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I due livelli della storia umana

Lo scientismo imperante nella cultura moderna, da Machiavelli in poi (Machiavelli è stato il primo scientista, applicando il metodo scientifico alla politica e staccando questa completamente dalla morale), ha finito per renderci persuasi che la storia è una scienza e che, come tale, possiede delle leggi, una volta comprese le quali, la storia stessa ci rivela tutti i suoi segreti. Pertanto, noi siamo ben certi, perché ce lo hanno insegnato fin dai banchi di scuola, che tutto, o quasi tutto, nella storia, può essere compreso, spiegato, chiarito, mediante una indagine freddamente razionale, specialmente se, a tal fine, vengono mobilitate altre discipline, come ha insegnato la scuola degli Annales: l’economia, la sociologia, la geografia, la statistica, eccetera. Ed è infinitamente rassicurante il pensiero che noi uomini, soggetti e oggetti della storia, possiamo capire perché e come le nostre vicende si sono svolte in una determinata maniera; quali sono state le cause di certi eventi; quali ne sono state le conseguenze; e così via.

Tuttavia, ci piace mettere una minuscola pulce nell’orecchio di chi ci sta seguendo nel presente ragionamento: e se non fosse affatto così? Se la storia non fosse affatto una scienza? Se l’elemento imprevedibile, in essa, fosse assolutamente preponderante, al punto da rendere vano, e persino ridicolo, qualunque tentativo di razionalizzarla? Dopotutto, la storia è fatta dagli uomini, e gli uomini sono la materia prima dei processi e degli eventi che essi medesimi, a posteriori, pretendono d’interpretare, di capire, di spiegare. Ma è una pretesa legittima? L’uomo, notoriamente, è una creatura solo teoricamente razionale; di fatto, il più delle volte egli si lascia guidare da istinti e passioni, da fattori di tipo diverso dalla ragione pura: semmai, dalla ragion pratica, che è tutta un’altra cosa, perché non punta al meglio, ma al possibile, e dunque non al vero, al giusto, al buono, ma, nel migliore dei casi, a ciò che si avvicina di più, o, piuttosto, a ciò che si allontana di meno, dal vero, dal giusto e dal buono. Ma di una storia siffatta, intessuta di elementi non razionali, spinta da motivazioni istintive e passionali (anche quella per il potere è una passione, eccome: anzi, è la regina di tutte le passioni di questo mondo!), è ancora possibile avere una conoscenza razionale? È ancora possibile qualificarla scienza, e pretendere di riconoscervi delle leggi, o, quanto meno, dei processi lineari di causa ed effetto?

E che dire, poi, della storia sacra, specie se guardata con gli occhi del credente? La storia sacra, cioè la storia della salvezza, è una storia di altro genere, che corre parallela alla storia profana, oppure è tutt’uno con essa, si intreccia con essa, è indistinguibile da essa? Se la storia sacra è il risultato di una continua interazione fra Dio e l’uomo, fra l’amore divino e la risposta umana a quella offerta d’amore, non è forse vero che la storia è tutta una storia sacra, anche se gli uomini non lo sanno, anche se non lo ricordano, anche se vorrebbero, deliberatamente, ignorarlo? Forse che l’amore di un padre per i suoi figli viene meno, per il fatto che questi se ne sono andati di casa, magari sbattendo la porta, magari rinnegandolo, magari maledicendolo? Non continuano ad essere i suoi figli, anche se vorrebbero cancellare quel nome, quel ricordo, quel passato; anche se vorrebbero rivendicare una autonomia assoluta, come se non avessero ricevuto nulla da lui, neppure il dono della vita? Ebbene, la stessa cosa si può dire per la storia umana. Anche nei momenti in cui la distanza fra l’uomo e Dio appare massima, perché l’uomo ha rifiutato e rinnegato il suo Creatore, e teorizzato e codificato la sua "morte", quel Dio, nondimeno, continua ad esistere; e la storia stessa, pur essendo divenuta la storia del rifiuto dell’uomo, non cessa, però, di essere "sacra", nel senso di originata dall’amore di Dio e aperta alla libera risposta dell’uomo. E quel Dio, poi, non è lo stesso Dio misericordioso, che disse ad Abramo: Se anche vi fossero solo dieci giusti nella città di Sodoma, io, per amore di quei dieci, non la distruggerò? (cfr. Genesi, 18, 32).

Come bene aveva visto S. Agostino, nella dimensione della storia si mescolano le due città: quella terrena, dominata dall’amore di sé, e quella di Dio, dominata dall’amore per il Creatore. Solo nella dimensione dell’eternità le due città saranno separate per sempre; ma, per ora, esse sono confuse, l’una si sovrappone all’altra in una dialettica incessante, in una lotta continua. Perché la vita è lotta, chiamata, vocazione: ogni uomo ha una sua speciale vocazione, una sua speciale chiamata da parte di Dio: e ogni uomo (non solo alcuni!) è chiamato alla santità. Infatti la santità, anche se questo è un pensiero che ci è poco familiare, non dipende da noi, se non nella misura della umana disponibilità ai piani di Dio: per l’uomo che possiede una fede totale e incondizionata (come quella di Maria Vergine), qualunque traguardo divine possibile, qualunque impresa appare realizzabile. Non sarà l’uomo a fare, ma Dio in lui e per mezzo di lui.

Ora, se le due città sono, al presente, mescolate, ne consegue che esistono due diversi piani di lettura della storia: un piano terreno, che si serve di strumenti puramente razionali, ma che riesce a vedere fin dove giungono le possibilità della ragione umana; ed uno ultraterreno, soprannaturale, che può essere compreso solo da chi si apre ad una forma di comprensione diversa, e non già inferiore, ma anzi, superiore, a quella razionale: la modalità della fede. Con la fede — che si alimenta del cibo eterno dei Sacramenti, della preghiera con il Salvatore, della meditazione sui misteri della storia sacra – divengono chiare e comprensibili delle cose che, con il solo strumento della ragione, appaiono, invece, incomprensibili. Per esempio: come spiegare che il secolo della massima affermazione della ragione, il XX, abbia visto centinaia di milioni di uomini prostrarsi davanti a idoli crudeli, che esigevano innumerevoli sacrifici umani, e che li abbiano devotamente serviti, sino a smarrire anche il più elementare senso di umanità (fra guerre mondiali, genocidi sistematici, uso della bomba atomica) e sino a macchiarsi di orrendi delitti, dei quali, d’altronde, sono stati essi medesimi anche le vittime designate? Come spiegare dei fatti del genere, se ci si limita al piano puramente razionale, e se si ritiene che la storia sia il campo d’azione di forze esclusivamente umane, le quali, pertanto, sarebbero suscettibili di indagine e interpretazione da parte di una intelligenza chiusa in se stessa, e indisponibile anche alla sola ipotesi della trascendenza?

Ha scritto Giuseppe Moretti a questo proposito (sulla rivista dei Padri dehoniani Presenza cristiana, Andria, Barletta, n. 1 di gennaio/febbraio 2016, pp, 46-48):

La nostra vita è un succedersi di eventi non sempre prevedibili, non sempre logici, non facilmente accettabili per la nostra intelligenza: nascite e morti, successi e fallimenti, feste e lutti… La nostra razionalità ci dà risposte, che non ci appagano fino in fondo. Allora proviamo a chiedere e alla fede una risposta più sicura.

Per l’intelligenza, il creato è di una straordinaria perfezione, che non riusciamo a spiegarci; per la fede il creato è frutto della premura di Dio, della sua "misericordia" per l’uomo: "ha fatto con sapienza i cieli… ha steso la terra sopra le acque… ha fatto i grandi luminari… il sole per regnare sul giorno… e la luna e le stelle per regnare sulla notte… perché eterna è la sua misericordia…". Il creato non è solamente bello, incantevole, è dono di misericordia. Il creato è il primo libro, leggibile anche dagli analfabeti, che ci racconta Dio, la sua grandezza, la sua misericordia.

"Colui che percosse gli egiziani nei loro primogeniti…". Il riferimento è al’ultima delle piaghe d’Egitto e a noi sembra qualcosa di crudele, soprattutto perché ha colpito degli innocenti (i primogeniti degli uomini e degli animali). Dio ha affidato all’uomo il "Giardino" perché lo custodisse e lo coltivasse. Dio non interviene per togliere all’uomo ciò che gli aveva affidato e ciò che avviene nel giardino è opera dell’uomo. Dio assiste a quello che avviene, ma non da spettatore, perché il senso di tutto lo dà lui, guidando le cose ad uno scopo.

"… Fece uscire Israele di mezzo a loro… con mano potente e con braccio teso". Ecco una prima risposta agli interrogativi di prima: Dio non provoca, ma guida le vicende. Dio fa nascere, dalle macerie della schiavitù d’Egitto, un popolo a cui affida un messaggio per tutta l’umanità. La sua misericordia riemerge dalle crisi degli uomini. Al termine delle nostre crisi Dio offre all’uomo sempre delle nuove opportunità. Nessuna lacrima, nessun gemito, nessuna fatica.. vanno a vuoto. Dio è talmente grande che non ha bisogno di costringere l’uomo ad andare su una determinata strada o bloccarlo sulla strada in cui sta andando, ma sa trasformare in strada di salvezza quella che l’uomo sta percorrendo… se l’uomo si lascia guidare.

"Colui che divise il mar Rosso in due parti… e fece passare Israele in mezzo a esso… Anche gli eventi naturali entrano nel gioco di Dio; è lui che li finalizza, per misericordia, ad uno scopo di salvezza: il cammino di crescita di questo popolo.

"..,. e travolse il faraone e il suo esercito… nel mar Rosso". Anche qui dobbiamo superare la lettura troppo frettolosa e ingenua di un Dio che, risentito, punisce la caparbietà degli Egiziani. Dio è paziente e si propone di far crescere l’uomo anche attraverso le sue scelte… anche se sbagliate. "Sbagliando si impara" dice il proverbio. Gli Egiziani, per la fretta che avevano di riportare indietro gli Israeliti, non hanno tenuto conto della marea che montava.

"Colui che percosse re grandi e uccise re potenti…". Nella lingua ebraica non c’è il concetto di permissione ("Dio permise…"), per cui sembra quasi che sia Dio a farli perire. Sarebbe come se un medico avesse chiesto a un paziente di smettere di fumare o di bere superalcoolici e, poiché il paziente non si è attenuto alle indicazioni ed è morto, si dicesse che il medico lo ha fatto morire..

"… e diede loro il paese in eredità… in eredità a Israele, suo servo". E la misericordia riappare come motivo che guida la pedagogia di Dio. Dio non ha fatto fallire quei re (i re e i politici falliscono per conto loro, senza spinte particolari). Dio, senza forzare la mano, guida la storia dei popoli.

"Colui che nella nostra umiliazione si ricordò di noi… e ci ha liberati dai nostri nemici". La grandezza di Israele sta proprio in questo: ha letto gli eventi della sua storia alla luce della "misericordia di Jaweh". Se di fronte a certi moneti difficili, avessimo meno fretta nel tirare delle conclusioni, forse vedremmo le piste che Dio ci apre davanti.

"Colui che dà il cibo a ogni creatura… Celebrate il Dio del cielo. Israele ha la profonda convinzione che tutto sta sotto la guida di Dio, per questo, in tutte le situazioni vuole celebrare la "misericordia di Jaweh".

Se non si tiene presente questo secondo livello di lettura, la storia umana diventa qualcosa d’incomprensibile: una sciarada, un enigma, o, peggio, una tragica beffa (come pensano, del resto, molti scrittori e filosofi della modernità: ciechi che pretendono di guidare un esercito di altri ciechi).

Gli eventi sono lì, davanti a noi, apparentemente chiari, almeno per i periodi più vicini: eppure non ne comprendiamo il senso, non vediamo più in là della superficie; la nostra intelligenza materiale rimane chiusa alla loro profonda comprensione, perché inviluppata e imprigionata nella maglie della logica umana e della legge di causa ed effetto. Il che è come pretendere di vedere i virus a occhio nudo, o di tagliare una lastra di marmo con il coltellino da dessert.

Scrive ancora Giuseppe Moretti (Idem, n. 2 di marzo/aprile 2012, p. 45): Ci viene spontaneo chiederci; se Dio regna, perché il mondo è così devastato dal male? Perché è così mal governato? Ce lo domandiamo noi, ma se lo domandano gli infiniti poveri, malati e diseredati della terra. Eppure è così. Dio regna, ma non nel senso che pensiamo noi. Regna in modo più discreto, meno chiassoso di come regnano i nostri governanti. Ma regna. Dio "regna dalla croce" dice la nostra liturgia. Secondo noi la croce non è un trono ma un patibolo per gi schiavi. Eppure Dio regna da lì. L’audacia della fede osa affermare questo. Per questo può dire anche che "Dio regna" a fronte di un”umanità litigiosa, inquieta e insoddisfatta….

Questo è precisamente il mistero di Dio che si cela nella storia; per questo Gesù ebbe a dire: Ti rendo gloria, o Padre, perché hai nascosto queste cose agli orgogliosi e ai superbi, e le hai rivelate ai piccoli! Dunque, se si vuol comprendere qualcosa della storia, bisogna saper leggere il mistero di Dio fra le righe degli eventi umani. L’uomo crede di essere il protagonista della storia, ma è solo l’operaio della vigna: un operaio infedele, spesso, quando non addirittura omicida, che mette a morte i servi del padrone, e poi ha fatto la stessa cosa con il suo unico Figlio. Eppure, il padrone della vigna non si è ancora stancato di lui; ancora lo cerca, ancora lo aspetta. Ancora predispone per lui innumerevoli possibilità di redenzione. Purché questi lo voglia, liberamente e fiduciosamente…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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