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«Negli ultimi tempi verranno uomini che non credono a niente… e rideranno di voi»

I falsi profeti, i falsi dottori, i falsi maestri: una razza che si moltiplicherà negli ultimi tempi, secondo quanto ammonisce la Bibbia.

Ebbene: questi falsi maestri avranno l’ardimento, o piuttosto la sfrontatezza, di spacciarsi per maestri di cristianesimo; saranno teologi, preti e vescovi che oseranno parlare a nome di Cristo e del Vangelo, ma lo faranno con modi demagogici e con parole menzognere, perché, in realtà, essi avranno perso la fede, e saranno uomini privi d’ogni fede. E forse gli ultimi tempi sono arrivati, o stanno per arrivare; forse dobbiamo prepararci, vegliando e pregando, come tante volte ha ammonito e raccomandato Gesù in persona; forse dobbiamo vegliare con particolare attenzione, proprio per saper riconoscere questi falsi pastori del gregge, e non ascoltare le loro menzogne, per non finire travolti nei loro stessi errori e nella loro stessa apostasia.

Dice, a questo proposito, la Seconda lettera di Pietro (3, 1-17):

Questa, o carissimi, è già la seconda lettera che vi scrivo, e in tutte e due cerco di ridestare con ammonimenti la vostra sana intelligenza, perché teniate a mente le parole già dette dai santi profeti, e il precetto del Signore e salvatore, trasmessovi dagli apostoli.

Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: "Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione". Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio: e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi.

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta.

Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo "nuovi cieli e una terra nuova", nei quali avrà stabile dimora la giustizia.

Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate d’essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.

Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dagli errori degli empi; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro e salvatore Gesù Cristo. A lui la gloria, ora e nel giorno dell’eternità. Amen!

La frase: verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni, si può anche tradurre (come fa Il Nuovo Testamento interconfessionale, Elledici/United Bible Societies, 2000) con verranno uomini che non credono a niente e vivono ascoltando le loro passioni; è chiaro, infatti, che gli schernitori beffardi sono uomini che non credono a niente, e che sono divenuti beffardi e schernitori appunto perché si fanno beffe della speranza cristiana nel ritorno di Gesù. Se ne fanno beffe perché, nel loro intimo, non ci credono, e perché hanno eretto le loro passioni a norma suprema della loro vita. Eppure, alcuni di essi osano camuffarsi da seguaci di Cristo, e tentano di accreditare una nuova interpretazione del Vangelo: quella che pretende di conciliare la parola di Cristo con gli istinti umani, e di santificare questi ultimi per mezzo dello stesso Magistero ecclesiastico.

In effetti, questo è ciò che sta accadendo. La Chiesa è ormai piena di falsi maestri che, se pure non deridono apertamente la speranza cristiana, stanno però facendo qualcosa di peggio, di più subdolo, di più pericoloso: strisciando, insinuandosi, conquistando i pulpiti più autorevoli, nelle diocesi, nella stampa cosiddetta cattolica, nelle rubriche radiofoniche e televisive, stanno scalzando a poco a poco, senza fretta, con metodo, con pazienza incrollabile, con tenacia diabolica, le basi stesse della fede: buttando una parola qui, una parola là; compiendo un gesto qui, un gesto là. Oggi è un vescovo che nega che Dio abbia distrutto col fuoco Sodoma e Gomorra, per meglio far risaltare la Sua "misericordia", ma, intanto, suggerendo che il peccato dei sodomiti non era — e non è – poi così grave, come per tanto tempo ci è stato raccontato; un altro giorno è un altro monsignore che se la prende con la "teologia della paura" della Chiesa di qualche anno fa, e che suggerisce che Dio è un amicone, sempre pronto a scherzare ed a batterci una mano sulla spalla, e che mai si permetterebbe di essere così indiscreto da domandarci dei sacrifici, delle rinunce, perché egli desidera solo la nostra felicità, qui e ora (dato che parlare della vita eterna è roba sorpassata, roba da Medioevo); un’altra volta ancora è un vescovo, magari lo stesso della occasione precedente, che richiama tutti i cattolici al "dovere" dell’accoglienza verso i migranti, anche se non si tratta di accoglienza, ma del suicidio del nostro popolo e della nostra civiltà, e anche se non sono migranti, ma invasori, mandati avanti nel quadro di una strategia della conquista e della sostituzione di popoli, perfettamente pianificata in certe sfere politico-finanziarie.

E poi c’è il singolo prete, il singolo parroco, che sgrida le sue parrocchiane, perché è stanco di vederle portare fiori in chiesa, per metterli davanti all’altare della Madonna: magari col pretesto di "tener pulito", ma, in effetti — e il messaggio non potrebbe essere più chiaro — perché, alla maniera dei protestanti, quella Madonna, il cui altare è sempre addobbato di fiori freschi, gli dà un tantino fastidio, gli ricorda superstizioni del passato, è in antitesi con la Chiesa che egli ha in mente: moderna, razionale, pragmatica, efficiente, proiettata verso il futuro, verso Internet e il digitale, altro che Rosari e pellegrinaggi a Medjugorje (altra abitudine che gli dà parecchio sui nervi). In compenso, quel prete parla sempre d’impegno sociale e politico, di cambiamenti economici, di giustizia e ridistribuzione delle ricchezze; a sentirlo predicare ci si dimentica che sia un prete cattolico e si potrebbe pensare che sia un professore di sociologia o di economia politica, ma di quelli progressisti, sia ben chiaro. Di Gesù Cristo non parla, se non come di una specie di rivoluzionario venuto sulla terra per darci l’esempio della lotta per la giustizia, dell’amore per la terra e per la natura, e per insegnarci a costruire un mondo migliore. Che Gesù sia il Figlio di Dio, Salvatore dell’umanità e Redentore del mondo, questo non lo dice: è un linguaggio che non gli appartiene, si vede che nei seminari non si insegna più così la pastorale.

Un’altra volta ancora è l’insegnante di religione cattolica, una bella signora tutta truccata e attillata, tutta tirata a lucido come per andare a una serata elegante, tacchi a spillo e tinta biondo platino con permanente inossidabile, la quale, facendo lezione agli studenti, banalizza costantemente i profondi Misteri della religione cristiana, e porta ogni cosa su di un piano pratico, immediato, fruibile — come oggi si usa dire — nel modo più rapido possibile; che evita di proposito gli argomenti più scottanti (e qui la si può anche capire, poverina: rischierebbe una denuncia alla prima frase non politically correct che le scappasse di bocca), per lanciarsi in sperticati elogi della neochiesa modernista e progressista e per compatire e ridicolizzare la semplice, schietta fede dei nostri nonni; per tessere le più alte lodi dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, intesi come relativismo e indifferentismo e come rinuncia all’idea che la Verità non si possa trovare sparsa un po’ qua e un po’ là, magari in parti uguali per non fare torto a nessuno, ma si debba trovare, per forza di cose, tutta intera, nel Vangelo, almeno se ci si vuol dire cattolici e non sincretisti, deisti, panteisti o teosofi, e Dio sa cos’altro. Insomma, la sua preoccupazione prioritaria è quella di farsi perdonare il fatto di esistere, sia dai colleghi che dagli studenti; il fatto di essere quel che è, cioè, almeno in teoria, una insegnante di religione cattolica (e non è una parolaccia…); e la disperata volontà di farsi accettare, di farsi stimare, di farsi benvolere, non per quel che ha da dire secondo la sua fede e la sua missione in quanto credente, ma secondo quel che piace al mondo, cioè secondo gli appetiti e le abitudini mentali della società moderna, profondamente imbevuta di scetticismo, di secolarismo, di consumismo, di edonismo e di materialismo spicciolo.

Per non parlare, poi, della morale cattolica, che si direbbe sia passata, nel giro di una generazione, dalla severità più rigorosa, anche nei rapporti sessuali fra legittimi sposi, alla tolleranza più disinvolta e al permissivismo più sconcertante, come se fosse stato dato il fatidico: Contrordine, compagni!, di sovietica memoria, e fosse diventato vero, giusto e bello, quasi di punto in bianco, ciò che poco era giudicato, invece, insopportabilmente brutto, sporco e peccaminoso. E qui si sente l’influsso di una certa strategia gesuitica, vecchia di secoli, secondo la quale non è importante — come diceva Deng Xiaoping — che il gatto sia rosso o nero, ma l’importante è che acchiappi i topi: cioè una strategia quantitativa, spregiudicata, finalizzata esclusivamente ad "arruolare" le grandi masse, magari a prezzo di molte, troppe semplificazioni, d’infiniti compromessi, di cedimenti — anche sostanziali — sul piano della forma liturgica e degli stessi contenuti dottrinali. Si sente, anche, e si taglia col coltello, il peso di una costante abitudine al conformismo, per cui molti "cattolici", che non hanno mai letto la Bibbia e che scambiano per verità teologica assoluta ogni battuta, anche la più estemporanea (e discutibile), che esce dalle labbra di papa Francesco, sono sempre pronti a dar ragione a chi ha parlato loro per ultimo, senza minimamente valutare se, in quei discorsi, c’è o non c’è la sacrosanta coerenza rispetto al Vangelo, c’è o non c’è il rispetto e la gelosa custodia della Tradizione, così come la Chiesa l’ha tramandata e difesa nel corso dei secoli. Vogliamo dire che, con lo stesso conformismo e con la stessa mancanza di senso critico con cui molti cattolici seguivano, magari anche alla lettera, tutte le norme e le disposizioni del periodo pre-conciliare (e quanti patemi d’animo se si aveva bevuto un caffè meno di un’ora prima di fare la Santa Comunione!), ora quegli stessi cattolici non si meravigliano a sentir parlare il loro parroco di divorziati che hanno "diritto" a comunicarsi, o di omosessuali che hanno il "diritto" di celebrare la loro unione, davanti agli uomini e davanti al buon Dio; e che non c’è nulla di strano – anzi, Dio lo vuole – se milioni e milioni d’islamici vengono a stabilirsi in Europa, tanto siamo tutti figli di uno stesso Padre, per cui moschee, chiese o sinagoghe è in fondo la stessa cosa.

La situazione è difficile. Il credente, oggi, non può più contare incondizionatamente, fiduciosamente sul sostegno, intellettuale e pastorale, della sua stessa Chiesa; perché vi sono dei settori della Chiesa che sono impazziti, che hanno fatto proprie le logiche del mondo, che sono caduti nell’apostasia ma non lo sanno, o non vogliono dirlo apertamente, e così traggono in inganno molti fedeli e li trascinano con sé nei loro errori, nella loro maniera peccaminosa – perché intrisa di superbia e di auto-sufficienza – di porsi rispetto a Dio. Dio non è più al centro dei loro pensieri: il Dio annunciato da Gesù Cristo; il Dio che viene incontro all’uomo con infinito amore, ma che vuole dall’uomo, in cambio, incondizionata umiltà e semplicità d’animo. Da questo li si riconosce, i falsi maestri degli ultimi tempi: dalla loro superbia, dalla loro mancanza di umiltà, dalla loro ritrosia ad annunciare il Dio di Gesù Cristo, amorevole e misericordioso, sì, ma anche giusto giudice e perciò severo, davanti al peccato contro lo Spirito Santo, esattamente come Gesù aveva detto. Il Vangelo che essi annunziano è molto, troppo umano: pare una costruzione umana, e non l’opera di Dio che si rivolge agli uomini per ricondurli a sé. Certo, non è facile nemmeno essere prete, oggi; o vescovo, o papa. Il mondo vuole imporre la sua mentalità alla Chiesa; sta a lei respingere questa suprema tentazione, quest’abbraccio mortale, ricordando le parole di Gesù: Vi lascio la pace, non come la dà il mondo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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