
La neochiesa ha steso il silenzio sul Giudizio
5 Novembre 2016
Ma quante contorsioni per attenuare il ruolo dei “fratelli maggiori” nella morte di Gesù
6 Novembre 2016Il mondo moderno, a partire dalla fine del Medioevo, si è progressivamente secolarizzato e infine, nell’ultimo secolo, è passato dalla secolarizzazione al secolarismo: dalla presa di distanza, da parte della società profana, della religione, al rifiuto sempre più deciso e sempre più radicale di essa. Se, poi, dalla società in generale, passiamo al singolo individuo, e specialmente a quello che si suole chiamare una persona colta, osserviamo lo stesso fenomeno, che si manifesta soprattutto come impossibilità psicologica della fede, impossibilità che, a sua volta, genera sia l’indifferenza, sia l’animosità rancorosa e aggressiva (vedi le società per lo sbattezzo e tutte le azioni parlamentari miranti a rendere di fatto impossibile l’esercizio dei valori religiosi, dal momento che una rigida distinzione fra l’individuo come cittadino e l’individuo come credente è, per ovvie ragioni, impossibile). I dati statistici lo confermano: dalle indagini sociologiche condotte su campioni significativi, risulta che i cristiani praticanti si concentrano nelle fasce socio-culturali più basse; mano a mano che il livello socio-culturale sale, la fede sembra evaporare. Tuttavia, qui vi è un fatto di enorme portata, già rilevato da altri, ad esempio da Vittorio Messori: quando si sale oltre una certa soglia dell’istruzione superiore e universitaria, e i campioni riguardano persone che possiedono titoli di studio decisamente superiori alla media, ad esempio più lauree, o un cospicuo patrimonio di letture e di esperienze culturali, la tendenza s’inverte nuovamente: riappare la fede, arretra l’irreligiosità. La conclusione ci sembra evidente: non è la cultura a inibire la fede; non è il sapere a rendere increduli, ma sono la mezza cultura e il mezzo sapere. Cioè quell’orribile mescolanza di sapere e di non sapere, malamente impastati e senza ombra di vero spirito critico, che caratterizza il livello medio dell’istruzione nei Paesi occidentali moderni, frutto in primo luogo della scuola di massa. La scuola di massa, così come l’università di massa, producono persone mezzo sapienti e mezzo colte: che sanno qualcosa, ma non abbastanza per vedere l’insieme, anzi, anche solo per sospettarne l’esistenza; che ragionano, in apparenza, con la loro testa, ma solo finché la loro testa funziona come vogliono i libri di testo, i professori e la cultura dominante, della quale sia i libri di testo, sia i professori, non sono, a loro volta, che le volonterose cinghie di trasmissione.
In altre parole: il conformismo culturale produce piattezza intellettuale; la piattezza intellettuale produce ignoranza e presunzione; l’ignoranza e la presunzione si appagano di quel che sanno, o che credono di sapere, e di quel che hanno capito, o credono di aver capito, per partire all’attacco, con le sciabole sguainate, gridando "Savoia!", pronti a spazzare via qualsiasi nemico si annidi dietro le formule scaramantiche del politically correct: il populismo, il razzismo, il fascismo (ma non, chi sa perché, il comunismo), l’antisemitismo, il fondamentalismo, eccetera, eccetera. Nell’ambito della religione: il conformismo culturale della modernità ha deciso (perché lo ha stabilito qualcuno, non si sa bene chi, né quando, né come: ma lo si sa, altrimenti non lo si penserebbe – che essa è sorpassata e indegna di uomini liberi e intelligenti; dunque, un sorrisetto di superiorità accompagna qualsiasi riferimento a Dio, alla fede, alla santità, al peccato e alla grazia.
Naturalmente, questo è solo un banalissimo pregiudizio positivista, datato di centocinquant’anni; ma costoro non lo sanno, e, credendo di essere all’avanguardia dei Tempi Nuovi, si affannano a buttare palate d’immondizia sulla fede e sui credenti, qualificando questi ultimi di asini, cretini, non pensanti, dall’alto del loro mezzo sapere e del loro aver capito a metà. Un classico esempio ne sono i libri di Piergiorgio Odifreddi, che sarebbero un insulto alla vera intelligenza, se non fossero, semplicemente, illeggibili per una persona dotata di tale facoltà; la quale, dopo due pagine, non può che chiuderli e dimenticarli come un caso da manuale di supponenza e ridicola presunzione, condita con dosi industriali di narcisismo: Guardatemi quanto sono intelligente! Guardatemi quanto sono brillante! Guardatemi quanto sono spregiudicato!
Non varrebbe nemmeno la pena di sprecare tempo con simili cose, in verità avvilenti, se non fosse che l’arroganza e la pervicacia di costoro sta crescendo un po’ troppo e, ad andare sempre per le perse, c’è da temere che perdano del tutto la testa e, credendosi infallibili e onnipotenti, tentino d’instaurare il regno del cretinismo scientista. Vi sono già chiari segnali che si sta andando in tale direzione, dunque è bene correre ai ripari e non sottovalutare il pericolo, al di là della estrema modestia intellettuale e culturale di personaggi siffatti. Ne va della libertà di ricerca, di espressione e perfino di opinione, nel prossimo futuro: se si lasciasse fare ai signori del C.I.C.A.P., ad esempio, andrebbe a finire che delle persone altamente spirituali, per il solo fatto di essere state protagoniste di una visione mistica, verrebbero messe sotto accusa, screditate, ridicolizzate, emarginate e, magari, multate per disturbo della quiete pubblica o per sfruttamento alla credulità popolare. Allo stesso modo, un medico che sconsigli il suo paziente di farsi vaccinare, rischia una denuncia dal suo ordine professionale, oltre al licenziamento dalle strutture sanitarie pubbliche; mentre uno storico, che tocchi certi temi non politicamente corretti, per esempio che contesti la cifra ufficiale delle vittime del genocidio degli Ebrei nella Seconda guerra mondiale, rischia la denuncia per negazionismo e apologia del nazismo, con la prospettiva della prigione; o una maestra che osi domandare ai suoi bambini chi sono i loro papà e le loro mamme (non tenendo presente che quel bambino potrebbe avere due papà o due mamme), tanto per familiarizzare e farli sentire a loro agio, rischia una querela e una pesante sanzioni amministrativa e penale, in base ad una legislazione anti-omofoba che rischia di diventare un bavaglio e uno strumento di pressione ideologica volta a legittimare pienamente l’ideologia gender e a zittire con l’arma del ricatto chi non la condivide.
Tornando alla fede religiosa: la sua nemica non è, e non è mai stata, la cultura, ma la mezza cultura; né il sapere, ma il mezzo sapere; né la ragione, ma la mezza ragione. Vi sono state epoche in cui i più grandi geni dell’umanità hanno armonizzato benissimo la ragione e la fede, la cultura e la fede, il sapere e la fede, trovando, anzi, il modo di arricchirli vicendevolmente. E vi sono state epoche nelle quali non era affatto naturale essere increduli, né una persona di buon senso si sarebbe sognata di pensare che il sapere e l’intelligenza siano incompatibili con la fede; delle epoche in cui la cosa strana era che qualcuno non credesse, ed era costui a dover motivare la propria miscredenza, e non già il credente, a dover motivare, e quasi giustificare, la propria fede. Oggi una persona di mezza cultura ritiene che sia ovvio considerare la fede religiosa come un residuo del passato, di una mentalità magica e primitiva, destinata a scomparire naturalmente; ma questa è un’idea del tutto moderna, che non è mai stata condivisa da nessuna delle civiltà precedenti, e che Socrate, Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso d’Aquino, Dante, Petrarca, Michelangelo, Campanella, Cartesio, Pascal, Newton, Voltaire, Mazzini — persone molto diverse fra loro, come si vede, non solo per l’epoca in cui vissero, ma anche per il loro orientamento intellettuale — avrebbero trovato incomprensibile, assurda e perfino ripugnante. Peraltro, le persone di mezza cultura tendono a parlare della religione e della fede come se fossero un’unica cosa. In realtà, la fede comprende la religione, perché è qualche cosa di più: è la relazione diretta con Dio, che si attua nella preghiera e che trova nella religione la sua espressione liturgica e comunitaria. Viceversa, la religione può esistere — in apparenza – anche con poca o nessuna fede, perché una persona può osservare le norme religiose e frequentare i riti e le cerimonie, pur non avendo affatto, o avendola perduta, la fede in Dio. È chiaro, quindi, che una religione, disgiunta dalla fede, è come un guscio vuoto, un involucro gonfio di vento; questo, probabilmente, è quel che sta accadendo a moltissimi cristiani, o sedicenti tali, i quali continuano a far battezzare i loro figli, a sposarsi in chiesa e a recarsi alla Messa domenicale, mentre, nella dimensione intima della coscienza, non vivono alcun rapporto con Dio, e, nelle circostanze della loro vita, si regolano come se Lui non ci fosse, e sia necessario far conto solamente su se stessi.
Questo significa che il problema della mezza cultura che rende impossibile la fede si è spostato dal mondo profano alla cristianità stessa e all’interno della stessa Chiesa cattolica. La Chiesa è piena di fedeli, di sacerdoti e, ormai, anche di vescovi, per non parlare dei teologi, i quali manifestano fedeltà alla tradizione religiosa, ma hanno perduto la cosa più importante: la fede; tuttavia non ne sono consapevoli, o non lo vogliono ammettere, per cui seguitano a muoversi all’interno della Chiesa come se avessero ancora la fede, ma, di fatto, come degli increduli. Le conseguenze sono gravissime: privata della fede, la religione è morta e si trasforma in una brutta copia delle scienze dello spirito, un miscuglio di sociologia e di antropologia vagamente religioso, ma, in realtà, del tutto laica, del tutto immanente, del tutto materialista. Un prete che abbia perso la fede, e che, invece di chiedere la dispensa, continui a fare il prete, sarà portato a razionalizzare la propria incredulità sul piano della scienza moderna, e ad auto-convincersi che la sua fede non solo è viva e vegeta, ma, addirittura, più "profonda" e più "matura" di quella di tanti altri, per esempio delle persone semplici (dimenticando l’ammonimento di Cristo che bisogna accogliere la fede con la semplicità dei bambini). Di conseguenza, egli si porrà, nei confronti del suo ministero e della sua vocazione, come il portatore di questa nuova e più "matura" fede, razionalizzando il Vangelo, eliminando il mistero e il soprannaturale, ponendo in dubbio i dogmi, la vita eterna, la divinità di Cristo, e prendendosela spesso con le forme, a suo dire superstiziose, della fede popolare. Ebbene, un prete del genere può causare un danno morale e spirituale incalcolabile alle pecorelle del suo gregge; un vescovo così, che esercita una autorità, anche morale, su decine di preti e su migliaia di fedeli; o un teologo così, che vende decine di migliaia di copie dei suoi libri, costoro possono fare dei danni ancora più grandi. Sono dei seminatori di confusione, di turbamento, di scandalo.
Purtroppo, quel che sta accadendo oggi, nella Chiesa cattolica, riflette una dinamica di questo genere, moltiplicata per mille: non sono più singoli casi, più o meno scandalosi, di penetrazione della mentalità laicista e secolarista all’interno della dimensione e della vita religiosa; è la Chiesa nel suo complesso — almeno per la componente umana, sia ben chiaro — che sembra aver fatto propria la mentalità piccola e meschina della cultura positivista di fine ‘800: esiste solo quel che si vede; la scienza può spiegare tutto; il progresso non ha bisogno dello spirito, non ha bisogno di Dio, che, anzi, è un inciampo sulla via delle magnifiche sorti e progressive. Naturalmente, nessuno dei membri del clero, nessun teologo e nessun fedele laico osano esprimersi in questi termini, così netti ed espliciti: eppure, in tutto il loro modo di sentire, pensare ed agire, è entrato un punto di vista immanentista e razionalista, che ha eroso inesorabilmente lo zoccolo vivo della fede. Pertanto, costoro parlano e agiscono non come parlavano ed agivano i pastori e i credenti di cinquanta o cento anni fa, ma in modo del tutto nuovo, nel quale non si percepisce più il soffio dell’infinito, non si sente lo Spirito di Dio, ma si sente una mentalità puramente umana.
Facciamo un esempio. Un quarto d’ora fa, i media hanno diffuso la "notizia" (ma è davvero tale?) che un putiferio si è levato, fuori e dentro la Chiesa, perché il padre domenicano Giovanni Cavalcoli, dai microfoni di Radio Maria, ha ipotizzato che il recente terremoto nell’Italia centrale possa essere letto come un "segno" o un "castigo" di Dio per i peccato degli uomini, fra i quali l’approvazione legislativa delle unioni civili e dei cosiddetti matrimoni omosessuali. Apriti cielo, un coro di biasimo, di esecrazione, di vesti stracciate si è levato contro il malcapitato: dal Vaticano in giù, non c’è stato quasi nessuno che non abbia portato la sua brava pietra per lapidare l’infame. Ma che ha detto di tanto terribile, in definitiva, padre Cavalcoli? Ha detto quel che la teologia cattolica ha pensato e insegnato per secoli e secoli, e che sta scritto nella Bibbia stessa, e cioè che, quando la misura è colma, anche la pazienza di Dio si esaurisce, e agli uomini sono mandati dei segnali, anche molto forti — vedi il diluvio universale, o le dieci piaghe d’Egitto -, affinché si ravvedano. È una opinione sbagliata? Può darsi, Ma siamo arrivati al punto che un uomo di Chiesa non può più dire, a livello di ipotesi, quel che la Chiesa ha sempre detto e pensato, senza con ciò attribuire a costui la perfida intenzione di offendere i terremotati? Perché in quest’ultimo significato, con malizia e sapendo di travisare le sue intenzioni, i giornalisti si sono affrettati a presentare quelle frasi. Allora, lo dicano chiaro e tondo, una volta per tutte, codesti preti e teologi buonisti e modernisti, che son pronti a lapidare un loro confratello "tradizionalista" e che si riempiono sempre la bocca con la misericordia di Dio, ma non parlano mai della Sua giustizia: è sbagliato quel che sta scritto nella Bibbia? Ha sbagliato, per secoli e secoli, la teologia cattolica? Ha insegnato cose false e cattive? Oppure è sbagliata l’interpretazione cattolica delle Scritture? È meglio fare come i protestanti, che le interpretano ciascuno a suo modo? Oh, certo: la scienza. Aspettavamo questa obiezione: i terremoti sono prodotti da movimenti tellurici, e non dal volere di Dio. Ma qui torniamo al discorso iniziale: per la fede, la prima spiegazione non esclude la seconda; sono gli uomini piccoli, che pensano in piccolo, e che hanno una mezza cultura e un mezzo sapere, a ritenerle inconciliabili…
Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione