
Un’escursione nella buia foresta apre uno squarcio sulla nostra vita interiore
1 Agosto 2016
Abbiamo dimenticato la saggezza perché ci siamo allontanati da Dio
3 Agosto 2016I primi raggi del sole filtrano nell’aria pura del mattino e indorano le vette dei monti, aureolandole di luce gloriosa; le ombre della notte fuggono, il coro dei passeri si leva gioioso dai rami degli alberi: è il momento più bello e incantato della giornata, quello che accompagna l’anima dai timori e dalle inquietudini della notte alla serenità e alla fiducia di un altro inizio.
È giusto salutare il nuovo giorno che sorge e la luce che ritorna con una preghiera di lode e di ringraziamento per tutto questo splendore, per tutta questa magnificenza che, dalla natura intorno a noi, si riflettono nelle profondità più intime della nostra anima e nelle pieghe più riposte della nostra vita interiore. Noi sentiamo che essi non sono frutto del caso, che non si tratta di accidenti venuti da chi sa dove, chi sa come e perché:, ma che sono la manifestazione di una Intelligenza amorevole, che ha fatto bene ogni cosa e che ci invita a raccoglierci in noi stessi per trovare il vero significato di tanta bellezza e sapienza, a noi donate così gratuitamente che ci paiono dovute.
L’abitudine ha fatto velo ai nostri occhi, insieme alla presunzione di una ragione spregiudicata, che si è spogliata del senso del mistero e che crede di poter dare una risposta a tutte le domande; sicché ci siamo assuefatti allo spettacolo di una così struggente meraviglia, non ne siamo toccati né commossi, non ci sentiamo il cuore fremere di esultanza, quasi non riteniamo degno di uno sguardo o di un pensiero il disco del sole che si alza nel cielo e l’incanto della luce che si spande ovunque, rischiarando le cose ch’erano avvolte nel manto della notte.
Certo, una notte limpida, una notte stellata, possiede un fascino indescrivibile; e il profumo della terra, la notte, specialmente d’estate, dopo la pioggia, è così intenso e inebriante, quale mai lo si può percepire di giorno; nondimeno, come ben sa chi ha l’anima gravata da preoccupazioni, o chi è seriamente malato, o chi soffre di una qualche pena segreta e immedicabile, il buio e il grande silenzio della notte portano con sé qualche cosa di angosciante, che raddoppia le ansie e moltiplica i terrori, non di rado creandone di nuovi, e amplificandoli in maniera incontrollabile. È per questo che ogni anima umana accoglie lo spuntare dell’aurora con un sospiro di sollievo: con l’avvento della luce, i terrori della notte svaniscono o si attenuano alquanto, e il cuore ritrova la fermezza e il coraggio di cui ciascuno ha bisogno per affrontare vittoriosamente le mille battaglie di cui la vita, anche la più felice, per sua stessa natura non è mai priva.
Per un’anima naturalmente religiosa, che sente il richiamo dell’Assoluto e che non si sentirebbe completa, né felice, né in armonia con se stessa, se reprimesse o ignorasse il suo slancio istintivo verso Dio, questo, dell’aurora, è il momento della lode, quando il cuore si effonde in un moto spontaneo di meraviglia e di ringraziamento verso l’Autore di un mondo così straordinariamente bello e gioioso, pur se in esso non mancano le pene e le ansie, poiché la terra è, non dovremmo mai scordarcelo, il luogo del nostro esilio, del nostro passaggio e della nostra migrazione nel deserto, verso l’oasi di pace e di pieno appagamento, che non appartiene a questa dimensione.
C’è stato un tempo — durato parecchi secoli — nel quale l’innografia cristiana, inaugurata dal genio poetico e dottrinale di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, ha rappresentato un momento fondamentale ed una espressione autenticamente sentita e "popolare" del sentimento religioso; gli inni venivano cantati e recitati non solo nei conventi e nelle chiese, ma anche, magari mentalmente, dovunque vi fosse un cristiano che sentiva il naturale bisogno di scandire le ore della giornata con tale espressione del sentimento religioso, fatto di stupore, di esultanza, di fiducia, di lode al Signore, alla Madonna, agli Angeli ed ai Santi. Molti inni erano e sono ricavati dai 150 Salmi della Bibbia, nei quali la lode, la supplica a Dio e la meditazione sapienziale sul senso della vita umana si intrecciano mirabilmente, formando un tutto armonioso e perfetto.
Questo è il bellissimo Inno che apre le solenni Lodi mattutine nella Liturgia delle Ore della Chiesa cattolica:
L’aurora inonda il cielo
di una festa di luce,
e riveste la terra
di meraviglia nuova.
Fugge l’ansia dai cuori,
si accende la speranza:
emerge sopra il caos
un’iride di pace.
Così nel giorno ultimo
l’umanità in attesa
alzi il capo e contempli
l’avvento del Signore.
Sia gloria al Padre altissimo
e al Cristo l’unigenito,
sia lode al Santo Spirito
nei secoli dei secoli. Amen.
Se questi versi, anonimi e d’ispirazione dichiaratamene religiosa, fossero stati scritti da un poeta "profano", da un Sandro Penna, per esempio, o da un Vincenzo Cardarelli, la critica si sarebbe sperticata a magnificarne la tersa, cristallina bellezza, il classico nitore da poesia greca, il senso incantato della bellezza e della vita; invece appartengono alla Liturgia cattolica delle Ore e rimangono confinati fra le pagine dei libri devozionali, che, fino a qualche anno fa, facevano parte del corredo di molte persone pie, mentre oggi vanno fra le mani solo dei preti, e nemmeno tutti, perché molti di quelli progressisti e modernisti hanno cose ben più importanti da fare, che recitare gli Inni mattutini o quelli dei Vespri.
Non importa. Anche se la società tutta si è secolarizzata, e anche se nella Chiesa stessa sono penetrate le idee e gli atteggiamenti nefasti di un ecumenismo e di un dialogo interreligioso che sono solo i cavali di Troia per una dolce e impercettibile auto-demolizione del cattolicesimo, fino a quando ci sarà un’anima che, al mattino, sentirà il bisogno di levare lo sguardo verso l’alto e di effondere sentimenti di lode, gratitudine, esultanza nei confronti dell’Amore sapiente e premuroso che Dio manifesta agli uomini, e che è simboleggiato dal sole che sorge a rischiarare le terra e fugare le tenebre; fino a quando ci sarà un’anima capace di questo, desiderosa di questo, bisognosa di questo, ché, altrimenti, la sua giornata sarebbe vuota e il suo orizzonte desolato e privo di speranza, i bellissimi versi: L’aurora inonda il cielo / di una festa di luce, / e riveste la terra / di meraviglia nuova… torneranno a risuonare, ad alta voce o nel chiuso della coscienza, e anche Dio gradirà l’offerta e si ricorderà degli uomini, per quanto indegni nei loro atti.
Le persone che hanno interamente fatto propria l’ideologia del materialismo e del consumismo, e che credono solo alla Scienza e alla Ragione, probabilmente non si rendono conto di quale potente parafulmine sia la preghiera nei confronti delle calamità naturali e dai crimini umani, e dei pericoli di ogni genere che minacciano la vita umana e la società nel suo complesso; così come ritengono che l’uomo è l’artefice del proprio destino e che a lui solo spetta il compito di provvedere a se stesso, senza riconoscere null’altro al di sopra di sé, quasi che ciò che la natura gli mette a disposizione fosse cosa dovuta, ed egli, insaziabile, non si stanca mai di pretendere sempre nuove comodità, di strappare alla natura stessa sempre nuove "conquiste", anche le più aberranti, come la manipolazione della vita, la fecondazione artificiale, e ogni sorta di pratica con cui aggirare e ingannare le leggi della natura per godere di una libertà illimitata.
Ecco: l’inno di lode al giorno che nasce, e che è un dono di Dio, così come un dono di Dio è il cibo che mangiamo, il sonno che ci ristora, il lavoro che ci consente di mantenerci, la salute che ci fa vivere e apprezzare le cose belle del mondo, il cuore sensibile che ci rende capaci di affetti profondi e di solidarietà con gli altri; l’inno di lode, dunque, che cantiamo o recitiamo, esprime uno di quegli atteggiamenti che ci fanno veramente umani e che ci consentono di innalzarci, sia pure per un poco, sia pure parzialmente, al di sopra della nostra fragile e imperfetta condizione presente, nella quale le cose non sono come le vorremmo, perché anche nella gioia più grande c’è un retrogusto amaro, e anche nella soddisfazione più completa permane un qualcosa che ce la fa sentire passeggera, capricciosa, incostante.
Per mezzo dell’inno di lode e di ringraziamento, noi realizziamo la nostra piena umanità, se è vero, come è vero, che la relazione con Dio è parte essenziale della nostra natura, e che una vita umana che rifiuta di concedere lo spazio giusto e necessario a tale relazione, finisce per imbruttirsi, per corrompersi, per somigliare sempre più ad una vita bestiale, animalesca. È animalesco coricarsi, alla sera, senza nemmeno un pensiero verso Dio, e lo è alzarsi al mattino e gettarsi a testa bassa nelle cose e negli impegni del nuovo giorno, senza rivolgere una preghiera, una lode, un ringraziamento a Colui per mezzo del quale noi siamo qui, noi esistiamo, noi possiamo godere di tutta la magnificenza del creato. La nostra posizione eretta, il nostro sguardo che istintivamente cerca la luce, sono indizi della nostra patria celeste: sono l’espressione di quella nostalgia, della quale forse non siamo coscienti, che ci morde il cuore quando meno ce lo aspettiamo, e ci ricorda che siamo qui per un tempo limitato, e che non dobbiamo né insuperbirci di quel che possediamo o che riceviamo, né disperarci oltre misura per quel che ci viene tolto, o che perdiamo. Non dobbiamo affezionarci troppo alle cose del mondo, pur amandole e pur godendone nelle forme e nei modi che si addicono a degli esseri umani, e non a dei bruti, dagli appetiti disordinati e bestiali. A noi, come dice il Vangelo, non è dato di allungare nemmeno di un giorno, nemmeno di un’ora o di un minuto il tempo che ci è dato per stare su questa terra: e tutti gli sforzi di una scienza atea e diabolica per strappare a Dio il segreto della vita eterna, non sono che tentativi pietosi e blasfemi coi quali gli uomini si degradano, si rendono ridicoli, e, soprattutto, rimandano con folle incoscienza il momento di fare i conti con la propria condizione mortale.
Il sole continuerà a sorgere, ma noi, un certo giorno, non lo vedremo più, perché non saremo più qui. Anche il sole, del resto, un giorno cesserà di sorgere: si sarà spento a poco a poco, sarà diventato un corpo freddo vagante nell’universo, e i suoi raggi ormai deboli e opachi non daranno la vita a nessuno. Vanità delle vanità, dice il Libro del Qoelet: tutto è vanità, se commettiamo l’errore irreparabile di vedere e di cercare, come fossero assolute, le cose relative; come fossero necessarie e permanenti, le cose che passano, oggi ci sono e domani non ci saranno più. Questi pensieri non devono generare tristezza, ma devono servire a impostare nel modo giusto la nostra esistenza: e a porre i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre aspettative, su di un binario felice, che possa condurci a destinazione nel modo migliore; perché, altrimenti, la nostra vita sarà stata un totale fallimento quaggiù, e un rischio gravissimo quando saremo chiamati a deporre questo corpo mortale e a fare i conti con l’eternità.
Il cristiano è chiamato a realizzare in se stesso questo equilibrio fra il transitorio e l’eterno: compito che può apparire difficile, quasi impossibile, fino a che si continua a considerarlo dall’esterno, e finché ci si domanda, sempre stando al di fuori, con quali mezzi e con quali strategie sarà mai possibile realizzarlo. In effetti, le difficoltà ci sono, ma diventano lievi non appena ci si lascia prendere dal richiamo di Dio, e si risponde alla sua chiamata; il che significa, nello stesso tempo, spogliarsi del fardello del proprio io, con tutta la zavorra delle brame e dei timori che da esso rampollano in continuazione. Una volta che sia diventata leggera perché si è sbarazzata d’un simile peso, l’anima vola esultante verso la sua destinazione naturale, la sua patria celeste. Le difficoltà ci saranno ancora, ci saranno ancora i momenti di confusione, di smarrimento: però anche queste prove assumeranno un volto diverso, una luce nuova. L’anima saprà di non doverle affrontare da sola: sentirà di avere accanto a sé, dentro di sé, la forza, il sostegno e la consolazione di Qualcuno che non resta mai sordo al richiamo, anzi, che già ci stava cercando, e ci aveva trovati, quando noi neppure lo stavamo immaginando.
Sgorgherà naturale, allora, il canto di lode: Fugge l’ansia dai cuori, / si accende la speranza:/ emerge sopra il caos / un’iride di pace. Questa, infatti, è la nostra pace, la sola possibile, fatta di amicizia, confidenza e totale fiducia in Dio, Afa e Omega di tutte le cose, le visibili e le invisibili…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash