ci risulta, non dialogava con il mondo, ponendosi su un piano di parità con esso, ma lo esortava a convertirsi. A questo scopo, cioè per la conversione del mondo, ha mandato i suoi apostoli a predicare il Vangelo, annunciando loro che il mondo li avrebbe perseguitati, non che li avrebbe applauditi. Ora, il mondo odierno sta applaudendo papa Francesco a più non posso: e più lo applaude, più una parte della Chiesa è in sofferenza. Ciò non gli dice niente?
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