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Purificare l’intelletto, condizione necessaria per la chiarificazione spirituale e la pace interiore

Le persone, oggi, mediamente parlando, sono confuse. Vanno di qua e di là, si agitano, si disperano, poi ricominciano ad agitarsi, ogni tanto s’illudono, restano ancora deluse; quindi ricominciano, daccapo, a collezionare gli stessi errori, li ripetono all’infinito. Non sanno da che parte andare, non sanno a chi accordare la loro fiducia: talvolta si fidano troppo del primo che passa, talaltra non si fidano più di nessuno, non credono in niente, si rinchiudono in se stesse e scivolano nell’autismo, nella depressione, nel suicidio spirituale. Agiscono d’impulso, avventatamente, poi soffrono per le conseguenze della loro precipitazione; si lamentano, maledicono la loro sorte, poi, d’improvviso, passano a un eccesso di ottimismo, diventano euforiche, sorridono a tutti, al primo che passa, gli fanno gli occhi dolci, pensano d’aver incontrato il Principe azzurro (o la Principessa), poi si risvegliano alla realtà e di nuovo sprofondano nella tetraggine e nell’angoscia. Leggono quel che capita, vanno al cinema a vedere i film appena usciti, guardano la televisione passivamente, subiscono quel che appare sullo schermo, lo digeriscono senza filtrarlo, e intanto fermentano in loro, negli strati profondi dell’anima, le sollecitazioni negative di ciò che hanno visto, le scene di sesso e violenza, il consumismo, la pubblicità cialtrona, l’ignoranza, la volgarità, la superficialità e il narcisismo trasformati in scopi dell’esistenza. Frequentano molto le palestre, dedicano moltissime ore alla cura del corpo, spendono parecchio denaro dall’estetista o per acquistare prodotti di bellezza, si fanno le lampade per essere abbronzate anche in pieno inverno: però non sono contente, non si piacciono per davvero, oppure si piacciono fin troppo, sognano di avere dei muscoli ancora più sviluppati, una pelle ancora più scura, di essere guardati, ammirati, invidiati: nell’approvazione altrui, cercano una conferma del proprio valore, del fatto di esistere. La solitudine le uccide, le spaventa a morte, le getta negli abissi della disperazione: stare da sole, le persone non ne sono capaci, devono aggrapparsi a qualcuno o a qualcosa, magari una compagnia balorda, o una setta, un gruppo di spiritisti, di occultisti, di fanatici; qualsiasi cosa, pur di non doversi guardare allo specchio e domandarsi: Ma io, chi sono? Che ci faccio in questa vita? E che uso ne sto facendo? Non reggerebbero al peso di simili domande; sono domande troppo serie, troppo impegnative, per coloro i quali vivono alla giornata, cercando solo di stordirsi e di ammazzare il tempo.

Eppure, esistono delle strategie che aiutano l’anima a ritrovare se stessa, a trovare la pace, a trovare uno scopo, anzi, lo scopo: perché ciascuno di noi è chiamato ad una particolare vocazione, ad una particolare modalità, anche se la meta è una sola per tutti. La strategia principale consiste nel tenersi lontani da ciò che provoca disordine intellettuale, spirituale e morale: dalle letture, dalle compagnie, dagli spettacoli che fomentano il disordine, che instillano dubbi distruttivi (il dubbio costruttivo, invece, è sempre benefico), e nel sorvegliare, disciplinare, ordinare accuratamente la propria vita interiore, tanto nella sfera intellettuale, quanto in quella della volontà. Due, infatti, sono le potenze fondamentali dell’anima: intelletto e volontà. Entrambe devono essere coltivate, non le si può lasciar crescere da se stesse: come una vegetazione esuberante, trasformerebbero il giardino dell’anima in una macchia impenetrabile, piena di erbacce, ortiche, arbusti spinosi, dove striscerebbero serpenti e scorpioni mentre i fiori più belli soffocherebbero e morirebbero, e gli usignoli e i fringuelli volerebbero via, perché non si sentirebbero a loro agio. Della volontà, parleremo un’altra volta; ora vogliamo parlare della purificazione della mente. Senza di essa, è vano sperare nella pace interiore: siamo esseri razionali, perciò dobbiamo coltivare l’intelletto.

Ha scritto l’eminente teologo domenicano Antonio Royo Marin (1913-2005), una delle figure più notevoli della spiritualità cattolica del XX secolo, studioso quanto mai sensibile alle particolari circostanze del dialogo fra cristianesimo e società post-moderna (A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana; titolo originale: Teologia de la perfeccion cristiana; edizione italiana a cura di M. Pignotti e A. Girlanda, Roma, Edizioni Paoline, 1960, pp. 478-484):

a) I PENSIERI INUTILI. — La nostra mente è spesso assorbita dai pensieri inutili. Oltre che farci perdere un tempo prezioso, deviando la nostra attenzione verso quello che è caduco e perituro, essi rappresentano un pericolo per i fondamentali interessi della nostra anima in ordine alla santificazione. Non dimentichiamo che l’intelletto non può dedicarsi simultaneamente a due pensieri diversi: la preferenza accordata a uno costituisce un pregiudizio per l’altro. […]

b) L’IGNORANZA. — Fomentare l’ignoranza del’anima allo scopo di non perturbarne la tranquillità e la calma è un errore assai più dannoso del precedente. Non ogni ignoranza è volontaria e pertanto, non sempre costituisce un peccato dinanzi a Dio. Non tutti sono obbligati a frequentare le scuole di teologia per acquistare una conoscenza approfondita delle verità divine, ma tutti devono possedere quelle nozioni che, secondo le loro capacità attuali e gli obblighi del proprio stato, possono contribuire al loro perfezionamento intellettuale e morale. La sfiducia e il disprezzo della vera scienza ha sempre rivelato uno spirito poco accorto e ha causato molti mali nella Chiesa. La S. Scrittura riprova questo atteggiamento e S. paolo insiste spesso sull’utilità della scienza nel servizio di Dio. Tuttavia, non ogni scienza è utile o conveniente alla propria santificazione. S. Paolo parla di una scienza che gonfia, in contrapposizione alla carità, che edifica. […]

c) LA CURIOSITÀ. — Alla virtù della studiosità si oppone la curiosità, o desiderio immoderato di sapere quello che non interessa o può essere nocivo. Purtroppo questo peccato è molto frequente e ne possono essere vittime tanto quelli che si danno alla ricerca di conoscenze inutili, come coloro che si preoccupano di sapere solo ciò che solletica i sensi e fomenta le passioni. Alla curiosità appartiene lo smodato desiderio di leggere ogni sorta di romanzi e di libri ameni e la sete insaziabile di spettacoli (cinema, teatri, sports), spesso pericolosi o addirittura opposti alla morale cristiana. È anche effetto di una malsana curiosità il voler investigare la condotta e le parole del prossimo per trovare di che criticare e mormorare. S. Giovanni della Croce riprende severamente questo vizio molto frequente anche fra le persone devote. […]

d) I GIUDIZI AFFRETTATI. – Un altro grave difetto intellettuale, dal quale occorre correggersi, è la precipitazione nel giudicare, che è una forma di imprudenza, secondo S. Tommaso. Il Dottore angelico ne mette in rilievo gli inconvenienti, stabilendo un’analogia con l’ordine naturale. Se scendiamo a salti per la scala, operiamo in modo precipitato e temerario. Parimenti, nell’ordine spirituale, la ragione occupa il luogo più alto e l’azione il luogo più basso. Gli scalini intermedi per i quali si deve scendere con ordine sono: la MEMORIA del passato, la CONOSCENZA del presente, la SAGACITÀ nel considerare possibili eventualità, il RAZIOCINIO che mette a confronto una cosa con l’altra e la DOCILITÀ per accettare il consiglio di chi ne sa più di noi. Se omettiamo uno di questi gradini facciamo un giudizio precipitato e imprudente. […]

e) L’ATTACCAMENTO AL PROPRIO GIUDIZIO. — è una delle manifestazioni più frequenti di superbia, dalla quale nessuno va totalmente esente. Nelle sue forme più spinte giunge fino al punto di voler mettere in discussione i dogmi della fede e le decisioni dei legittimi superiori. Quando non giunge a tanto, promuove e conserva lo spirito di setta, non con una esposizione serena e una difesa ragionata dei punti di vista di una determinata scuola o corrente che sembra essere nella verità, ma a base di ingiurie per l’avversario, e di disprezzo o di ironico sdegno per le opinioni contrarie. Sono rarissime le anime che amano e cercano solo la verità, e non si lasciano vincere, quando giudicano o debbono ribattere le opinioni degli altri, dalla soddisfazione dell’amor proprio e dal trionfo delle proprie idee, le quali hanno forse la sola ragione di essere proprie o della scuola a cui si appartiene. Si dimentica spesso che nelle questioni che Dio lasciò alla libera discussione degli uomini nessuna scuola filosofica o teologica si può vantare di possedere interamente la verità. Quasi sempre c’è nell’opinione contraria UNA PARTE DI VERO a cui non si è dato sufficiente rilievo a motivo dei pregiudizi con cui la si esamina. La sincerità intellettuale, l’amore della verità, l’umiltà e la carità consigliano di ascoltare con attenzione e imparzialità gli avversari e ammettere di buon grado quello che di vero ci fosse nelle loro affermazioni.

Sì, lo sappiamo: è un linguaggio piuttosto duro, codesto; di più: un linguaggio strano, quasi alieno, tanto è lontano dalle nostre abitudini e da ciò che suole accarezzare i nostri orecchi, in fatto di psicologia e arte del saper vivere (ed è già significativo il fatto che, nella cultura profana, si sia persa del tutto, o quasi, la frequentazione di una specifica letteratura dedicata all’edificazione spirituale, da un punto di vista religioso e morale). Non leggere tanti romanzi; non andare al cinema a vedere dei film che mettono in subbuglio i nostri sensi; evitare gli spettacoli, e, in genere, le situazioni nelle quali verremmo fatalmente turbati, solleticati, stuzzicati a dare libero gioco alle passioni: che razza di precetti! E che cosa ci si vorrebbe consigliare, forse di ristabilire il clima tetro e opprimente della Ginevra di Calvino: niente feste, niente gioco, niente vesti eleganti? Di fatto, siamo talmente immersi in un ambiente radicalmente edonista e permissivo, siamo talmente bombardati da messaggi e stili di vita che sollecitano ed esasperano la sensualità, la passionalità, il disordine interiore, che l’impresa di procedere ad una purificazione intellettuale ci appare titanica, impossibile, oltre che sostanzialmente inutile. Perché mai l’uomo contemporaneo dovrebbe auto-limitarsi in questo modo? Perché dovrebbe mortificare i suoi istinti, la gioia di vivere? Queste cose possono andar bene per dei monaci di clausura, non per coloro che vivono nel mondo.

A queste obiezioni, si può rispondere punto per punto. Primo: non si tratta di negare la gioia di vivere, ma di non confonderla con la sregolatezza dei sensi, dell’intelletto, della fantasia. È la stessa differenza che passa fra l’arte del cucinare e il vizio di abbandonarsi a mangiate pantagrueliche e a bevute colossali, che degenerano nell’ubriachezza. Secondo: nel clima rigorista della Ginevra di Calvino non era il principio etico, in sé, ad essere sbagliato, ma la pretesa d’imporlo dall’esterno, di farne un tutt’uno con le leggi civili (fondamentalismo). È cosa buona, invece ,sapersi regolare da se stessi, con prudenza, discernimento e senso del limite, nelle questioni di ordine intellettuale, così come in quelle di ordine morale o affettivo. Terzo: siamo talmente abituati alle esasperazioni libertine della società in cui viviamo, da non renderci nemmeno più conto di quanto ciò nuoce al nostro equilibrio interiore. Siamo come colui che vive in un locale pieno di fumo e di cattivi odori, senza mai aprire una finestra: finisce per assuefarsi all’aria viziata e per considerare normalissimo il fatto di vivere in un ambiente estremamente malsano, perché non coglie più la differenza con ciò che è sano. Tuttavia, se qualcosa riuscisse a scuoterlo e a fargli percepire tale differenza, subito si accorgerebbe della intollerabilità dell’ambiente in cui finora è vissuto, e si sentirebbe spronato a mutare abitudini, vedendo in ciò non un gravoso sacrificio, ma, al contrario, un sollievo e una liberazione. Quarto: la purificazione intellettuale non rende la vita più monotona, ma riaccende i colori fondamentali, e restituisce all’uomo il senso e il piacere dell’essenziale: è allora, e solo allora, che ci si rende conto di quanto tempo vada sprecato, e quante preziose energie vengano dissipate, nella rincorsa di beni effimeri ed illusori, che non portano mai l’appagamento e la pace interiore. Quinto: l’impresa può sembrare faticosa, ma solo all’inizio, così come, al principio, risulta faticoso, per il fumatore, liberarsi del suo vizio. Peraltro, ogni sacrificio va giudicato in proporzione al beneficio cui può dar luogo. Nessuno, che abbia a cuore la propria salute, si lamenta più di tanto se, per conservarla, deve dedicare una certa attenzione alla dieta, al moto, all’igiene personale, e, se necessario, alle cure mediche; parimenti, nessuno, che abbia a cuore il proprio benessere interiore, troverà eccessivi gli sforzi per la purificazione intellettuale. Resta il fatto che, per impegnarsi in un lavoro qualsiasi, bisogna avere chiaro quale sia lo scopo, la posta in gioco. Ebbene, essa, nel nostro caso, non è la purificazione intellettuale in se stessa, che è il mezzo, non il fine. Il fine, è la morte dell’uomo vecchio, dominato dalle brame disordinate, dalla concupiscenza, dalla superbia, e la nascita, al suo posto, dell’uomo nuovo, spirituale, benevolo, mite, ben deciso ad annullare il proprio io mediante un atto di fede e amore in Dio. E, così come l’ex fumatore, solo dopo essersi liberato dal vizio, apprezza i vantaggi d’una vita sana, in modo simile l’anima trova se stessa e il proprio appagamento, solo se riesce a vincere, con la purificazione intellettuale, il disordine delle passioni…

Fonte dell'immagine in evidenza: Francescoch - iStock

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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