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19 Aprile 2016Quando apparve, nel 1923, il romanzo Il diavolo in corpo, scritto da un giovane che sarebbe morto a soli vent’anni, Raymond Radiguet, la Francia e l’Europa rimasero sconcertate e turbate dall’audacia dalla storia, un amore ossessivo e irruente che stravolge la vita di un quindicenne e di una ventenne, il cui fidanzato è al fronte, durante la Prima guerra mondiale. La storia è stata poi ripresa dal cinema e ha ispirato il regista Claude-Autant Lara, nel 1947, e poi, molto alla lontana, Marco Bellocchio, nel 1986, andando a costituire una specie di archetipo dell’immaginario collettivo moderno: l’archetipo dell’amore passionale allo stato puro, sensuale, torbido, vergognoso, socialmente riprovevole, e tuttavia sfrontato, poderoso, indomabile, incontenibile, trionfante, come una forza distruttiva della natura.
D’altra parte, proprio il successo durevole di questa storia, che va ben oltre i meriti letterari dell’autore, e quelli cinematografici dei registi, e anche oltre gli stessi talenti degli attori che hanno prestato i loro volti alle figure dei due protagonisti, una specie di Romeo e Giulietta alla rovescia; proprio quel successo strepitoso, durevole, intramontabile, proprio quel prurito e quella frenesia di degradazione che la storia stessa, di per sé ambigua, cupa, inconfessabile, deplorevole, stuzzica e alimenta; proprio quel fascino, quella attrazione verso ciò che è moralmente sbagliato, verso ciò che offende il comune senso del limite e del pudore, stanno a testimoniare che il titolo, in realtà, è molto più veritiero di quel che non si crederebbe e che forse, dopo tutto, sarebbe il caso di prenderlo sul serio, e d’intenderlo in maniera letterale.
Le diable au corps: certo, lo si può scrivere con la lettera minuscola; ma se il Diavolo di cui parla il titolo fosse proprio lui, il gran Nemico, che si serve dei nostri sensi per aggredire le nostre anime, per spingerci ad atti riprovevoli, a passioni turpi, degradanti, a calpestare le leggi umane e divine, sfruttando l’istinto della concupiscenza ed i piaceri proibiti della lussuria? E se il Diavolo, creatura spirituale e intelligente quant’altre mai, fosse svelto ad approfittare delle nostre debolezze, a cominciare dai nostri stato d’animo più negativi, e perfino delle nostre patologie psichiche: la depressione, l’ossessione, l’angoscia, la nevrosi, la schizofrenia? Non potrebbe darsi che egli sia così subdolo e astuto, così geniale nella sua abilità di nascondersi, proprio mentre ci sta insidiando, da sfruttare appunto i varchi che si aprono allorché la mente è disturbata, il giudizio è ottenebrato, la volontà è indebolita, e penetrare nell’interno dell’anima, senza che alcuno se ne avveda, e lasciando credere a tutti, a cominciare dai medici e dagli psicologi, che ciascuno dei sintomi manifestati dall’infelice paziente non è altro che il risultato di disturbi, inquietanti, sì, e difficili da individuare, ma insomma pur sempre perfettamente umani, e perfettamente spiegabili, una volta che se ne sia compreso il meccanismo, una volta che ne siano state finalmente riconosciute le origini e le cause, vicine e remote?
È stata saggia, la civiltà moderna, quando ha messo definitivamente in soffitta la credenza nel Diavolo; o quando ha stabilito che qualsiasi malattia può e deve trovare una risposta sul piano immanente, finito, naturale, e che nessuna malattia è in grado di minacciare l’uomo, che non parta da cause puramente umane e che non sia trattabile con mezzi e terapie puramente umani? E Dante, quando descriveva Satana, il signore dell’abisso, lavorava solo di fantasia? Era solamente un simbolo del Male, quello rappresentato dai pittori, al centro delle scene infernali, negli innumerevoli Giudizi finali delle chiese e cattedrali medievali? E il Diavolo che, nel romanzo di Fëdor Dostoevskij, appare davanti a Ivàn Karamazov, mentre questi delira per la febbre cerebrale, è solo il frutto delle sue allucinazioni e del suo senso di colpa?
Joris-Karl Huysmans (1848-1907), scrittore francese (ma di padre olandese) decadentista, poi convertitosi al cattolicesimo, è stato artefice di una straordinaria intuizione: e se le nevrosi, di cui soffre, tipicamente, l’uomo moderno, fossero altrettanti spiragli, altrettanti varchi, attraverso i quali s’insinua lo Spirito del Male, per trascinare l’uomo il più possibile lontano da Dio e dalla sua grazia, sfruttando appunto quei malesseri, quei disturbi, ed esasperando le pulsioni negative esistenti nell’anima fin da prima, i bassi istinti, le naturali inclinazioni verso il male (perché vi sono anche inclinazioni naturali verso il male, così come ve ne sono verso il bene)?
Affermava, dunque, Huysmans nella Prefazione scritta dall’autore vent’anni dopo al suo capolavoro, Controcorrente (titolo originale: À rebours, 1884; traduzione dal francese di Camillo Sbarbaro, Milano, Garzanti Editore, 1975, pp. 8-9):
Per il terribile sesto capitolo, il cui numero corrisponde, senza ch’io l’abbia minimamente cercato, a quello del Comandamento ch’esso offende, e per alcune parti che ad esso si possono aggiungere, superfluo dire che non li scriverei più oggi come li scrissi allora.
Avrei per lo meno dovuto spiegarli più sottilmente con la perversità diabolica che s’insinua, specialmente quando si tratti di lussuria, nei cervelli esauriti. Pare infatti che le malattie dei nervi, che e nevrosi aprano nell’anima delle falle per le quali penetra lo Spirito del Male. È questo un enimma che resta tuttora insoluto. La parola isteria non spiega nulla; essa può servire a determinare uno stato fisico, a segnalare il sorgere di irresistibili voci dei sensi; non deduce affatto le conseguenze spirituali che vi si riattaccano ed in particolar ei peccati di dissimulazione e di menzogna che quasi immancabilmente vi si innestano.
Quali sono le particolarità e le circostanze di questa peccaminosa infermità? In che misura s’attenua la responsabilità dell’essere affetto nell’anima da una specie di possessione demoniaca che viene ad aggravare il dissesto fisico dello sventurato? Nessuno lo sa; su questo punto la medicina sragiona e la teologia tace.
In mancanza d’una soluzione che non poteva evidentemente recare, Des Esseintes [il protagonista del romanzo, tipico esteta nella Parigi fin de siècle] avrebbe dovuto considerare la questione dal punto di vista della colpa; ed esprimere almeno un po’ di rincrescimento. Egli s’astenne dal biasimarsi ed ebbe torto. Ma per quanto educato dai gesuiti — dei quali, più di Durtal, tesse l’elogio — egli era in seguito diventato così ribelle ai divieti divini, così pervicace nello sguazzare nel brago della carnalità!
Comunque, questi capitoli sembrano posti lì, senza volerlo, a mo’ di biffe, ad indicare la strada che condurrà l’autore a scrivere "Là-bas". Si noti d’altronde che la biblioteca di Des Esseintes conteneva un certo numero di libri di magia; e che le idee sul sacrilegio che si leggono nel settimo capitolo di "A Rebours" offrono lo spunto ad un futuro volume che tratterà l’argomento più a fondo.
Neppure "Là-bas", che spaventò tanta gente, lo scriverei più nel modo che l’ho scritto, ora che sono ridiventato cattolico. Il filone infatti di scelleratezza e di sensualità ch’esso riprende e sviluppa è, non occorre dirlo, riprovevole. Eppure, lo affermo, io ho velato, non ho detto nulla: i documenti che in esso sciorino sono, a confronto di quelli che ho omesso e che posseggo in archivio, scipite bagatelle, innocenti zuccherini!
Credo, tuttavia, che a dispetto delle demenze cerebrali e delle follie alvine di cui il libro spesseggia, esso non sia stato, nel soggetto stesso che tratta, senza benefico effetto.
"Là-bas" ha richiamato l’attenzione sulle astuzie del Maligno il quale era arrivato a farsi negare; esso è stato il punto di partenza di tutti gli studi che ripresero in esame l’eterno processo del Satanismo; ha concorso, svelandole, a stroncare le odiose pratiche delle goezie [cioè e invocazioni e le evocazioni dei demoni]; ha insomma preso parte e coraggiosamente combattuto per la Chiesa contro il Diavolo.
L’idea che i malesseri morali e i profondi squilibri spirituali possano creare dei varchi, attraverso i quali l’anima di un individuo può essere aggredita pericolosamente dagli spiriti demoniaci, è, in effetti, molto antica; appartiene alla cultura di moltissimi popoli primitivi, e anche a quella di non poche civiltà superiori.
Questa credenza si è sbriciolata al sopraggiungere della modernità. Gli scienziati moderni, che si erano autodefiniti savants, cioè "i sapienti", hanno deciso che si trattava di sciocchezze, di puerili superstizioni; tanto più che l’anima, lo sanno tutti, non esiste: esiste una quantità di funzioni della mente, che possono essere razionalmente studiate e spiegate; esistono malattie, virus, disturbi, traumi, ma null’altro. Logico, del resto: niente Dio, niente Diavolo; dunque, come potrebbero aggredire l’uomo dei supposti spiriti maligni?
Dulcis in fundo, è arrivato Freud: il principe della psicologia moderna, la quintessenza dello spirito moderno, anche nei suoi (pochi) dubbi, anche nelle sue (rare) perplessità: dubbi e perplessità che non investono mai le fondamenta della sua teoria psicoanalitica (perché, se qualcuno non lo sapesse, e a dispetto di quanto insegnano, imperterriti – e impettiti – centinaia di migliaia di professori, nelle scuole e nelle università di mezzo mondo, pardon, di tutto il mondo, di una teoria si tratta, proprio come nel caso del darwinismo: non di una evidenza scientifica, definitvaente e unanimemente riconosciuta come tale). Freud, si dice — e invece non è affatto vero — ha scoperto l’inconscio (ma, se è per questo, Dostoevskij, Shakespeare, i tragici greci, lo avevano riconosciuto e descritto assai meglio); né a lui, né ad Adler, né a Jung, tuttavia, ha sfiorato la mente il pensiero che questo inconscio, dopotutto, fosse la bocca di quell’inferno da cui il Diavolo cerca continuamente di sferrare il suo assalto contro l’anima umana. E come avrebbero potuto, d’altronde, se l’anima non esiste, e se Dio e il Diavolo sono prodotti di una cultura arretrata e superstiziosa, proiezioni delle nostre paure e speranze, o tutt’al più, costruzioni dell’inconscio collettivo?
Eppure, è una ipotesi da prendere seriamente in considerazione. L’inconscio, così come lo descrive specialmente Freud, è il deposito originario delle pulsioni, un vulcano in quiescenza, ma sempre pronto a eruttare gas velenosi e magma incandescente; lo stesso Freud ne ha talmente paura, che proclama cosa migliore la nevrosi della civiltà, ossia la nevrosi prodotta dalla censura e dalla repressione del Super-io, che l’abbandono agli istinti che fuoriescono dall’Inconscio. E quale momento più propizio, quale occasione più favorevole, per cogliere l’uomo impreparato e lento a reagire e a difendersi, che quello in cui le nevrosi si insediano nella coscienza e scuotono in profondità l’equilibrio interiore della persona? Si potrebbe immaginare una alleanza più efficace, e più tremendamente distruttiva, di quella che verificasse fra una perdita di armonia e di padronanza di sé da parte della coscienza, e l’aggressione di forze sconosciute di origine infera, tanto più se animate e dirette da una intelligenza e da una volontà personali? I demonologi (e i loro "colleghi" sul piano pratico, gli esorcisti) insegnavano che la vessazione, l’ossessione e la possessione demoniaca si verificano solo dopo che vi è stato un qualche tipo di "invito", da parte del soggetto umano, nei confronti delle entità demoniache; solo dopo che si è creata una qualche forma di disponibilità, o di curiosità, o di apertura. Al tempo stesso, un atteggiamento così morboso, imprudente, sconsiderato, come quello di "aprire" dei varchi alle forze del Male (per esempio, con l’assidua frequentazione di sedute spiritiche, o, magari, con la pratica, o con la partecipazione, a delle vere e proprie cerimonie di magia nera) non è forse indice di uno smarrimento della coscienza, di un ottenebramento della lucidità spirituale e del giudizio morale?
Giungiamo, così, alle soglie d’una conclusione molto interessante, anche se in apparenza paradossale. Non solo il corpo può andare soggetto ad ammalarsi, né solo la psiche: anche l’anima può aprire il varco alle malattie; le quali sono, in tal caso, o possono essere, di natura demoniaca. Alcuni fatti di cronaca nera, anche recentissimi, fanno seriamente riflettere a questo proposito: sembra strano che l’anima, da se stessa, e senza alcuna ragione specifica, senza alcun fine pratico da raggiungere, sia capace di scatenarsi in certe orge di violenza infernale, prive, appunto, di motivazioni apparenti. Il rimedio, pertanto, sarà, in analogia con la sana concezione della medicina, innanzitutto di tipo preventivo: la vita buona; il ritorno a Dio; l’orrore del Male. Non vi è rimedio più sicuro di questo: prevenire le tentazioni; cioè fare il bene, amare, pregare, lodare, adorare Dio…
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