
Abbiamo bisogno di discernimento spirituale per partecipare alla vita divina
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15 Marzo 2016Il Sacrificio eucaristico che ha luogo nel corso della Messa è non soltanto il Sacramento che rigenera incessantemente la vita dell’anima, immettendola nell’alveo della vita divina, ma è anche il perpetuo rinnovarsi di un miracolo che, come osserva san Tommaso d’Aquino, il massimo filosofo e teologo del Medioevo, deve essere considerato perfino più grande della Risurrezione stessa di Cristo: perché questa si è verificata una sola volta, quello si rinnova incessantemente, ogni volta che un sacerdote lo celebra e che un fedele vi si accosta, per ricevere il corpo e il sangue di Gesù Cristo mediante l’Eucarestia. Parrebbe, dunque, che la Chiesa cattolica debba esortare il clero a celebrare quante più Messe possibile, per favorire quella comunione totale con Gesù, che si realizza nel miracolo della Transustanziazione e, poi, nella assunzione delle sacre specie da parte del fedele, opportunamente riconciliato con Dio mediante il Sacramento della Penitenza, detto anche, appunto, della Riconciliazione; e sarebbe logico pensare che il Magistero ecclesiastico incoraggi i sacerdoti a dire più Messe al giorno, affinché il maggior numero di persone possano accostarsi all’Eucarestia e arricchire, con il loro stato di grazia, la vita soprannaturale della Chiesa medesima.
San Tommaso d’Aquino, infatti, nella Summa Theologiae (III, quaestio 80, art. 10, ad 4), scrive testualmente: «L’Eucarestia è cibo spirituale e perciò, come ogni giorno ci nutriamo del cibo corporale, così è lodevole cibarsi ogni giorno di questo sacramento». Il Concilio di Trento, da parte sua, così prescrive in proposito: «Nelle singole Messe, i fedeli presenti (…) si comunichino sacrosantamente dell’Eucarestia per fruire più abbondantemente dei frutti del santissimo sacrificio» (Enchiridion Symbolorum 1747). E il pontefice san Pio X, a sua volta: «È desiderio di Gesù Cristo e della Chiesa che tutti i fedeli quotidianamente accedano al sacro convito» (Enchiridion Symbolorum, 3375; cfr. c. 898). Nell’arco di otto secoli, dunque, la posizione dei massimi teologi e dei pontefici, la raccomandazione del Magistero ecclesiastico, sono sempre state chiare e coerenti: è cosa buona, anzi, ottima, per il fedele, comunicarsi il più spesso possibile, anche tutti i giorni, sempre secondo l’aurea regola, che è poi la ragion d’essere della Chiesa medesima, il suo fine e il suo scopo: Bonum animarum (o salus animarum), in Ecclesia, suprema lex: il bene delle anime (o la salvezza delle anime), nella Chiesa, sia la legge suprema. E, se ciò è bene per il fedele, non si capisce perché non dovrebbe esserlo per il sacerdote che celebra.
Se non che, quando si va a vedere cosa dice in proposito il Codice di Diritto Caninico (cc. 897-958), si rimane, a dir poco, sconcertati:
«Il sacrificio eucaristico, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, nel quale si perpetua nei secoli il sacrificio della Croce, è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l’unità del popolo di Dio e si compie l’edificazione del Corpo di Cristo. Gli altri sacramenti infatti e tutte le opere di apostolato sono strettamente uniti alla santissima eucaristia e ad essa sono ordinati (c. 897).
La celebrazione eucaristica è azione dì Cristo stesso e della Chiesa, e deve essere ordinata in modo che tutti coloro che vi partecipano traggano da essa abbondanza di frutti, per il conseguimento dei quali Cristo ha istituito il sacrificio eucaristico (c. 899, par 3).
La celebrazione della messa produce sempre, ex opere operato, frutti di salvezza, di conversione e di santificazione; ecc.
LA BINAZIONE. Al sacerdote è consentito celebrare l’eucaristia una sola volta al giorno, eccetto i casi in cui, a norma di diritto, può celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno (c. 905. par. 1. Ogni sacerdote può ripetere la celebrazione o la concelebrazione della messa: nel giovedì santo, chi ha celebrato o concelebrato la messa crismale, può celebrare o concelebrare la messa nella Cena del Signore; a Pasqua, chi ha celebrato o concelebrato la prima messa nella notte, può concelebrare la seconda messa di Pasqua; chi, in occasione del sinodo, della visita pastorale o di incontri sacerdotali concelebra col Vescovo o con un suo delegato, può di nuovo celebrare, a giudizio del Vescovo, per l’utilità dei fedeli. La stessa possibilità è data, con gli opportuni adattamenti, anche per le riunioni di religiosi con il proprio Ordinario o con un suo delegato;
nel Natale del Signore, tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare le tre messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti (MR 158); nel giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti (2 novembre), ogni sacerdote può celebrare o concelebrare tre messe. Una sola messa però può essere applicata "ad libitum"; delle altre due, una deve essere applicata per tutti i fedeli defunti e l’altra secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (Cost. Ap. Del 10 agosto 1915). Si eviti tuttavia di celebrare le tre messe immediatamente una dopo l’altra
2. Nel caso vi sia scarsità di sacerdoti, l’Ordinario del luogo può concedere che i sacerdoti, per giusta causa, celebrino due volte al giorno e anche, se lo richiede la necessità pastorale, tre volte nelle domeniche e nelle feste di precetto (c. 905, par. 2). Il criterio per stabilire quale sia in concreto la messa binata o trinata non è dato dalla successione cronologica della celebrazione, ma dal fatto che essa venga celebrata, non importa dove e in quale ora, oltre quell’unica messa giornaliera che, di diritto, è consentita a ciascun sacerdote. Poiché l’Ordinario del luogo può permettere la binazione nei giorni feriali e la trinazione nei giorni di precetto soltanto nel caso che lo richieda la necessità pastorale della comunità, la predetta facoltà non può essere concessa per motivi di devozione personale o per soddisfare la richiesta di poche persone, come avverrebbe, per esempio, nel caso delle messe per gli anniversari dei defunti. Il numero eccessivo di messe nella medesima chiesa non favorisce l’adeguata preparazione e celebrazione dell’eucaristia e la valorizzazione di altre celebrazioni eucaristiche, penitenziali, della parola di Dio e delle pie pratiche che efficacemente promuovono la formazione e la crescita spirituale dei singoli e della comunità.
Sappiano i fedeli, e ricordiamo noi sacerdoti, che se nelle chiese si va soltanto per la celebrazione dell’eucaristia, e poco o mai per altre celebrazioni e pie pratiche, non solo decade la vita spirituale, ma ne ha grave danno lo stesso culto eucaristico. […]
Nei giorni feriali, alla binazione della messa, specialmente se vespertina, si preferiscano altre celebrazioni e pie pratiche; così facendo, il popolo fedele dispone di un multiforme nutrimento spirituale e meglio comprende che se l’eucaristia è fonte e centro della Chiesa e della vita cristiana (PO 6), è altrettanto vero che la sacra Liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa e tutta la spiritualità cristiana (SC 9).»
L’attuale Codice di Diritto Canonico è piuttosto recente e, comunque, ben posteriore al Concilio Vaticano II: è stato promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983, ed è entrato in vigore il 27 novembre di quello stesso anno. D’altra parte, se si va a vedere cosa dicono, su questo argomenti, i documenti episcopali delle singole diocesi, si scopre che tutti i vescovi, più o meno, si sono posti sulla stesa linea teologico-pastorale: poche messe, di regola non più di una al giorno, possono essere celebrate da un singolo sacerdote; tutt’al più, una eccezione può essere fatta per quei sacerdoti che devono seguire due o più Parrocchie contemporaneamente, a causa della scarsità delle vocazioni sacerdotali e del progressivo invecchiamento del clero secolare. Comunque, i vescovi insistono sul fatto che la binazione o la trinazione delle Messe è giustificata soltanto da circostanze particolari, da ritenersi eccezionali, e che devono essere ben valutate e autorizzate, volta per volta, e non lasciate alla discrezione del prete.
Tutto questo è strano, quasi paradossale. Da un lato, si dichiara che il Sacrificio eucaristico è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana; che la celebrazione eucaristica è azione dì Cristo stesso e della Chiesa; e che la celebrazione della Messa produce sempre, ex opere operato, frutti di salvezza, di conversione e di santificazione; dall’altro, si stabilisce che, di norma, al sacerdote è consentito celebrare l’Eucaristia una sola volta al giorno; che spetta ai vescovi di autorizzare i sacerdoti, che abbiano la responsabilità di più parrocchie, a celebrarla due volte al giorno, tre volte al massimo nelle domeniche e nelle feste di precetto. Ci si domanda: se la Messa è il momento centrale nella vita di una comunità cristiana, e se essa rappresenta il canale privilegiato attraverso cui la Grazia divina si effonde sugli uomini, per mezzo del Sacrificio eucaristico, come mai tutta questa prudenza, e, quasi, questa parsimonia, nell’autorizzarla?
Ancora più sconcertanti sono le motivazioni che si allegano per giustificare tale normativa: che senso ha ammonire che, se nelle chiese si va soltanto (sic) per la celebrazione dell’Eucarestia, e poco o mai per altre celebrazioni e pie pratiche, non solo decade la vita spirituale, ma ne ha grave danno lo stesso culto eucaristico? Perché mai dovrebbe decadere la vita spirituale? E di chi, poi? Del sacerdote o del fedele? Del sacerdote, parrebbe: ma per quale ragione? E perché mai lo stesso culto eucaristico dovrebbe ricevere un "grave danno" dalla frequente celebrazione della Messa quotidiana? Ci viene in mente il nostro vecchio parroco, morto due anni fa: la domenica diceva quattro Messe, pur avendo una sola parrocchia e una sola chiesa da seguire: alle sette del mattino; alle otto; alle undici; e, infine, alle sei del pomeriggio. Negli ultimi anni le aveva ridotte a tre, togliendo la Messa del primo mattino, peraltro frequentata abitualmente da un gruppo di pie donne. Agiva all’insaputa del suo vescovo? E, soprattutto, agiva al di fuori del Codice del Diritto Canonico? Se è così, evidentemente compiva un abuso: non si atteneva, pur senza valide ragioni, alla regola di celebrare una sola Messa quotidiana. E nondimeno, guardando alla sostanza e non alla legge formale, davvero si trattava di un abuso?
Ancora più strana, a nostro avviso, la conclusione del Codice, laddove si suggerisce ai sacerdoti di "sostituire" la seconda Messa, anche se richiesta dai fedeli o se scaturisce da ragioni di devozione personale (!), con un altro tipo di celebrazione, in modo da far comprendere che l’Eucarestia è, sì, la fonte ed il centro della Chiesa e della vita cristiana, ma che la sacra Liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa e tutta la spiritualità cristiana. Che non la esaurisca, è certo; ma perché dare l’impressione che, insomma, troppe Messe non fanno bene alla salute dell’anima? Non dovrebbe essere esattamente il contrario? Se l’Eucarestia è il Sacramento principale, e quello che più di tutti rigenera la vita spirituale, è mai possibile che possa essere "troppo"? Non stiamo parlando di un cibo materiale, il cui eccesso provoca l’indigestione: stiamo parlando del nutrimento essenziale della vita soprannaturale, che rende l’uomo — così il sacerdote, come il semplice fedele – partecipe della stessa vita divina. Ché, se poi il problema riguarda il sacerdote (troppo vino da bere nell’arco d’una sola giornata?), lo stesso Codice di Diritto Canonico riconosce che il sacerdote, mentre celebra il sacramento dell’Eucarestia, così come quando officia la Penitenza, è Gesù stesso: e come potrebbe Gesù trovare eccessiva la pratica frequente della Cena di risurrezione?
C’è qualcosa che ci sfugge, in tutta questa logica del nuovo Codice di Diritto Canonico. Pare quasi che la Chiesa non si fidi delle rette intenzioni dei suoi stessi sacerdoti; che sospetti, in loro, una tendenza a celebrare l’Eucarestia con troppa disinvoltura, quasi con leggerezza. Se è così, si tratta di un atteggiamento ingiurioso. Inoltre, non riusciamo a capacitarci del fatto che la Chiesa possa "stabilire" che la Grazia è un bene spirituale da ricevere con cautela, e solo in modica quantità. Un altro sacerdote di nostra conoscenza, un autentico uomo di Dio (e, perciò, non molto gradito ai suoi superiori), dice sempre che la Messa non è mai troppa, che l’Eucarestia non può fare che del bene, perché immette nella vita dell’anima lo splendore di Gesù Cristo. Sta sbagliando, anche lui? E il compito dei vescovi, è diventato quello di sorvegliare affinché i loro sacerdoti non dicano troppe Messe? Ma quando mai? A chi non fa piacere che restino aperti il più possibile i canali della Grazia divina, anche più volte al giorno, se non al Nemico dell’uomo, che vorrebbe tenerlo lontano da Dio?
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash