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Questo è il migliore dei mondi possibili?

A tutti, qualche volta, sarà capitato di porsi la fatidica domanda: ma il mondo in cui viviamo, in cui ci è stato dato di vivere, è davvero il migliore fra tutti quelli che sarebbero stati possibili? Oppure avrebbero potuto essercene uno, o più di uno, assai migliori di questo? E quando diciamo "il migliore dei mondi possibili", non ci riferiamo al mondo che gli uomini, se fossero animati da principi di saggezza e da buona volontà, potrebbero eventualmente realizzare da se stessi, ma al "mondo" nel senso più ampio del termine, alla natura della realtà fisica e della realtà spirituale, compresa la natura umana: non questo o quel singolo essere umano, né gli esseri umani in quanto soggetti della storia, ma l’essere umano nella sua essenza, cioè come specie distinta dalle altre, e capace non solo di vivere, ma di riflettere sulla propria esistenza, di porsi delle domande e cercar di trovare delle risposte. In altre parole: Dio, se lo avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo migliore di questo? Per esempio: un mondo nel quale non ci siano la malattia, la vecchiaia e la morte? Oppure un mondo nel quale non ci siano i terremoti, come quello di Lisbona del 1755, cosa che tanto disturbava Voltaire, al punto da considerarla come la "prova" della non provvidenzialità del mondo in cui viviamo? O nel quale non ci siano le eruzioni vulcaniche, gli tsunami, i tifoni, le pestilenze, che sono causa d’un grandissimo numero di vittime?

La risposta a questa domanda non è così difficile come potrebbe sembrare: dal momento che Dio, per definizione, è l’essere più perfetto che noi possiamo concepire, ne deriva che l’Essere perfetto non può pensare, non può volere, non può attuare se non ciò che è perfetto. E quando diciamo "perfetto", riferendoci non a Dio, ma a qualcosa che sia stato creato da Dio, non intendiamo "perfetto" in senso assoluto, perché, evidentemente, perfetto in senso assoluto è soltanto e unicamente Dio, con il che non potremmo più distinguere fra Dio e la sua creazione: dovremmo concludere che la creazione è illusoria, e che esiste solamente Dio, oppure che la distinzione fra Dio e l’universo è apparente, e quindi che l’universo è Dio, e Dio è l’universo. Ma la prima eventualità ci si pone come un’aporia insuperabile, perché, se esistesse una illusione cosmica che ci impedisce di percepire il mondo come l’altra faccia di Dio, tale illusione, evidentemente, sarebbe voluta da Dio stesso, e noi non avremmo alcuna possibilità di oltrepassarla; mentre la seconda eventualità, che è quella del panteismo, conduce a una impossibilità logica, perché, se il mondo è Dio, allora se ne dovrebbe inferire che il mondo esiste da sempre e che nessuno lo ha creato, il che va contro la legge di causa ed effetto, alla quale nessuna realtà materiale può fare eccezione (non esistono oggetti che abbiano in se stessi la causa del proprio essere, se non eterni; ma nessun oggetto materiale è eterno).

Si obietterà che il mondo non è solo di natura materiale; o che, quanto meno, non lo è l’uomo. L’uomo, infatti, non partecipa solo alla dimensione materiale dell’esistenza, ma anche a quella soprannaturale, che gli proviene dalla vita dell’anima: il che è vero. Sta di fatto, però, che la dimensione materiale è indispensabile all’esistenza del mondo, così come lo conosciamo, e di qualunque altro mondo, come lo possiamo immaginare; nel senso che noi possiamo immaginare un mondo totalmente spirituale, e quindi eterno, ma non sarebbe un mondo in alcun modo paragonabile a questo, nel quale le cose sono soggette a mutamento. Tutte le cose soggette a mutamento sono materiali; dunque, nessuna cosa materiale può essere pensata come eterna e come causa di se stessa; da cui l’impossibilità logica del panteismo. Siamo giunti, così, a una prima importante conclusione: dato il mondo come lo conosciamo e come lo possiamo concepire, non è possibile immaginare un mondo migliore di questo, perché, se esistesse, allora Dio lo avrebbe creato a preferenza di questo, che è stato effettivamente creato, e non a caso, ma come il migliore, cioè come il più perfetto, o, se si preferisce, come il meno imperfetto, rispetto a qualsiasi altro.

Pertanto, quando diciamo che Dio non avrebbe potuto creare un mondo più perfetto di questo, nel quale noi esistiamo, intendiamo parlare di una perfezione relativa, e non assoluta: della perfezione non rispetto a ciò che potrebbe essere migliore in senso assoluto, ma rispetto a ciò che potrebbe essere migliore nelle condizioni date. E le condizioni date discendono, appunto, dalla natura che è propria dell’universo materiale, così come lo conosciamo e così come noi possiamo arrivare a concepirlo: ossia con la necessità di avere in altro da sé la propria causa, e con l’inevitabilità del mutamento degli elementi che lo compongono.

Probabilmente, ciò che provoca una sorta di resistenza psicologica, da pare nostra, ad ammettere una verità così ovvia e intuitiva, come quella che abbiamo enunciato, è un fraintendimento circa il significato di "migliore": vale a dire, la dimenticanza, da parte nostra, che i termini "migliore" e "peggiore", nel mondo delle cose finite, hanno sempre un valore relativo e non assoluto. Ora, se ha un valore relativo, "migliore" non ha un significato "forte", ma "debole": non significa che sia veramente il migliore, ma, piuttosto, che è il migliore fra tutti quelli che, nelle condizioni date, avrebbero potuto esserci; cioè, lo ripetiamo, il meno peggiore (cfr. il nostro precedente articolo: ). Se ci è concesso un paragone, peraltro inevitabilmente approssimativo, potemmo pensare a un dipinto che si possa definire il migliore, fra tutti quelli che si potrebbero dipingere con quei tali mezzi a disposizione: con quei colori, con quella tela, insomma con quei materiali e con quelle tecniche che sono disponibili. Il miglior dipinto, allora, non sarà il migliore in senso assoluto, che sarebbe astratto e, perciò, irreale, ma in senso relativo, cioè in senso relativo e concreto: il migliore fra quanti avrebbero potuto essere dipinti, evidentemente da altri artisti, al posto di quello di cui stiamo parlando.

Tuttavia, si obietterà ancora, il mondo era assai diverso innanzi al Peccato originale: i primi uomini erano felici e innocenti, la natura era pacifica, e la morte non esisteva. Rispondiamo: queste cose, il credente le ritiene vere per fede, in quanto attestate dalla Bibbia; tuttavia, di quel mondo, noi non possiamo dire o sapere nulla, oltre a ciò che la Bibbia dice. Di quel mondo, quale effettivamente era, noi abbiamo perso anche il ricordo; pertanto, non siamo in grado di concepire in che modo l’uomo vi fosse felice e innocente, in che modo la natura fosse pacifica e in che modo la morte non esistesse. Il mondo che conosciamo, e qualsiasi altro mondo che siamo in grado d’immaginare, nelle condizioni date, e cioè in senso relativo e non assoluto, in senso materiale, o parzialmente materiale, e non puramente spirituale, è un mondo nel quale non si può prescindere né dalla infelicità e dalla malizia degli esseri intelligenti, né dalla lotta per la vita esistente in natura, né dalla mortalità di tutte le creature viventi. E, di nuovo: in un mondo concepibile all’interno di queste condizioni generali, nel quale non esistono né la perfetta innocenza e felicità, né l’armonia cosmica, né la perennità dell’esistenza, questo, nel quale ci troviamo, deve essere considerato, senza dubbio, come il migliore fra tutti i mondi possibili. Se ve ne fosse un altro, migliore di questo, perché mai Dio non lo avrebbe creato? Se avesse creato un mondo gravemente imperfetto, potendone creare uno più perfetto (ma sempre in senso relativo: perché stiamo parlando qualcosa che non è l’Essere, ma che riceve la sua esistenza dall’Essere), allora anche Dio sarebbe imperfetto, il che è assurdo: infatti, in tal caso, non sarebbe Dio, ma un dio "minore", un falso dio.

Scriveva Leibniz neI principi razionali della natura e della grazia (Les principles de la nature et de la grace fondés en raison, II, §§ 7-10; traduzione di S. Cariati, Milano, Rusconi, 1997, pp. 47-49):

§ 7. LA DOMANDA METAFISICA FONDAMENTALE E IL PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE.

Fin qui abbiamo parlato come semplici FISICI.

Adesso è necessario elevarsi alla METAFISICA, e perciò ci serviremo del GRANDE PRINCIPIO, in genere poco impiegato: NIENTE ACCADE SENZA RAGION SUFFICIENTE – vale a dire: Niente avviene senza la possibilità, per chi conosce abbastanza le cose, di rendere una ragione che sia sufficiente a spiegare perché avviene così e non altrimenti.

Una volta  stabilito questo principio, la prima domanda che si ha il diritto di porre sarà: PERCHÉ ESISTE QUALCOSA PIUTTOSTO CHE NULLA? Il Nulla, infatti, è più semplice e più facile di Qualcosa.

In secondo luogo, ammesso che debbano esistere delle cose, bisogna allora che sia possibile rendere ragione del PERCHÉ ESSE DEVONO ESISTERE COSÌ e non altrimenti.

§ 8. DIO COME ESSERE NECESSARIO E RAGION SUFFICIENTE ULTIMA DELL’UNIVERSO.

Ora, questa ragion sufficiente dell’esistenza dell’universo non è possibile trovarla nella serie delle cose contingenti, cioè dei corpi e delle loro rappresentazioni nelle anime.

In se stessa, infatti, la materia è indifferente al movimento e alla quiete, come pure a questo o a quel movimento particolar, ed è perciò impossibile trovare in  essa la ragione del movimento e, ancor meno,di un movimento specifico. E sebbene nella materia il movimento attuale derivi da un movimento precedente, e questo a sua volta da un altro precedente, tuttavia, per quanto lontano si vada [nella regressione], non si fa nessun passo avanti nella questione, la quale così resta ancora senza risposta.

Pertanto, la RAGION SUFFICIENTE che non ha più bisogno di un’altra ragione deve essere al di fuori di questa serie di cose contingenti e trovarsi in una Sostanza che ne sia la causa: e tale  Sostanza occorre che sia un Essere necessario recante in sé la ragione della sua Esistenza. Diversamente, non si avrebbe mai una ragion sufficiente presso cui arrestare la regressione.

Questa ragione ultima delle cose è ciò che chiamiamo Dio. 

§ 9. DIO COME ESSERE ASSOLUTAMENTE PERFETTO.

Questa Sostanza Semplice originaria deve racchiudere eminentemente le perfezioni contenute nelle sostanze derivate,  che ne sono gli effetti: così essa avrà Potenza, Conoscenza, e Volontà perfette, cioè avrà Onnipotenza, Onniscienza e Bontà sovrane.

E poiché la GIUSTIZIA, intesa in senso assai generale, è la bontà conforme alla saggezza, occorre che in Dio vi sia anche una Giustizia sovrana.

La ragione [sufficiente] che ha fatto esistere le cose da Lui, inoltre, le fa ancora dipendere da Lui sia nell’esistere sia nell’operare: in effetti, è da Dio che le cose ricevono in modo continuo ciò che consente loro di avere qualche perfezione, mentre le imperfezioni derivano dalla limitazione essenziale e originaria della creatura.

§ 10. LA CREAZIONE DEL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI.

Ora, dalla Perfezione suprema di Dio segue che, nel creare l’universo, Egli ha scelto il miglior piano possibile, in cui c’è la massima varietà col massimo ordine, il terreno il luogo e il tempo più adeguati, la massima quantità di effetti prodotta nei modi più semplici; le creature, inoltre, sono state dotate del massimo di potenza, di conoscenza, di felicità e di bontà possibili nell’universo.

Infatti, poiché tutti i Possibili pretendono l’Esistenza nell’Intelletto divino in proporzione al loro grado di perfezione, il risultato di tutte queste pretese non può non essere il mondo attuale come il più perfetto possibile. Senza di ciò, non si potrebbe affatto rendere ragione del perché le cose sono andate così piuttosto che altrimenti.

Una ulteriore obiezione potrebbe essere portata da un punto di vista ateistico: quel che abbiamo detto finora, è valido solo a condizione di presupporre l’esistenza di Dio; ma se Dio non esistesse? Questa obiezione sembra del tutto logica e legittima nel contesto della cultura moderna, che è un contesto materialista e ateista: però, a ben guardare, non è logica, né legittima, e tale è sempre stata considerata in tutto il corso della storia della filosofia, già molti secoli prima del cristianesimo, con poche e rare eccezioni. Infatti, senza Dio, cadrebbe il principio di ragion sufficiente e ogni cosa, compreso il nostro interrogarci sui grandi misteri dell’esistenza, diverrebbe assurdo e gratuito, nel senso di totalmente superfluo. E tuttavia, proviamo ad ammettere, solo per amore di discussione, che l’ipotesi ateistica non sia tale da screditare il senso stesso della domanda filosofica, e poniamo di nuovo la domanda: in un mondo senza Dio, potremmo immaginare un mondo migliore di questo? Non lo potremmo, e per due ottime ragioni. La prima: perché, se Dio non esistesse, allora nulla esisterebbe; altrimenti, da dove trarrebbe la sua esistenza, ciò che esiste? La seconda (facendo una ulteriore violenza alla logica): perché, allora, tutto proverrebbe dal caso; ma come immaginare che dal caso possa scaturire un mondo perfetto? Tanto varrebbe ammettere che gettando le carte a caso (dopotutto, sono solo 40 e non infinite) si disporrebbero in perfetto ordine, come nel mazzo nuovo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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