
La società moderna che ha detronizzato il padre non si salverà se non tornando al Padre
20 Maggio 2016
«Non siete entrati voi e lo avete impedito a quanti avrebbero voluto farlo»
22 Maggio 2016L’ultima delle ottanta proposizioni contenute nel Sillabo di Pio IX, pubblicato nel 1864, affermava essere falsa la dottrina secondo cui il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà: e in tale prospettiva si è tenuto, pochi anni dopo, il Concilio Vaticano I, dominato dall’autorità del pontefice e dallo sforzo di restaurare la civiltà cristiana, contro gli errori del liberalismo, del socialismo, della secolarizzazione e del materialismo. Eppure, un secolo dopo, il Concilio Vaticano II è stato concepito e condotto, e viene tuttora presentato, come quello che ha aperto una nuova strada alla Chiesa, che le ha indicato una nuova prospettiva e che ha segnato una "svolta antropologica" nella stessa teologia cristiana: e ciò perché è stato il concilio che ha definito l’identità della Chiesa a partire dal suo rapporto, costruttivo e dialogante, proprio con il mondo moderno. E dunque, come stanno effettivamente le cose? Chi aveva ragione: Pio IX e il Concilio Vaticano I, oppure Giovanni XXIII e il Vaticano II? La Chiesa può e deve dialogare con il mondo moderno, giungendo a un accomodamento con esso? E che cosa significa dialogare? Significa accettare integralmente il punto di vista dell’altro, anche quand’esso vada a configgere diametralmente con i propri valori, compresi quelli assolutamente irrinunciabili?
Facciamo un esempio concreto: la pratica legalizzata dell’aborto. Dialogare con il mondo moderno equivale a rinunciare, da parte della Chiesa, a proclamare che tale pratica è gravemente peccaminosa e del tutto inammissibile, e fare finta di niente? Significa comportarsi come papa Bergoglio, che loda pubblicamente la memoria di Marco Pannella, massimo artefice della legge 194, e riserva la sua stima ed amicizia a Emma Bonino, la quale, a suo tempo, si faceva fotografare con in mano la pompa per bicicletta, con la quale voleva reclamizzare la libertà di abortire per tutte le donne, con qualunque mezzo? Come si vede, non stiamo parlando di questioni accademiche, fatte di pura teoria: stiamo parlando, al contrario, di cose estremamente concrete, sulle quali un cattolico è chiamato, anzi, è letteralmente obbligato, a pronunciarsi, a schierarsi, a esprimere la sua convinzione, che poi coincide con l’insegnamento ufficiale della Chiesa. La sana teologia cattolica, infatti, ha sempre insegnato che si è responsabili non solo del male che si compie, ma anche di quello che si vede e che non si fa nulla per impedire, o, almeno, per denunciare; e che correggere il fratello che sta peccando gravemente è non solo una cosa opportuna, ma doverosa, perché tale, e non altro, è il vero amore di carità: correggere chi sbaglia per il bene della sua anima, bene che non si fa, tacendo e fingendo di non vedere.
La Chiesa postconciliare ha deciso di fingere di non vedere il male? Di non denunciare più il peccato? Di non riprendere, né correggere, i fratelli che sbagliano, peccando contro Dio e contro il prossimo? E, a proposito dei personaggi che abbiamo sopra ricordato, potremmo citare anche il caso del divorzio, della libertà di drogarsi, dell’eutanasia, della libertà assoluta d’immigrazione (islamica) e dei cosiddetti matrimoni omosessuali. Tali pratiche, o richieste, configgono frontalmente con i valori cristiani; eppure sono diventate delle tipiche espressioni della libertà, così come la intende la cultura moderna e come le "sente" la civiltà moderna. Il cristiano deve ignorarle, deve girare la testa dall’altra parte, in nome del dialogo? Il dialogo equivale al silenzio sui punti di dissenso, anche quando si tratti di questioni assolutamente decisive? Dialogare significa capire il punto di vista dell’altro, sospendere il giudizio, accettare quel che chiede la maggioranza, sempre e comunque (ammesso e non concesso che si tratti realmente della maggioranza, e non di una minoranza aggressiva, sfrontata ed estremamente decisa, forte, oltretutto, del sostegno dei poteri finanziari e politici al più alto livello mondiale)? È questo che deve fare la Chiesa del terzo millennio: stare zitta davanti allo scempio delle cose più sacre in cui crede, pur di non litigare col mondo?
Dal momento che sono proprio i celebratori acritici del Vaticano II a presentare quel Concilio come qualificato dalla "scoperta" del dialogo (contrapponendolo al concilio "cattivo" per eccellenza, il Vaticano I, impregnato di autoritarismo papalino e accecato da una irrimediabile ottusità reazionaria), non possiamo eludere la discussione su che cosa si intenda, in realtà, con l’espressione "dialogo". In effetti, il Vaticano II non ha dato una definizione soddisfacene; al contrario, ha tracciato un vero e proprio circolo vizioso, e questo proprio nei suoi due documenti più importanti e caratterizzanti: la Lumen gentium e la Gaudium et spes, che furono definite, con molta enfasi, la Magna charta, rispettivamente, dell’identità e del dialogo cristiani. In altre parole: nella Lumen gentium si è affermato che l’identità della Chiesa si definisce mediane il dialogo, mentre nella Gaudium e spes si è allargato al massimo il raggio del dialogo con le realtà esterne alla Chiesa cattolica. Tutti gli altri documenti del Concilio (quattordici, per un totale di sedici: quattro costituzioni dogmatiche, nove decreti e tre dichiarazioni) sono stati un corollario e un approfondimento di questi due. Ma se l’identità della Chiesa è data dal fatto di essere una Chiesa perennemente in dialogo col mondo, e se il dialogo consiste nel riconoscere una pluralità di verità, aventi ciascuna il medesimo valore e la medesima dignità intrinseca, che cosa è, realmente, la Chiesa? Non rischia di diventare, come direbbe Luigi Pirandello, una, nessuna e centomila? Non rischia di svaporare, di scomparire, di dissolversi, per un eccesso di volontà dialogante con tutti e con ciascuno, ad ogni costo, anche a quello di perdere se stessa?
Il buon vecchio Nietzsche affermava che nessuno può guardare troppo a lungo nell’abisso, senza che l’abisso, a un certo punto, non finisca per guardare dentro di lui. Ora, se la civiltà moderna è l’abisso, una Chiesa che sia letteralmente ipnotizzata dal miraggio di dialogare con essa, finirà per precipitare al suo interno, e, senza praticamente rendersene conto, finirà per cessare di essere se stessa, e diverrà qualcosa d’altro, qualcosa che si definisce a partire dalle categorie del mondo moderno, che ragiona come ragiona il mondo moderno, che sente come sentono gli uomini della modernità. Ad esempio, una Chiesa che non sente più il dramma del peccato e della grazia; che non guarda più all’uomo come a una creatura, fatta, sì, a immagine di Dio, ma scivolata nel peccato e bisognosa di redenzione; per vedere il Vangelo come una delle tante opzioni possibili, e Gesù come una delle tante guide spirituali, non come il Figlio di Dio, fattosi uomo per amore dell’umanità, perseguitato, ucciso, morto e risorto per mano degli uomini, e venuto fra essi perché, dopo il suo ritorno al Padre, potesse scendere sulla terra lo Spirito di verità, il Consolatore, il Paraclito, destinato a rimanere con essi ogni giorno, sino alla fine del mondo. Una chiesa "risucchiata" dalla mentalità del mondo moderno sarà una Chiesa che smarrisce il senso di sé, e si dimentica delle parole di Gesù: Io sono la via, la verità e la vita; che si pone sullo stesso piano delle altre religioni, che si auto-mortifica, che smette di annunciare il Vangelo per non offende la sensibilità degli altri uomini, e si avvia all’auto-distruzione in nome di un pluralismo e, in ultimo, di un indifferentismo religioso, che si configurano come un ritorno al deismo illuminista, allo gnosticismo massonico, al culto del Grande Architetto dell’universo.
Inevitabilmente, la questione che si pone è il giudizio complessivo che si dà della civiltà moderna. Per chi sostiene che la Chiesa del Vaticano II ha fatto bene, benissimo, a definirsi a partire dal dialogo con essa, il giudizio, come è evidente, non sarà mai del tutto negativo, al contrario; si scorgeranno in essa molti aspetti meritevoli di attenzione e persino di valorizzazione: l’attenzione alla persona umana, per esempio, o alla sua "dignità". Questo, naturalmente, se si ha abbastanza pelo sullo stomaco da non vedere che la "dignità" massonica non si estende ai nascituri, i quali possono essere sacrificati in nome dei "diritti" delle mamme che non vogliono averli; o se si finge di non accorgersi che il pluralismo religioso e lo stesso ecumenismo finiscono per tornare a esclusivo vantaggio di chi sta mirando a islamizzare l’Europa e a ridurre il cristianesimo a una religione residuale, destinata all’estinzione con la volonterosa collaborazione dei suoi stessi pastori e dei suoi stessi sedicenti teologi. Se, invece, si riconosce nella civiltà moderna il risultato di una operazione, pianificata a tavolino, di distacco dal cristianesimo e di progressiva distruzione di esso, che parte perlomeno dai libertini del XVII secolo, prosegue con l’illuminismo e culmina nelle aperte persecuzioni del XX secolo (dal Messico alla Russia, dalla Spagna ai Paesi arabi), allora il giudizio sulla volontà — e sulle velleità — di dialogo della Chiesa cattolica con il mondo moderno cambia radicalmente, e diventa un giudizio severo, d’inappellabile condanna: quale fu, guarda caso, quello formulato da Pio IX ai tempi del Sillabo.
Ora, dal Vaticano II in poi, una legione di teologi modernisti e progressisti non si stanca mai di ripetere quanto sia stato bello, buono e necessario l’avvio di un dialogo costruttivo con il mondo, e di come se ne sentisse la mancanza, e di come la Chiesa, grazie ad esso, abbia ritrovato la sua vera vocazione e la sua vera ragion d’essere: non più roccaforte di David, come hanno detto, con una fiorita e zuccherosa similitudine, quei tali teologi progressisti, ma una realtà itinerante e pellegrina, alla maniera di Abramo: ossia, fuor di metafora, non chiusa e ripiegata in se stessa (come era, a loro giudizio, la Chiesa di Pio IX; e senza dubbio, anche quella di Pio X, visto che ha condannato il modernismo…), ma aperta e dialogante, come quella di Giovanni XXIII. Da questa prospettiva si comprende meglio anche il fatto che il Vaticano II è stato, da un lato, il solo concilio ecumenico della storia che non sia stato convocato per dirimere e comporre delle questioni dottrinali, ma per una generica "esigenza pastorale" e per una volontà di "rinnovamento liturgico" (obiettivi che possono sembrare modesti e perfino minimalisti, mentre sono estremamente ambiziosi, perché mettono in questione lo "spirito" stessa della Chiesa); e, dall’altro, perché sia stato il solo concilio che non ha pronunciato condanne verso le false dottrine, né stabilito dogmi per rafforzare, illuminare e chiarire le verità cristiane.
Nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII ha, infatti, affermato: Sempre la Chiesa si è opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati con estrema severità. Oggidì però la Sposa di Cristo preferisce applicare il mezzo salutare della misericordia anziché del rigore. Essa ritiene di poter meglio rispondere alle esigenze dell’epoca moderna mostrando il valore della propria dottrina, anziché decretando condanne. Belle parole, senza dubbio: ma parole realistiche, e, soprattutto, parole in linea con la dottrina cattolica di sempre, con l’eterna verità del Vangelo? Che cosa significa "preferire la misericordia alla condanna", in un momento storico in cui la Chiesa è sotto attacco e in cui la civiltà moderna, attraverso molteplici vie, sia materiali che culturali, si sta impegnando al massimo per estirpare o, non potendolo, per snaturare dall’interno il messaggio di Cristo? Non ha parlato forse lo stesso Paolo VI, colui che ha accompagnato, per la maggior parte, lo svolgimento del Concilio, del fumo di Satana in Vaticano? E dunque: se il nemico di Cristo e della Chiesa è già dentro di essa; se sta sferrando attacco finale per distruggerla, che cosa significa rivolgesi proprio a quel nemico con la clemenza e non con la severità?
Inoltre: che cosa vuol dire astenersi dal condannare, davanti a tutta una serie di azioni e di comportamenti che, dal punto di vista cristiano, è non solo legittimo, ma assolutamente doveroso, condannare? Forse la salvezza delle anime si persegue assecondando lo spirito del mondo, e non già ammonendo il peccatore? Questi simpatici progressisti parlano sempre della misericordia: ma la misericordia, senza l’ammonizione, non conduce alla salvezza, bensì alla perdizione delle anime. Gesù, nel rimandare a casa l’adultera, non le disse: Va’, e continua a tradire tuo marito; bensì le disse: Va’, e non peccare più. Se si toglie la sua esortazione: e non peccare più, si stravolge il senso del suo messaggio: ed è quello che i teologi buonisti e i pastori troppo "misericordiosi" stanno facendo. Stanno stravolgendo il Vangelo: perché sia chiaro che il buonismo non è evangelico, è diabolico. Il buonismo corrisponde al fare finta di non vedere il male: il che non viene certo da Dio, ma è, alla lettera, un atteggiamento diabolico.
Ma c’è un’altra cosa ancora che non quadra, in quelle parole di Giovanni XXIII. Egli affermò, come si è visto, che la Chiesa ritiene di poter meglio rispondere alle esigenze dell’epoca moderna mostrando il valore della propria dottrina, anziché decretando condanne. Ora, domandiamo: la Chiesa deve porsi al servizio delle "esigenze" dell’epoca moderna? Ma quando mai? Questo sarebbe il Vangelo? Questo è ancora il cristianesimo? Gesù si era forse posto al servizio delle esigenze della sua epoca? Non ci risulta affatto; al contrario. Ogni qualvolta i Giudei tentarono di trascinarlo dalla loro, per esempio sul terreno politico, egli si ritrasse, ribadendo, fino all’ultimo (cioè davanti a Pilato) che il suo Regno non è di questo mondo. Più chiaro di così. Eppure, incredibile a dirsi, c’è ancora chi non vuol capire, non vuol sentire, non vuol vedere la pura verità…
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