
Friuli, 1496: l’annus mirabilis
25 Agosto 2016
Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi
26 Agosto 2016La critica junghiana al pansessualismo della psicoanalisi freudiana verte essenzialmente sui seguenti punti:
1) bisogna liberare la teoria di Freud dal suo pansessualismo;
2) al posto dell’elemento sessuale per spiegare l’origine di tutte le nevrosi, bisogna porre il concetto di libido, che è energia psichica immagazzinata dalla psiche per sostenere tutte le funzioni vitali, e non solo quelle di natura sessuale;
3) di norma, le nevrosi non sono provocate da esperienze traumatiche infantili di natura sessuale, ma semplicemente dall’incapacità dell’uomo e della donna adulti di utilizzare correttamene il "surplus" di libido di cui dispongono;
4) le fantasie sessuali di origine infantile non spiegano l’insorgere e lo svilupparsi delle nevrosi, cioè non hanno valore eziologico, ma, tutt’al più, le accompagnano;
5) Le fantasie sessuali del nevrotico, anche se non sono la causa della sua malattia, vi contribuiscono, perché gli sottraggono quella energia vitale di cui ha bisogno e accentuano le sue difficoltà, pertanto devono essere eliminate; e, in questo, il procedimento psicoanalitico è un utile e necessario strumento di terapia.
Jung è stato grande – come ex allievo di Freud, e in anni di freudismo imperante, quando pareva che ogni parola e ogni virgola uscite dalla bocca o dalla penna del "maestro" fossero, automaticamente, oro colato – a vedere il limite fondamentale della sua teoria, ossia il pansessualismo in generale, e l’idea che la nevrosi sia, in se stessa, un fenomeno primario, mentre, per Jung, si tratta sempre di un fenomeno secondario, cioè di una risposta sbagliata ad un problema reale, che non è la nevrosi, né l’insieme delle fantasie sessuali aberranti che l’avrebbero originata — altrimenti si cadrebbe in una sorta di circolo vizioso — ma un uso sbagliato della libido. Invece di servire ai fini dell’esistenza, questa energia psichica, nel paziente nevrotico, si spande disordinatamente e intralcia la vita stessa; è per questo che vanno rimosse le fantasie sessuali aberranti: non perché siano la causa del problema, ma perché lo rendono più grave.
Da che cosa è provocato, a sua volta, questo utilizzo erroneo dell’energia libidica, di cui la psiche è naturalmente dotata? La risposta di Jung è articolata e ingegnosa, e tuttavia, bisogna ammetterlo, non del tutto soddisfacente, perché eccessivamente astratta e generica. Egli dice che la libido è una energia vitale, paragonabile a ciò che Henri Bergson chiama lo slancio vitale (e qui, Jung paga pesantemente lo scotto alle teorie filosofiche di gran moda in quegli anni, con la loro forte componente volontaristica e, soprattutto, irrazionalistica, in ultima analisi di ascendenza schopenhaueriana e nietzschiana). Si tratta di una pulsione di desiderio infantile, il cui scopo è favorire l’affermazione della vita e, quindi, l’adattamento, dal momento che la vita è mutamento continuo. Succede, però, che molte persone, messe in grave difficoltà dal cambiamento, in particolare dal passaggio dall’infanzia all’età adulta, finiscano per male utilizzare la libido, cioè per fissarsi nelle sue forme attuali, con la conseguenza che esse non svolgono una funzione utile, cioè adattativa, ma dannosa, cioè regressiva. Invece di aiutare il soggetto a crescere, la libido male indirizzata, e sovente accompagnata da ricorrenti fantasie sessuali di contenuto perverso, finisce per bloccarla, o, quanto meno, per frenarla e crearle delle serie difficoltà. In questo senso, Jung ritiene che la nevrosi sia generata da una forma erronea di adattamento alle sfide della vita adulta.
Scriveva, dunque, Jung nel saggio Sulla psicoanalisi, del 1916 (in: Jung, Freud e la psicoanalisi,m Roma, Newton Compton Editori, 1970, pp.329-330):
Nelle nevrosi parliamo di un atteggiamento infantile o di una predominanza delle fantasie e dei desideri infantili. Per quanto riguarda le impressioni infantili, poiché sappiamo che rivestono tanta importanza nelle persone normali, supponiamo che siano ugualmente significative nelle nevrosi; esse non hanno tuttavia alcuna importanza etiologica; sono semplicemente delle reazioni, in quanto fenomeni secondari e regressivi. È perfettamente vero che, come dice Freud, le fantasie infantili determinano la forma e il successivo sviluppo della nevrosi, ma questo non è un’etiologia. Anche quando troviamo delle fantasie sessuali perverse delle quali si può dimostrare l’esistenza nell’infanzia, non possiamo considerarle di importanza etiologica. Una nevrosi non è realmente provocata dalle fantasie sessuali infantili, e bisogna dire la stessa cosa per l’erotismo della fantasia nevrotica in generale. Non è un fenomeno primario basato su una predisposizione sessuale pervertita, ma semplicemente un fenomeno secondario e una conseguenza dell’incapacità di applicare la libido immagazzinata in modo giusto. Mi rendo conto che questa sia un’idea molto vecchia, ma ciò non le impedisce di essere vera. Il fatto che il paziente stesso creda frequentemente che le sue fantasie infantili siano la causa della sua nevrosi non prova né che abbia ragione nel crederlo, né che una teoria basata su questa convinzione sia giusta. Può sembrare che sia così; e devo ammettere che moltissimi casi hanno questa apparenza. In ogni caso è perfettamente facile comprendere come Freud sia arrivato a questa conclusione. Chiunque abbia un’esperienza psicoanalitica sarà d’accordo con me.
Per riassumere: non riesco a vedere la vera etiologia della nevrosi nelle varie manifestazioni dello sviluppo e nelle fantasie sessuali infantili alla quale danno origine. Il fatto che queste fantasie siano ingigantite nella nevrosi e che occupino il primo piano è una conseguenza dell’energia immagazzinata o libido. Il disturbo psicologico nella nevrosi, e la nevrosi stessa, possono essere immaginati COME UN ATTO DI ADATTAMENTO FALLITO. Questa espressione potrebbe riconciliare certe opinioni di Janet con quella di Freud secondo cui una nevrosi è, in un certo senso, un tentativo di auto-cura — opinione che può essere ed è stata applicata a molte altre malattie.
Qui sorge il problema se è ancora consigliabile portare alla luce tutte le fantasie del paziente attraverso l’analisi, se ora le consideriamo di nessuna importanza etiologica. Fino ad ora la psicoanalisi ha diffuso l’idea di districare queste fantasie perché venivano considerate etiologicamente importanti. Questa mia differente opinione sulla teoria della nevrosi non colpisce il procedimento psicoanalitico. La tecnica rimane la stessa. Sebbene non immaginiamo più di essere in grado di dissotterrare l’ultima radice della malattia, dobbiamo sradicare queste fantasie sessuali perché l’energia di cui ha bisogno il paziente per la sua salute, cioè, per il suo adattamento, è attaccata a loro. Per mezzo della psicoanalisi la connessione tra la sua mente conscia e la libido dell0inconscio viene ristabilita. Così la libido viene riportata sotto il controllo della volontà. Soltanto in questo modo l’energia distaccata diventa ancora disponibile per il compimento dei doveri necessari alla vita. Considerata da questo punto di vista, la psicoanalisi non appare più come una semplice riduzione dell’individuo ai suoi desideri sessuali primitivi, ma, se giustamente interpretata, come un compito altamente morale di immenso valore educativo.
Abbiamo affermato che la spiegazione junghiana della eziologia delle nevrosi è ingegnosa e, inoltre, ha il grande merito di aver superato il pansessualismo freudiano — che è, a sua volta, e giudicato con gli stessi criteri di Freud, una forma di vera e propria "fissazione" e, quindi, una patologia psichica molto simile alla nevrosi -, ma non del tutto soddisfacente, e ora proviamo a spiegare perché.
Il punto meno persuasivo del ragionamento junghiano, che somiglia a un vero e proprio compromesso con le teorie del suo ex maestro (e non nel senso migliore del termine), è là dove afferma testualmente che questa mia differente opinione sulla teoria della nevrosi non colpisce il procedimento psicoanalitico, tanto è vero che – dice ancora – la tecnica rimane la stessa.
Quanto alla radice della nevrosi, egli ammette, in un passaggio secondario della sua esposizione, che essa ci resta ignota, e che il terapeuta non possiede la fiducia di poterla individuare: di conseguenza, per lui, scavare a fondo nelle fantasie sessuali del paziente non ha tanto lo scopo di risalire alla causa prima della malattia, che è praticamente impossibile riconoscere, ma quello di eliminare un complesso di fantasie che avviluppano le energie psichiche del nevrotico e gli impediscono di utilizzare queste ultime per i fini veri e necessari dell’esistenza, ossia per adattarsi ai continui cambiamenti, interni ed esterni, della vita stessa. Ma non vi è, qui, un circolo vizioso, simile, in definitiva, a quello che abbiamo notato nel pensiero di Freud?
Vediamo. Per Freud, le fantasie sessuali originate dalla nevrosi finiscono per provocare un corto circuito nella vita psichica del malato: egli non vive più nella dimensione reale, ma in quella, appunto, delle sue fantasie sessuali, che è una dimensione regressiva, perché riflette lo stadio di sviluppo "bloccato" in cui si è generata la nevrosi. Disperdere le fantasie sessuali equivale a risolvere la nevrosi, e ciò è possibile solo risalendo all’evento traumatico originario, collocabile senz’altro nella primissima infanzia: cosa che, di per sé, "scioglie" il nodo di cui è prigioniera la psiche del nevrotico. Le fantasie sessuali, dunque, svolgono un ruolo importantissimo nella genesi della nevrosi, tanto che si può dire che esse si confondono, negli strati successivi dell’inconscio, con il fattore scatenante vero e proprio, l’evento traumatico originario. Tuttavia, se è questo la causa di tutto, perché le fantasie dovrebbero avere un valore eziologico nella genesi delle nevrosi? Per Freud la nevrosi è un fenomeno primario, e il trauma infantile funge da detonatore per scatenare quella che era una predisposizione della personalità del nevrotico: personalità tendenzialmente deviata e, quindi, facile preda di uno sviluppo aberrante. Le fantasie sessuali perverse sono, allora, la manifestazione secondaria di un "male" che era già presente, allo stato potenziale, per così dire in quiescenza, e che aspettava l’occasione per manifestarsi. Ma da dove ha avuto origine quest’altro "male", che precede la nevrosi e la rende possibile? Freud risponde: le fantasie sessuali concorrono alla genesi della nevrosi; però ammette che non ne sono, esse, la sua radice ultima. Qual è, allora, la radice ultima? Evidentemente, la struttura originaria della psiche. Vi sono delle persone che nascono con una predisposizione alla patologia psichica, così come ve ne sono altre che nascono con delle predisposizioni verso certi altri generi di malattie. Non è una gran risposta, bisogna ammetterlo: proprio la teoria freudiana, che si vanta di poter risalire al fatto originario che ha innescato la nevrosi, riconoscendolo fra mille altri ricordi veri e falsi, fra mille fantasie ed eventi reali, è costretta ad ammettere la propria impotenza su questo punto di capitale importanza. È chiaro, infatti, che solo se si conoscono le ragioni di una certa inclinazione, si può pensare a come elaborare delle strategie, delle tecniche, delle terapie preventive, visto che il vero significato della medicina non è curare le malattie, bensì mantenere le persone in buona salute. Peraltro, Freud ritiene che un peso decisivo nella genesi delle nevrosi sia esercitato dalla pressione sociale: la società impone all’individuo di dirigere la sua libido (che è tutta di natura sessuale) verso taluni oggetti, che essa ritiene leciti, mentre l’io ne vorrebbe raggiungere altri, che, però, sono proibiti (complesso di Edipo e complesso d’Elettra, pulsioni di parricidio e angoscia di castrazione).
Jung ritiene, invece, che non tutta la libido sia di natura sessuale, e che la nevrosi insorge quando essa si distoglie dai suoi compiti naturali, facendo regredire la psiche verso gli stadi infantili. Tuttavia, se si domanda anche a Jung quale sia l’origine della nevrosi, ossia perché la libido venga così male indirizzata, ci si trova di fronte a una risposta altrettanto elusiva. L’utilizzo erroneo della libido, dice, è la manifestazione di una grave difficoltà, o incapacità, all’adattamento; benissimo: ma perché ciò avviene? Perché taluni soggetti non riescono a reggere le tensioni del cambiamento, mentre la maggior parte vi riesce? Evidentemente, anche qui siamo di fronte a una predisposizione. Però se Freud ritiene, almeno, di poter trovare il punto preciso della memoria, il fattore originario scatenante della nevrosi, in un determinato evento, Jung, qui, si mostra ancora più incerto e generico. In fondo, egli è un pragmatico: quel che gl’importa non è tanto soddisfare una curiosità intellettuale, quanto aiutare il paziente. Ciò è lodevole, senza dubbio. Tuttavia, si può aiutare un paziente senza conoscere la radice ultima del suo male? Si può curare una pianta malata, agendo solo sulle foglie? Ma tale è il limite della psicanalisi in se stessa: e Jung, come s’è visto, lo accetta…
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