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Benedetto XVI, la sua abdicazione e l’Islam

Benedetto XVI è stato costretto ad abdicare da una inedita alleanza tra fondamentalismo islamico, ormai forte anche in Europa grazie all’insediamento di decine di milioni di immigrati nordafricani e mediorientali, e sinistra radicale, massonica, relativista e anticristiana, il tutto sotto la supervisione della grande finanza internazionale, già padrona, ma in maniera occulta e silenziosa, di gran parte dei beni, delle imprese e dei capitali occidentali.

Benedetto XVI, guarda caso, è stato certamente un papa che ha riconosciuto e indicato nel relativismo culturale, etico e religioso uno dei grandi mali, anzi, il grande male che affligge la civiltà occidentale, contro il quale bisogna reagire con la massima energia; e, nello stesso, un papa che ha esaltato più che mai il valore della ragione e l’importanza di una cooperazione e di una complementarietà fra ragione e fede, allo scopo di offrire una risposta ai problemi umani di oggi e di sempre. Quest’ultimo tema, particolarmente caro a Benedetto XVI, è stato oggetto di una importantissima lectio magistralis, tenuta durante un viaggio pastorale in Baviera, all’Università di Ratisbona, il 26 settembre 2006, poco più di un anno dopo la sua elezione al pontificato (19 aprile 2005). Il titolo era stato: «Fede, ragione e università» e il discorso era ruotato, infatti, sul rapporto tra fede e ragione; purtroppo, l’unica cosa di cui si discusse, immediatamente e con estrema veemenza, fu un presunto attacco del papa contro l’islamismo (cfr. il nostro articolo: «Benedetto XVI è stato piegato dal ricatto del Nuovo Ordine Mondiale?», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 10/02/2016; e, prima, di esso: «Il caso Williamson fu un complotto per screditare il pontificato di Benedetto XVI», il 26/06/2015). Ben pochi si presero il disturbo di leggere l’intero testo del discorso; i media si limitarono a riportare poche righe, non di Benedetto XVI, ma di un autore medievale da lui citato, un imperatore bizantino probabilmente quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico, Manuele II Paleologo (il cui regno va dal 1391 al 1425), che fu anche autore di alcuni scritti teologici. Da uno di essi, «Dialoghi con un Persiano», che si svolge, peraltro, in un clima non di odio o di rancore, ma di forte curiosità intellettuale e di reciproco rispetto, Ratzinger citò un passaggio, nel quale l’Autore sosteneva che Maometto, avendo ordinato di diffondere l’islam con la spada, aveva contravvenuto a uno degli aspetti fondamentali della divinità, il rispetto della ragione umana, dal momento che costringere gli uomini a convertirsi con la forza significa negare la loro dignità di creature ragionevoli.

Era dunque evidente, evidentissimo: primo, che si trattava del pensiero d’un autore medievale, vissuto sette secoli fa, e, per giunta, in un momento storico in cui la cristianità, e particolarmente quel che restava dell’Impero bizantino, erano stretti minacciosamente nella morsa dell’islamismo; secondo, che il papa non lo aveva citato perché condividesse la condanna senza appello della figura morale di Maometto, ma per richiamare l’importanza della ragione nella ricerca della verità e, pertanto, la necessità di una stretta collaborazione tra fede e ragione, come del resto aveva insegnato magistralmente San Tommaso d’Aquino e come è sempre stato nella migliore tradizione teologica cristiana. Niente da fare: qualcuno aveva deciso che quella citazione di Manuele II Paleologo, estrapolata dal contesto, doveva essere utilizzata come un grimaldello per indebolire fatalmente tutto il pensiero, tutta l’opera e tutto il pontificato di Benedetto XVI: una immenso clamore mediatico venne sollevato, e, in effetti, a partire da quel momento, il pontificato di Benedetto XVI, incominciato appena da diciassette mesi, risultò fatalmente azzoppato.

L’attacco fu duplice e concentrico, dall’esterno e dall’interno; dall’esterno, da parte di moltissimi esponenti della religione islamica, i quali sobillarono le masse dei credenti a vedere nel papa un uomo che aveva offeso a morte la loro religione e il loro dio; all’interno, e non solo nel mondo laico, ma perfino dentro la stessa Chiesa cattolica, fu un coro generale di esclamazioni scandalizzate e di sommi sacerdoti che si stracciarono le vesti, accusando Ratzinger di aver gravemente mancato, nella migliore delle ipotesi, di sensibilità e di tatto verso i "fratelli" musulmani; nella peggiore, di averli voluti provocare per spirito di prevaricazione e di arroganza, per puro e semplice integralismo religioso. Del resto, che cosa ci si poteva aspettare da un pontefice che, da ragazzo, aveva indossato l’uniforme della Hitler-jugend, e sia pure dietro precettazione, e non già, come lo scrittore Günter Grass (di sinistra!), per essersi arruolato volontario nelle SS? Ma gli intellettuali occidentali, progressisti e di sinistra, una simile distinzione non erano disposti a farla: avrebbe richiesto troppa onestà. Pertanto, sebbene uno storico del nazismo del calibro di Joachim Fest si affrettasse, molto coscienziosamente, a richiamare l’attenzione su di essa, da noi, invece, i soliti saputelli radical-chic, ad esempio la signora Franca Rame, si affrettarono a fulminare le immancabili battute, cariche d’ironia e disprezzo, nei confronti del papa "nazista", o ex nazista.

In realtà, tutti costoro avevano assistito con estrema irritazione alla elezione di Benedetto XVI al soglio pontificio; dopo Giovanni Paolo II, già fin troppo tradizionalista per la cultura dominante, tutta di sinistra, e per i settori progressisti e modernisti del mondo cattolico e della Chiesa stessa, il pontefice uscito dal conclave dell’aprile 2005 era un nemico ideologico, punto e basta; un nemico che andava abbattuto ad ogni costo, dopo averlo indebolito con l’arma del discredito seminato ad arte, subdolamente e ipocritamente, anche servendosi di evidenti faziosità e manipolazioni di tutto ciò che diceva e faceva. Insomma, la vera "colpa" di Benedetto XVI era quella di esistere: bisognava fargli capire che, per il bene della sua stessa Chiesa, doveva togliersi di mezzo e rimuovere, così, il principale ostacolo a una normalizzazione dei rapporti fra il cattolicesimo e le altre religioni, da un lato, e fra il cattolicesimo e la cultura laica occidentale, dall’altro. Fu su questa linea che, nel 2009, venne tirata fuori dal cassetto la videocassetta dell’intervista al vescovo lefebvriano Richard Williamson, in cui giaceva da mesi, a Stoccolma: per colpire il papa e, attraverso di lui, la sua critica al relativismo e il suo sforzo di ricucire lo strappo con la Chiesa scismatica tradizionalista creata da monsignor Lefebvre. Infatti, se quella operazione gli fosse riuscita, automaticamente, secondo loro, la Chiesa si sarebbe spostata "a destra", ed elementi della liturgia, della pastorale e della dottrina, che il Concilio Vaticano II aveva arditamente modificato, sarebbero stati riequilibrati da un parziale ritorno alla tradizione.

Ha scritto Magdi Cristiano Allam nel libro: «Islam. Siamo in guerra» (MCA, 2016, pp. 204-210):

«Il culmine della deriva del "relativismo religioso" che ha contagiato l’Occidente, che coincide con il culmine del successo del terrorismo dei taglialingue islamici, sono state le dimissioni di Benedetto XVI, il cui apostolato ha cominciato a declinare da quando, il 12 settembre 2006 a Ratisbona, ha subito un’aggressione senza precedenti sia da parte del mondo islamico sia da parte dell’Occidente, compresa la sua Chiesa, per aver "offeso" l’islam. Il "crimine" commesso da Benedetto XVI è stato la denuncia dell’espansionismo islamico tramite la violenza, fatta nella storica "lectio magistralis" pronunciata nell’Università di Ratisbona, rievocando le parole dell’imperatore e santo bizantino Michele II Paleologo» (Costantinopoli, 1350-Costantinopoli, 1425). Si tratta di una ovvietà storica che i musulmani non solo non negano, ma ne sono orgogliosi perché dal loro punto di vista essa attesta che Allah è dalla loro parte. Eppure, per il fatto che è stato il papa ad affermare la verità, si è ritrovato a fronteggiare una vera e propria guerra esterna e interna alla cristianità. Il passo incriminato è il seguente: "Mostrami ciò che Maometto ha portato di novo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva a diffondere la fede per mezzo della spada". […]

L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante,spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. "Dio non si compiace del sangue", egli dice, non agire secondo ragione, σύν λóγω, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non c’è bisogno di né del proprio braccio, né di strumenti per colpire di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…

L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L’editore, Theodore Khoury, commenta: per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto, Khoury cita un’opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche alla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria". Per la prima volta nella storia un Papa è stato costretto a capitolare da una inedita alleanza tra il terrorismo dei taglialingue islamici e la "dittatura del relativismo", che proprio Benedetto XVI aveva denunciato come il "Male assoluto" da combattere e che si era infiltrata all’interno stesso della Chiesa. Il mondo islamico insorse come un corpo unico che subisce una ferita mortale, aggredendo brutalmente il papa, esigendo delle scuse ufficiali, richiamando gli ambasciatori, minacciandolo, ingiuriandolo e condannandolo a morte. In una vignetta in lingua araba Benedetto XVI fu ritratto come Dracula, con il sangue che scorre dalla bocca e una scritta in rosso "decapitatelo, attorniata da altre scritte: "maiale servo della croce", "Adora una scimmia inchiodata sulla croce", "odioso malvagio", "Satana lapidato", "Allah lo maledica", "Vampiro che succhia il sangue" […]

Ma se, a mio avviso, la reazione di condanna da parte degli Stati islamici non deve sorprenderci più di tanto, il fatto ancor più grave è stato la condanna da parte dell’Occidente che storicamente si fonda sulle radici ebraico-cristiane. Il fatto di massima gravità è stato la condanna di Benedetto XVI da parte di esponenti della sua Chiesa. La critica più sottile ed emblematica della "dittatura del relativismo religioso" fu quella espressa dall’allora cardinale Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, promotore della "cattedra dei non credenti" se del dialogo con l’islam, gesuita come l’attuale Papa Bergoglio e all’epoca ribattezzato l’anti-Papa, che definì le parole di benedetto XVI a Ratisbona come "inopportune". […]

Il 20 settembre 2006, nel corso dell’udienza generale in piazza San Pietro, il Papa prese le distanze dalle parole dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, sostenendo : "Non volevo in nessun modo mie le parole negative pronunciate dall’imperatore medievale in questo dialogo (…) il loro contenuto polemico non esprime la mia convinzione personale". Il 30 novembre 2006, all’interno della Moschea Blu di Istanbul, davanti al "mihrab", la nicchia di marmo che indica la direzione della Mecca, dopo aver ascoltato dei versetti del Corano intonato in arabo dal Gran Muftì Mustafà Cagrici, Benedetto XVI sconfessò se stesso raccogliendosi in preghiera, chinando il capo in direzione della Mecca, principale luogo di culto dell’islam, ringraziando il Gran Muftì: "per questo momento di preghiera", mentre il suo portavoce padre Federico Lombardi precisò che "Il papa ha sostato in meditazione e certamente ha rivolto a Dio il suo pensiero"…»

Triste spettacolo, quello di un papa costretto a scusarsi non per quel che aveva detto, ma per ciò che non aveva detto: eppure fu proprio quanto avvenne, in particolare quando, durante un «Angelus», mandato in onda da Al-Jazeera, Benedetto XVI disse di essere "vivamente rammaricato" per le reazioni al suo discorso e ribadì di non aver voluto condividere il giudizio di Manuele II Paleologo su Maometto. Tutto inutile. Quelle parole non gli furono più perdonate, non tanto dagli islamici, quanto dai tanti sapientoni occidentali: gli stessi che usarono il "caso Williamson" per accusarlo, addirittura, di contiguità con i negazionisti e gli antisemiti; gli stessi che lo avevano denunciato per "crimini contro l’umanità" presso la Corte penale internazionale, per presunte coperture a favore dei preti pedofili; gli stessi che gli negarono di tenere una lezione all’Università romana La Sapienza…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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