
Ma l’idea di fondo del Sillabo è proprio così errata come da sempre si ripete?
8 Marzo 2016
Primo: ripulire le stalle di Augias (pardon, le stalle di Augia)…
8 Marzo 2016Strano destino, quello dello scettico Hume: diventare il grimaldello con il quale i fautori del pensiero scientista cercano di accreditare l’idea che solo la scienza — la scienza moderna: materialista, quantitativa, strumentale – è detentrice di un vero sapere, a differenza di tutte le altre forme di ricerca e di pensiero; e che, nel suo ambito, essa sa già tutto, o quasi tutto, beninteso di quel che vale la pena di sapere.
Detta così, sembrerebbe quasi una boutade: eppure è ciò che viene sostenuto, con perfetta serietà — ciò che rende la cosa ancor più imbarazzante, se non fosse tragica — dai maîtres à penser della cultura laicista e ateista oggi largamente dominante: quelli che si permettono di accennare un sorrisetto — oh, ma solo un sorrisetto, perché son troppo civili ed educati per spingersi alla derisione aperta ed esplicita — non appena il loro interlocutore si azzarda a parlare di Dio, dell’anima, della vita eterna.
Prendiamo il caso di uno di codesti guru più accreditati e stimati, Paolo Flores d’Arcais (nato Cervignano del Friuli, classe 1944), che viene fatto passare per un grande filosofo e che, in tale veste solenne, funge sovente da interlocutore privilegiato di esponenti del pensiero retrogrado e oscurantista, regolarmente destinati a fare da volonterose teste di turco affinché la "lucidità", la "l’acume" e il "rigore" del pensiero laicista e ateista possano brillare in tutto il loro abbacinante splendore, e rischiarare questo mondo di tenebre con il vero sapere della vera ragione, quella scientifica assolutizzata.
Un tipico esempio di questo atteggiamento mentale, che potemmo definire di vero e proprio oscurantismo progressista e di fideismo illuminista, è contenuto nel dialogo fra lui e il cardinale Angelo Scola su «Dio? Ateismo della ragione e ragioni della fede», di cui riportiamo un passaggio particolarmente significativo per illustrare l’arroganza, la rozzezza e la poca dignità speculativa di siffatti maîtres à penser (Venezia, Marsilio Editore,m 2008, pp. 15-18):
«… un tempo le dispute filosofico-teologiche su fede e ragione erano esplicite, si andava alla radice. Oggi, per paura di ferire la sensibilità di chi ha fede, l’ateo è spesso reticente. Comincia sempre con dei "riconoscimenti" alla religione [strano: si vede che Flores d’Arcais non ha mai sentito o letto Piergiorgio Odifreddi]. Eppure, io credo che David Hume, nei suoi "Dialoghi sulla religione naturale", abbia smantellato in modo conclusivo le pretese di ogni ragionevolezza nella fede in Dio. In modo definitivo, almeno nel senso che alle sue obiezioni non sono mai state date risposte minimamente convincenti. Hume ha demolito tutte le pretese di dimostrazione di Dio sia delle religioni positive che di un generico deismo o teismo, di una religione "naturale" spesso predicata durante l’Illuminismo — la maggioranza degli illuministi erano in questo senso credenti. Hume, insomma, ha mostrato l’ateismo della ragione (Kant, invece, a mio modo di vedere ARRETRANDO, si limita a porre Dio e l’anima immortale nella sfera delle verità inattingibili dalla conoscenza scientifica ma recuperabili dall’uso pratico, cioè morale, della ragione).
Un tempo, in tema di "dimostrazione" dell’esistenza di Dio, la religione cattolica rispondeva alle critiche scettiche e atee ribadendo le tesi di san Tommaso. Tesi che proprio quelle critiche avevano già demolito. Quella di san Tommaso viene del resto esplicitamente ricordata come una sorta di FILOSOFIA PERENNIS anche in "Fide set Ratio" [l’enciclica di Giovanni paolo II del 1998]. Ma ormai, nel dialogo fra credenti e non credenti, privo ormai di CONTROVERSIA proprio per quella "ipocrisia" che ricordavo all’inizio, da parte cattolica si ignorano le obiezioni che da Hume in poi sono state rivolte alle pretese di ragionevolezza della fede, visto che da parte non credente si fa la stessa cosa.
Io credo, invece, che si debba discutere proprio questa tesi, assolutamente esplicita: Ragione e Fede sono mutualmente incompatibili. Aut fides aut ratio.
Naturalmente dipende da cosa si intende per ragione o razionalità. Se la ragione o la razionalità è quella di Hegel, Dio è addirittura l’unico "oggetto" degno di riflessione filosofica e quindi viene assunto acriticamente non solo come punto di partenza, ma come l’alfa, l’omega e l’intero squadernarsi dialettico del reale nella riflessione filosofica. Io però parlo di ragione nel senso più ristretto e storicamente determinato di ragione logico-empirico-scientifica (non ragione "tecnica" — qui si dovrebbe aprire daccapo il discorso sulla confusione fra tecnica e scienza, identità insostenibile che è stata imposta ormai come dogma e giaculatoria al comune sentire dal’egemonia ermeneutica sulla filosofia contemporanea).
Accantono ovviamente in questa sede tutte le infinite dispute della filosofia, della scienza e della filosofia della scienza su cosa sia una "verità" scientifica, ma tutte le varianti, anche post-popperiane, della filosofia ragionano sulla differenza specifica fra la conoscenza scientifica e gli altri tipi di saperi umani. Che la scienza in senso proprio (le scienze "dure", fisica, chimica, biologia ecc.) sia caratterizzata da un tipo di "accertabilità" e "accertamento" ineguagliabile dalle altre discipline è il FATTO su cui la filosofia della scienza ragiona per individuare un criterio di demarcazione.
Quando parliamo di ragione, dunque, tutti in genere concordiamo sulla validità degli "accertamenti" scientifici e sull’uso delle regole logiche nel corso di un’argomentazione. Dopo di che, ciascuno di noi attribuirà alla parola "ragione" anche altri significati., ma la validità della scienza+logica credo che costituisca un denominatore comune.
E allora, credo che oggi la filosofia, rovesciando Socrate, ma per restare fedele all’insegnamento socratico, non debba iniziare riconoscendo che "sappiamo di non sapere", ma debba partire piuttosto dal riconoscimento opposto: "sappiamo tutto". Oggi, dire "sappiamo di non sapere" diventa un alibi per non affrontare la realtà.
"Sappiamo tutto", perché sappiamo "il nulla e il perché del nostro essere al mondo" [autocitazione da "L’individuo libertario"]. In altre parole, sulla base di ricostruzioni scientifiche straordinariamente corroborate, abbiamo ormai avuto risposta alle grandi domande metafisiche del passato: chi siamo, da dove veniamo (e in un certo senso perfino: che cosa possiamo sperare).
Sappiamo come è nato l’universo, come è evoluto, gli infiniti momenti in cui avrebbe potuto evolvere diversamente e cioè il peso radicale che ha la contingenza, il CASO, nelle vicende che hanno segnato l’evoluzione dell’universo. È PER CASO che a un certo punto è insorta la vita organica, ma avrebbe potuto non nascere mai. Il caso — cioè mutamenti che non erano già "scritti" da nessuna parte, e al posto dei quali mutamenti assai diversi avrebbero potuto realizzarsi — come elemento fondamentale e continuo dell’evoluzione che ha infine messo capo all’uomo.»
E questa sarebbe filosofia? E questi sarebbero i "ragionamenti" di uno che viene considerato (ma da chi?) uno dei maggiori pensatori italiani viventi? Che Hume abbia definitivamente confutato san Tommaso, è tutto da vedere: lo dice lui; e, francamente, dal modo di procedere che questa pagina denota, ci sia concesso di dubitarne. Ma cosa ci racconta, che Hume abbia "demolito" «tutte le pretese di dimostrazione razionale di Dio»? Per fare una mente come quella di san Tommaso ci vorrebbero un milione di Hume, e ancora non farebbero una sufficiente massa critica. In effetti il trucco c’è, e si vede: perfino Flores d’Arcais, dopo questa sparata, si ferma un attimo a riprendere fiato, e concede che, sì, «naturalmente dipende da cosa si intende per ragione o razionalità». Il che è come ammettere che la suddetta sparata era del tutto gratuita, visto che, contrariamente a quel che dovrebbe fare qualsiasi filosofo, e persino il più sprovveduto studente alle prime armi, non aveva dato alcuna definizione di "ragione". Ed ecco la definizione che, finalmente, si degna di dare a beneficio del lettore (dopo aver bollato Kant di timidezza ed Hegel, implicitamente, di arbitrarietà): Quando parliamo di ragione, dunque, tutti in genere concordiamo sulla validità degli "accertamenti" scientifici e sull’uso delle regole logiche nel corso di un’argomentazione. Dopo di che, ciascuno di noi attribuirà alla parola "ragione" anche altri significati, ma la validità della scienza+logica credo che costituisca un denominatore comune.
Bisognerebbe vedere chi è questo "noi" sottinteso, che fa da soggetto alla frase; certo è che non si tratta di una definizione di "ragione", ma di un goffo tentativo di surrogarla, basato sulla constatazione empirica che "tutti" (ma, di nuovo: tutti, chi?) concordano sul fatto che essa si serve di accertamenti scientifici e sull’uso delle regole logiche nell’argomentazione. Per quest’ultimo punto, Flores d’Arcais si dà la zappa sui piedi, perché Tommaso d’Aquino, da buon discepolo di Aristotele, si premura sempre, a differenza di quel che fa lui, di procedere con estremo rigore logico nelle sue argomentazioni, vagliando, caso per caso, tutti i "pro" e i "contro" di una determinata tesi. Quanto al primo punto, non è chi non veda il circolo vizioso del suo ragionamento: per essere scientifica, una cosa deve essere accertata scientificamente; ma la ragione si serve di un sistema di logica di tipo scientifico: dunque, la ragione e la ragione scientifica sono la stessa cosa. Dove sta il trucco? Primo, nel fatto che una cosa è dire che la ragione si serve anche, e laddove sia possibile, dell’accertamento scientifico, e un’altra cosa, e ben diversa, è affermare che solo l’accertamento scientifico corrisponde a un retto uso della ragione; secondo, nessun passaggio logico autorizza a trarre da un ragionamento delle conclusioni che siano maggiori di quanto vi era nelle premesse: e dire che la scienza procede, per quanto possibile, per mezzo di esperimenti, non equivale affatto a concludere che la scienza, per tale fatto, si identifica con la ragione tout-court. E arbitraria è anche la conclusione: che la scienza e la logica esauriscano tutto l’orizzonte della ragione. Di nuovo, qui si dà per scontato quel che, invece, ci si proponeva di mostrare: che non esistano altre forme di sapere, e, tanto meno, di ragionevolezza, al di fuori del sapere scientifico.
Da queste traballanti premesse, Flores d’Arcais passa direttamente a una dichiarazione di sapore addirittura delirante: grazie alla scienza, noi uomini ormai sappiamo tutto. Tutto quel che vale la pena di sapere; tutto quel che ci serve sapere; o quasi. E, affinché nulla manchi al delirio di onnipotenza, tale affermazione viene sostenuta da una autocitazione: come dire: «Lo dico io, l’ho scritto in un altro libro: non vi pare che sia abbastanza? Io non sono timido come Kant, né retrogrado come Hegel». Ma c’è un’altra ciliegina sulla torta: Flores d’Arcais sostiene che Socrate in persona, se sapesse tutte le belle cose che noi sappiamo oggi, nel campo della scienza, si rimangerebbe la sua affermazione di sapere di non sapere, e proclamerebbe la "verità" opposta: che ormai gli uomini sanno tutto. E non lo sfiora neppure l’idea, al nostro bravo filosofo libertario, che, se Socrate è passato dallo studio delle scienze naturali (da lui coltivato in gioventù) a quello della filosofia, era proprio perché aveva compreso la distinzione fra il sapere relativo e contingente della scienza, e il sapere assoluto e necessario della filosofia, al quale gli uomini tendono, pur senza poterlo mai attingere interamente; non, almeno, finché rimangono sul livello del sapere logico-razionale (e non per nulla Socrate ricorre al mito quando deve esporre dei ragionamenti la cui logica oltrepassa la misura della logica scientifica e strettamente strumentale e calcolante). Lo scienziato, infatti, come direbbe Platone, guarda la parte: il filosofo sa vedere il tutto. Quella di Flores d’Arcais, semplicemente, non è filosofia: è mero delirio d’onnipotenza, simile a quello del povero malato di mente che afferma di essere Napoleone. Sul piano speculativo, è sempre la stessa falsa premessa, nella quale lui stesso cade a pie’ pari, come un maldestro cacciatore che finisce nella sua stessa trappola: far passare il sapere scientifico per il sapere in quanto tale, la ragione scientifica per la Ragione assoluta. Come se non bastasse, la sua affermazione è risibile e patetica anche sul suo stesso terreno: quale scienziato serio si sognerebbe mai di sottoscriverla? Di dire che ormai sappiamo tutto? Quale scienziato serio non si è domandato quanti altri Big-Bang vi siano stati prima del "primo"; quanti universi abbiano preceduto l’attuale, e quanti ne esistano in altre dimensioni, a noi materialmente inaccessibili, ma logicamente plausibilissime, se non addirittura probabili (come sostiene la fisica quantistica)? Il problema è sempre quello: che certi scienziati non s’accontentano di far gli scienziati; vogliono fare i filosofi; e che i filosofi sono diventati tutti timidi come conigli…
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