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Il crimine più odioso della modernità: la distruzione dell’innocenza infantile

I bambini non sono degli angioletti; questo lo si sa, nessuno più lo mette in dubbio, ammesso e non concesso che i nostri nonni o bisnonni lo credessero davvero, solo perché ritenevano giusto non dare scandalo davanti ad essi e proteggere, in qualche modo, la loro innocenza; e non è nemmeno vero che la "scoperta" della amoralità infantile risalga a Sigmund Freud: basta leggere un qualsiasi scrittore che abbia rappresentato nelle sue opere il mondo dell’infanzia, per esempio Ippolito Nievo, con la celebre figura della Pisana ne Le confessioni di un italiano, oppure Charles Dickens (David Copperfield), o Victor Hugo (I miserabili), o Ferenc Molnár (I ragazzi della Via Pàl), o Mark Twain (Tom Sawyer e Huckleberry Finn), per rendersi conto che, già prima di Freud, erano ben pochi quelli che ancora credevano alla favola del bambino tutto innocenza, purezza e candore, esposto alla cattiveria del mondo degli adulti.

Da qui a indulgere nella esagerazione opposta, secondo la quale il bambino sarebbe naturalmente malizioso, intrigante, bassamente astuto, e che non sia necessario proteggerlo in alcun modo dai cattivi influssi che potrebbero venirgli dai grandi, anzi, prima imparerà a diventare adulto lui stesso, e tanto meglio sarà, tuttavia, ce ne corre assai: di fatto, gli scrittori che hanno descritto un mondo infantile perverso, o, almeno, terribilmente ambiguo – come Henry James ne Il giro di vite, Vladimir Nabokov in Lolita, Richard Hughes in Un ciclone sulla Giamaica, Mircea Eliade in Signorina Cristina, fino all’ammiccamento pedofilo di William Harrison in Pretty Baby e all’orrore cannibalesco di William Golding ne Il signore delle mosche — hanno accentuato ed esagerato, in modo a volte perfino grottesco, certi aspetti della pur complessa psicologia del bambino, allo scopo di ottenere effetti sorprendenti o di stuzzicare lati oscuri nell’animo del pubblico.

Ad ogni modo, basta confrontare un libro di lettura perle scuole elementari di pochi decenni or sono, con i libri, o i fumetti, o i programmi televisivi, cartoni animati compresi, dei nostro giorni (e non parliamo del cinema), oppure, per chi non è più giovanissimo, basta confrontare i ricordi della propria infanzia, con il modo in cui gli adulti si pongono, ai nostri giorni, verso chi abbia l’età dei suoi nipotini, diciamo quattro anni, sette, dieci, e apparirà evidente come di tutto ci si occupi e ci si preoccupi, dall’educazione sessuale (magari per veicolare la cosiddetta filosofia gender), allo sport, alla danza, all’informatica, alla musica, alle lingue straniere, tranne che di preservare l’innocenza dei bambini e di evitare che essi giungano troppo presto, e in maniera troppo cruda, a comprendere il modo di vivere che è proprio del mondo degli adulti; e ciò con la scusa che i bambini, oggi, sono molto svegli e che non tollerano finzioni, né bisogna mostrare loro il mondo "reale" (come se il mondo infantile fosse irreale) in maniera eccessivamente edulcorata.

Stupisce vedere come un tacito patto sia stato stretto fra le principali agenzie educative — la famiglia e la scuola, innanzitutto — per sottrarre ai bambini la visione del mondo incantato, propria della loro età, e sostituirla con una visione precocemente smaliziata, cinica e utilitaristica, quasi che gli adulti abbiano fretta di vedere che il bambino non crede più alle fiabe, né ai buoni sentimenti, né al mito, né alla famiglia, né all’amicizia, né all’onestà, e nemmeno a Dio; come se molti adulti, a cominciare dagli stessi genitori, ardano dall’impazienza di ridurre i bambini simili a se stessi, senza più sogni, senza più fantasia, senza più fede in qualcosa di bello, di vero, di santo, in qualcosa di elevato per cui valga la pena di lottare e affrontare dei sacrifici, per cui valga la pena vivere. Dopo di che, essi hanno anche la sfacciataggine di compiacersi per la rapida "maturazione" dei bambini d’oggi!

L’agenzia educativa che, più di tutte (famiglia a parte) avrebbe dovuto tener fermo su questo punto, cioè sul dovere, da parte di ciascuno, di proteggere l’infanzia da una immersione prematura e traumatizzante nel mondo adulto, con le sue logiche e con le sue regole amorali e, non di rado, spietate, e che invece, sorprendentemente, non lo ha fatto, molto spesso, o, quanto meno, in un grandissimo numero di casi, è la Chiesa cattolica, nelle persone dei suoi sacerdoti, dei catechisti, degli operatori nel campo dell’associazionismo e del volontariato cattolico, degli insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica e privata, nonché nella stampa periodica, nella letteratura, nel cinema d’ispirazione religiosa, o che si presentano come tali.

Basta dare un’occhiata alla stampa e all’editoria rivolte all’educazione cristiana dei bambini, o alla letteratura pubblicata per essi dalle case editrice cattoliche; e, più ancora, alla concezione grafica dei libri e dei giornalini, al tipo di illustrazioni, alla filosofia da cui sono guidati i direttori editoriali nelle loro scelte, nelle cose da dire e in quelle da non dire, e nel modo di dirle; e confrontarle, ripetiamo, con la "buona" stampa cattolica dei tempi andati, o con le gloriose, intelligenti e ben curate collane di libri dedicate all’infanzia, delle vecchie Edizioni Paoline (e per "vecchie", intendiamo, guara caso, anteriormente alla stagione del Concilio Vaticano II): La 500 EP, Il filo d’erba, Classici della Gioventù (nelle quali erano anche tradotti per la prima volta romanzi di autori polacchi, bulgari, romeni, eccetera): la differenza è enorme, abissale! Allora, c’erano idee; c’era discernimento (intellettuale e spirituale); c’era buon gusto; c’era, soprattutto, una chiara e coerente concezione educativa. Il libro destinato al bambino deve unire, manzonianamente, il vero, l’utile e il dilettevole (o l’interessante), e tutto, illustrazioni comprese — che meraviglia quelle di Carlo Nicco, o di Carla Ruffinelli -, era diretto a quel fine. Oppure si prenda La Bibbia dei piccoli, dell’olandese Piet Worm, tradotta in italiano dall’Editore Salani di Firenze, altra storica casa editrice cd’ispirazione cattolica, originalissima nella concezione e soprattutto nell’apparato iconografico. La stessa cosa si dica per i romanzi pubblicati dal La Scuola Editrice di Brescia, oppure dalla S.A.I.E. di Torino: quale distanza dalle pubblicazioni odierne! Nelle quali non si riesce a vedere né una concezione educativa coerente, né una capacità di agire sulla mente e sul cuore del giovane lettore allo scopo di elevarlo e di aprirgli orizzonti di Fede, Speranza e Carità, e non, semplicemente, il desiderio di vezzeggiarlo e assecondarlo nelle tendenze, intrinsecamente sbagliate e disordinate, che tutta la società profana, con il peso schiacciante dei mass-media e dei modi di vita consumisti, tende a trasmettergli ogni santi giorno.

L’attacco all’innocenza del bambino — intendendo la sua "innocenza" in senso relativo e non assoluto; ma senza negare che, comunque, una "innocenza" del bambino esista, se non altro per la sua ovvia ignoranza di certe realtà della vita, che solo l’esperienza può colmare — si svolge secondo due direttrici: da un lato, per mezzo della demolizione sistematica, e, peggio, della svalutazione e della irrisione di ciò che, nell’infanzia, costituisce un alone numinoso, fiabesco, poetico, che avvolge le cose e le filtra attraverso la particolare sensibilità del bambino, fatta in primo luogo di immaginazione, sensibilità, stupore; dall’altro, nella esplicita e diretta offensiva contro i valori morali e religiosi, nella volontà di estirpare in lui, da parte delle stesse famiglie, ma anche della scuola e (duole dirlo) perfino di certi indegni sacerdoti, ciò che gli adulti ritengono sciocche "superstizioni" e "credenze irrazionali", alle quali bisogna sostituire lo spirito pratico, il Logos strumentale e calcolante, e, soprattutto, una fiducia incondizionata, per non dire una fede pagana e sacrilega, nella Scienza e nella Tecnica, innalzate al rango di "valori" supremi.

Vi sono genitori, ad esempio, i quali per trasmettere ai propri figli le loro idee "avanzate" e "moderne", non esitano a compare e leggere loro dei libri di fiabe, nei quali si parla tranquillamente di amori e di coppie omosessuali, quando non li portano addirittura con sé nelle manifestazioni pubbliche a favore dell’aborto, dell’eutanasia, del matrimonio omosessuale o come la giornata del cosiddetto Gay Pride; e vi sono insegnanti i quali, per la stessa ragione, denigrano sistematicamente la tradizione e l’identità del proprio Paese e della propria religione, e innalzano fino alle stelle i valori delle altre civiltà, quasi che tutto il bene del mondo fosse unicamente fuori dall’Europa e fuori dal cristianesimo, e tutto il male si trovasse al loro interno; quasi che i popoli europei di tradizione cristiana avessero, loro soltanto, una serie infinita di colpe storiche da farsi perdonare.

Allo stesso modo, vi sono dei sacerdoti "impazziti" (e perfino dei vescovi) i quali, per un malinteso senso di rispetto nei confronti delle altre religioni, professate dagli immigrati giunti di recente nei Paesi europei, non esitano a suggerire che si possa o che si debba fare a meno del Presepio, dei canti di Natale, e persino del Crocifisso; che bisogni liberarsi alla "strana" idea che il Cristianesimo è il solo depositario della Verità soprannaturale; anzi, che bisogna smetterla di contrapporre la vita divina, soprannaturale, alla vita del "mondo", perché tutto ciò che viene dalla natura, anche gli istinti più bassi, è intrinsecamente buono: ultima versione, aggiornata e corretta, della demenziale filosofia "buonista" di J. J. Rousseau, la quale, a distanza di due secoli e mezzo, non ha ancora finito di provocare danni incalcolabili, offuscando la vera immagine dell’uomo e sostituendo a ciò che il buon senso, l’evidenza e la pratica esperienza di vita ci mostrano tutti i giorni, una ideologia astratta, velleitaria, fumosa, che vede nell’uomo una specie di angelo decaduto, capace, nondimeno (e non si sa come) di innalzarsi di nuovo fino al Cielo con le sue sole forze, e di costruire, chi sa come, un nuovo Paradiso in terra, un Eden ritrovato.

Per il cristiano, in particolare, il rispetto, la delicatezza, l’attenzione piena di riguardi dovuta all’innocenza infantile, non vengono da un caramelloso sentimento buonista; non vengono dalla sciagurata e balorda filosofia di Rousseau, né dai folli esperimenti della pedagogia libertaria, fondati su una presunta capacità "istintiva" del bambino di agire nel modo giusto, senza bisogno dell’esempio e dell’insegnamento dell’adulto; vengono direttamente dal Vangelo. Basta rileggersi le parole di Gesù in Matteo, 18, 1-10:

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è più grande nel regno dei Cieli?". Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei Cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei Cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata dall’asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro Angeli nel Cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei Cieli.

Sono parole chiarissime, pur nella loro ruvida severità; parole che dovrebbero incutere quasi paura, perché da esse traspare la gravità della condanna che pende sul capo di chi dà volontariamente scandalo ai "piccoli", sia che si intenda questi ultimi come i bambini, sia che li si intenda come le persone adulte, ma semplici ed umili di cuore, e perciò simili, appunto, a quei bambini che Gesù portava ad esempio della naturale vicinanza dell’uomo a Dio. È molto strano che parole così chiare, concetti così espliciti, siano stati, di fatto, dimenticati e trascurati dai membri della società moderna, e non solo da quanti hanno abbracciato le filosofie del "mondo" – edoniste, materialiste, relativiste, libertine — ma anche, e non di rado, sia pure velatamente, da coloro i quali dicono di ispirarsi al Vangelo, e da una parte dello stesso clero cattolico. Questo è un momento storico difficilissimo per ciò che riguarda l’educazione dell’infanzia e della gioventù: si direbbe proprio che il Diavolo in persona stia dispiegando tutte le sue forze per sedurre i bambini e i loro stessi educatori, e così travolgere e spazzare via le ultime difese che ancora proteggono le anime dal suo furioso assalto. Fra tutti i crimini della tenebrosa modernità, questo è, senza dubbio, il più odioso: l’aggressione contro l’innocenza infantile. Si pensi a quelle mamme sciagurate, le quali vorrebbero trasformare le loro figlie, ancora giovanissime, e perfino bambine, in provocanti modelle, capaci di sedurre uomini maturi. Come non vedere in tale cecità, amoralità e incoscienza, l’opera malefica del gran Nemico?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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