
Gesù “dialogava” col mondo, quando diceva: Andate, maledetti, nel fuoco eterno?
28 Settembre 2016
Antropologia del teologo-cameriere
30 Settembre 2016Søren Kierkegaard soleva ironizzare sui cristiani del suo Paese e del suo tempo, che erano tali, sì, ma "fino a un certo punto"; che ci credevano, sì, ma "fino a un certo punto"; che prendevamo sul serio Gesù e il Vangelo, certamente, ma sempre "fino a un certo punto". Più in generale, questa sembra essere la malattia dell’uomo moderno: non essere mai qualcosa fino in fondo, ma solo fino a un certo punto. Semi-uomini che vivono di mezze idee, di mezze passioni, di semi-ideali: che fanno quel che fanno, però senza mai arrivare alla piena coerenza: solo fino a un certo punto. Perché quando il gioco si fa serio, si fermano e tornano indietro.
Del resto, il relativismo oggi dominante — Benedetto XVI parlava di una vera e propria dittatura del relativismo — offre l’alibi perfetto a codesta semi-umanità di semi-vivi: nessuna causa merita di essere presa così sul serio, da spingersi fino in fondo; nessuna verità è così assoluta, da meritare la fedeltà perfetta: anzi, se così si facesse, si ritornerebbe al fanatismo e all’integralismo di epoche passate e, per fortuna, dimenticate. Del resto, non ha insegnato Luigi Pirandello che ciascuno di noi è uno, nessuno e centomila? E dunque, non sarebbe eccessivo pretendere che ci caliamo sino in fondo in una delle tane maschere sociali che formano la nostra personalità?
Quella del fino a un certo punto sembra essere diventata la filosofia universale dell’uomo moderno: almeno per quel che riguarda le cose serie, le scelte di fondo, le decisioni fondamentali, lo stile di vita. Per quel che riguarda le cose futili ed effimere, invece, vale la filosofia opposta: quella del fino in fondo. I tatuaggi, per esempio: le persone sono sempre più restie ad assumersi impegni durevoli; ma non esitano a farsi tatuare il corpo per "celebrare" legami e sentimenti passeggeri, che durano, sovente, lo spazio d’un mattino; non temono, quindi, di esibire sulla propria pelle la testimonianza di una stagione della loro vita che sarà presto dimenticata. Oppure un gioiello costosissimo; un telefonino o un computer di ultima generazione; un orologio d’oro: alcune di tali cose dureranno appena un paio d’anni, se tutto va bene; tuttavia, pur di averle, molte persone sono disposte a fare debiti o a imbarcarsi in defatiganti pagamenti rateali, che proseguiranno per anni e anni: in tali casi, sono disposte a perseverare sino in fondo.
Crediamo vi sia una relazione fra le due cose, fra la filosofia del fino a un certo punto e quella del sino in fondo; che siano l’una il rovescio della medaglia dell’altra; che si completino a vicenda, in quella creatura sdoppiata e schizofrenica che sempre più sta diventando l’uomo moderno (quel doppio uomo che è in me, diceva, nella epistola sull’ascensione al Monte Ventoso, il primo uomo moderno in assoluto: Francesco Petrarca). Siamo anche persuasi che tale sdoppiamento, tale lacerazione interiore, siano il risultato, tra le altre cose, di una fondamentale disonestà intellettuale, di una inveterata incapacità, o meglio indisponibilità, a guardarsi dentro, a leggere in se stessi con un minimo di sincerità e di lealtà, senza trucchi e senza maschere. Sia come sia, il risultato delle spinte e controspinte in cui è afferrata e dilaniata l’anima dell’uomo moderno è questo: lo sdoppiamento, la perdita del dominio di sé, accompagnati da un continuo, petulante, patetico sforzo di auto-giustificazione, quando non, addirittura, di auto-celebrazione.
Quanto più è debole, l’uomo moderno vuole ostentare la forza; quanto più è incerto e diviso, la sicurezza e l’autorità; quanto più è perplesso, turbato, spaventato, il coraggio, la decisione, la fiducia in se stesso. Così facendo, si mette nelle condizioni di non poter ricevere soccorso né dall’esterno, perché dà agli altri una falsa immagine di sé, né da se medesimo, in quanto si priva di quella umiltà e di quella consapevolezza che sono i presupposti indispensabili per ricevere l’aiuto della Grazia. Ma l’uomo moderno non vuole, in fondo, essere aiutato; nonostante l’edonismo apparente, egli non si vuole bene: dopotutto, quel che desidera, inconsciamente, è di scomparire, o che qualcosa lo faccia scomparire. È stanco di vivere, perché la vita gli pesa.
Limitiamoci, per ora, a considerare la faccia della medaglia relativa al fino a un certo punto; e limitiamo la nostra riflessione all’essere cristiani. Il cristiano fino a un certo punto è colui che non solo sente, ma anche pensa, il fatto del proprio cristianesimo, fino a un certo punto: è una malattia, cioè, non solo della volontà, ma anche dell’intelletto. Della volontà: perché essere cristiani sino in fondo (il che non significa affatto essere "integralisti", meno ancora fanatici, ma semplicemente essere seriamente quel che si pretende di essere: in questo caso, cristiani) richiederebbe uno sforzo eccessivo al livello della volontà, che ben pochi, di questi tempi, son capaci di sopportare: senza scomodare la disponibilità al martirio, basta pensare alla preghiera, al digiuno, all’astinenza, ai pellegrinaggi, per non parlare della penitenza — e i confessori, ormai, sono talmente sensibili alla debole volontà delle loro pecorelle, che somministrano loro delle penitenze veramente ridicole, anche in presenza di peccati gravi. Una malattia dell’intelletto: perché il cristiano moderno crede, sì, al Vangelo, ma fino a un certo punto: vale a dire, fino a che non si tratta di fare uno sforzo troppo grande in termini, appunto, intellettuali.
Nel Vangelo si dice che Gesù nacque da Maria vergine. Eh, qui le difficoltà cominciano subito: come si fa a mandar giù una cosa simile, a livello intellettuale? Bisognerebbe essere ben sempliciotti: no, non è possibile; al cristiano moderno, istruito e razionale, ripugna troppo dover digerire un boccone tanto indigesto. Chissà, forse, dopotutto, Maria non era vergine; forse lo era, ma prima di concepire Gesù; forse lo era in senso simbolico, metaforico: una verginità, per così dire, allegorica e intenzionale. Andiamo avanti. Gesù è cresciuto, si accinge ad iniziare la sua vita pubblica, e si ritira nel deserto a pregare e digiunare (proprio le due cose che il cristiano moderno non sa neppure cosa siano); e qui viene tentato dal Diavolo. Be’, andiamoci piano: forse non era proprio il Diavolo; forse era l’umana tentazione, cui tutti i figli di Adamo sono soggetti. Quanto, poi, a credere che il Diavolo lo abbia sfidato a gettarsi dal pinnacolo del tempio, o che lo abbia preso e condotto con sé in cima a una montagna altissima: è chiaro che si tratta di simboli, di miti, come diceva il buon Rudolf Bultmann, il patriarca di tutti i teologi moderni. Il teologo moderno è un personaggio che, se non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare: un signore che viene a rimuovere ogni ostacolo intellettuale dal cammino del credente moderno, e che gli permette di credere al Vangelo, senza doversi sottoporre a un eccessivo sacrificio intellettuale. Ammettere il miracolo, ad esempio, è un sacrifico intellettuale troppo grande, per il cristiano moderno: ed ecco che il teologo moderno, solerte e pieno di zelo, come un infaticabile cameriere, viene a togliere le briciole dalla tovaglia, a sparecchiare piatti e bicchieri, e ci restituisce il tavolo bello e pulito, senza nessun fastidioso ingombro. Meraviglioso! Grazie all’opera di questi provvidenziali teologi-camerieri, di questi Enzo Bianchi, di questi Vito Mancuso, di questi Walter Kasper, credere non è più una penitenza intellettuale, una mortificazione per la nostra intelligenza; anzi, diventa semplice e naturale come bere un bicchier d’acqua.
Prodigi della cultura illuminista; capolavori dei lumi della ragione. E, difatti, chi troviamo all’origine di questa tendenza? Il bravo John Locke, con la sua Ragionevolezza del cristianesimo; e il libero pensatore John Toland, con il suo Cristianesimo senza misteri. Che bello: un cristianesimo senza misteri! Un cristianesimo perfettamente ragionevole! Senza dubbio, Gesù non è venuto al mondo per insegnare ai piccoli e ai semplici, ma ai sapienti e agli intelligenti. Peccato che il Vangelo dica esattamente il contrario; ma, chissà, forse sono stati gli evangelisti a fare un po’ di confusione, dopotutto. Credere in Gesù, uomo e Dio, senza sacrifico intellettuale; credere alla sua Passione, Morte e Resurrezione, come cosa del tutto ragionevole: non è meraviglioso, tutto questo? Una volta fatto un tale passo, gli altri vengono naturali, assolutamente logici: forse, dopotutto, Gesù non era proprio il Figlio di Dio, ma un grande saggio, un illuminato, come Budda, Confucio, Lao Tze, Socrate; forse non voleva che credessimo in Lui, ma semplicemente in ciò che diceva; forse non pretendeva di indicarci la via per la vita eterna (la vita eterna!, facile a dirsi; ma chi lo sa se esiste davvero? nessuno è mai stato dall’altra parte, per darcene assicurazione), ma di aiutarci, semplicemente, a vivere nel modo migliore questa vita. Poi sono venuti i preti, gente della specie di san Paolo, e hanno imbrogliato le carte, spostando il centro del Vangelo sulla Resurrezione e sulla vita eterna: ma questo, è chiaro, appare poco ragionevole e un po’ troppo misterioso.
Dunque, dicevamo: dopo le tentazioni, la vita pubblica di Cristo (ma avete notato che i teologi modernisti preferisco parlare di "Gesù" che di Cristo? Si vede che "Cristo" è troppo impegnativo, troppo compromettente, per i loro ragionevoli intelletti, così allergici ai misteri). Gesù alle nozze di Cana, che tramuta l’acqua in vino; Gesù che moltiplica i pani e i pesci; Gesù che guarisce i ciechi, i sordi e i malati; Gesù che espelle i diavoli dai posseduti (questa, poi…!); Gesù che resuscita la figlia di Giairo, indi il suo amico Lazzaro; Gesù che cammina sulle acque e che seda la tempesta sul lago; Gesù che si trasfigura sul Monte Tabor; Gesù che affronta la croce e poi resuscita se stesso, non come Lazzaro, che dovrà morire, ma come un essere glorioso, di luce, immortale, sconfiggendo la morte per sempre; Gesù che riappare nel cenacolo a porte chiuse; Gesù che ascende al cielo; lo Spirito Santo che discende sul capo degli Apostoli e di Maria, in forma di tante fiammelle. Quanti miracoli, quanti sacrifici per la nostra ragionevolezza: un po’ troppi. E allora, ecco che i teologi-camerieri si rimboccano le maniche della loro giacca bianca, e si mettono alacremente all’opera. Nessun problema, del resto: sono o non sono le teste fine di un secolo altamente razionale ed evoluto, che non accetta nulla senza prove e che giura solamente sull’esperimento scientifico? Quindi, niente paura: lasciate fare ai teologi-camerieri, e vedrete che tutte le briciole moleste spariranno dalla tovaglia in un batter d’occhio.
Le nozze di Cana? Una polverina prodigiosa, che conferisce all’acqua il sapore del vino: un trucco da circo, ma fatto a fin di bene: era così imbarazzante, vedere i due sposi mortificati davanti agli invitati. La moltiplicazione dei pani e dei pesci (anzi, le due moltiplicazioni dei pani e dei pesci: quasi che Gesù avesse previsto l’incredulità di quelli che non c’erano)? Ma è chiaro che si tratta di un’allegoria: i pani e i pesci non sono veramente aumentati di numero dentro i canestri: si vede che non erano poi così pochi; e il senso dell’episodio è che bisogna dividere fraternamente quel che si possiede, e così ce ne sarà abbastanza per tutti. Due piccioni con una fava: si allontana il pungiglione del miracolo dalla delicatissima pelle dei cristiani moderni, saturi di ragionevolezza e allergici al mistero, e si predica il Vangelo socialista e pauperista della equa distribuzione dei beni, facendo un enorme regalo a quegli stessi teologi, marxisti mancati o ex marxisti sfrattati dalla loro antica dimora a causa della inagibilità del vecchio edificio, e più che mai desiderosi di trovarsi un nuovo domicilio, si capisce che sia confacente ai loro gusti e alla loro tradizione. Quanto al fatto che Gesù guariva i ciechi, i sordi e i malati, ebbene, questa è la cosa più facile di tutte da spiegare: era un grande taumaturgo! Che c’è di strano, in fondo? Si sa bene che simili persone esistono: lo ha dimostrato anche la scienza; non c’è nulla di misterioso, nulla di soprannaturale. E così via. Forse, la figlia di Giairo non era veramente morta, ma solo in catalessi. Forse nemmeno Lazzaro era davvero morto, ma era in coma (è vero che il Vangelo dice che il suo corpo già puzzava di decomposizione, ma insomma è una difficoltà superabile: si può ben ammettere che l’evangelista abbia un pochino calcato le tinte, così, per amore dell’effetto letterario!).
Il vero scoglio è dato dalla Resurrezione di Gesù stesso. Quando si arriva a quel punto, tutta la ragionevolezza di questo mondo rischia di andare a farsi benedire. È un bel grattacapo, non c’è che dire: anzi, diciamolo pure, è un vicolo cieco. Come si fa ad accettare un fatto di quel genere? Ed è qui, infatti, che le cose stanno incominciando a farsi chiare, da qualche tempo in qua. Da qualche tempo in qua, nel particolare clima che si è andato instaurando dentro la Chiesa cattolica e la cultura cattolica, e che ha visto nascere la Neochiesa modernista e progressista, alcuni teologi-camerieri stanno incominciando a gettare la maschera, e a porre le carte in tavola. Oh, ma sempre con infinita cautela, intendiamoci: niente gesti clamorosi, e, soprattutto, niente gesti precipitosi, avventati! Perché rovinare tutto con la fretta, ora che le cose sono giunte là dove essi volevano condurle, e che i cristiani moderni sono ormai cotti a puntino? Comunque, con qualche accenno volutamente ambiguo, con qualche distinguo degno del dottor Azzeccagarbugli, con qualche sapiente e calcolato sofisma, alcuni di costoro stanno incominciando ad insinuare che Gesù non era propriamente Dio, ma era un uomo… Una volta che avranno conquistato la posizione, centimetro dopo centimetro, e sempre con le spalle coperte, in alto, dalla stampa cattolica e dal papa stesso, potranno cogliere il frutto di tante fatiche e di tante veglie, e dedurre che, se Gesù era un uomo, non è risorto; e che il suo regno non era dell’altro mondo, ma di questo e solo di questo. Complimenti, teologi-camerieri…
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