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La visione cattolica della vita equivale a una forma di naturalismo?

Strano ma vero: proprio gli eredi del pensiero naturalistico, che sono, oggi, gli intellettuali di sinistra, di estrazione marxista, o neomarxista, o semimarxista, o similmarxista, o criptomarxista, sono appunto quelli che, oggi, "accusano" di naturalismo quanti non la pensano come loro; in particolare, coloro i quali si riconoscono in una visione cattolica della vita.

Per dare man forte all’approvazione del disegno di legge Cirinnà, preparando adeguatamente l’opinione pubblica, due colonne del pensiero laicista, progressista e di sinistra, Massimo Cacciari e Umberto Galimberti, sono comparsi più volte in televisione, negli ultimi tempi (Cacciari è praticamente ospite fisso nei salotti televisivi e nelle rubriche di "approfondimento"; e Galimberti è stato chiamato, con il supporto attivo e sfacciato dei due "moderatoti" di una trasmissione di La Sette, per smentire e ridicolizzare Mario Adinolfi, anche se è stato lui a fare una figura penosa), ed entrambi hanno rivolto al cattolicesimo l’accusa di ispirarsi a una visione "naturalistica" del reale. Cacciari, a un certo punto, parlando del papa, lo ha invitato a "sbarazzarsi" di una visione naturalistica, e bisognava vedere con quale supponenza e con quale insofferenza lo diceva, come se la natura, improvvisamente, fosse divenuta il nemico da abbattere, come un tempo lo era il buon vecchio Dio, creatore di tutte le cose e redentore degli uomini.

A che cosa alludevamo, i due filosofi ufficiali della cultura laicista e relativista oggi imperante e politicamente corretta? Al fatto che la Chiesa, anche recentemente, e anche per bocca del papa (proprio di quel papa che i signori della sinistra tanto amano, o amavano, per le sue continue esternazioni a favore dei poveri, degli immigrati, e per le sue aspre reprimende contro i vizi dei cristiani e della Chiesa stessa) ha ribadito che c’è una sola famiglia che sia realmente degna di questo nome: quella formata da un uomo, una donna e, se possibile — ma non è un diritto — dei bambini; che consentire l’adozione di bambini alle coppie omosessuali, è sbagliato; e che, se l’omosessuale merita rispetto come persona, non può, tuttavia, pretendere di imporre il proprio punto di vista su matrimonio, famiglia e bambini, all’intera società.

Insomma: la Chiesa sarebbe dominata da una visione "naturalistica" perché si ostina a vedere l’umanità divisa in due generi sessuali, maschile e femminile; mentre è evidente, dicono Cacciari e Galimberti, che la natura viene continuamente elusa, "aggirata" e "sostituita" dall’uomo, mediante pratiche più o meno artificiali, ogni qual volta ci si serve di un farmaco, o di qualunque strumento per rendere la vita più sicura o più comoda. Come si vede, il livello dell’argomentazione è minimo, per non dire miserabile: solo il degrado dell’intelligenza cui oggi siamo pervenuti, grazie alla cultura-spettacolo della quale lorsignori sono tra i maggiori beneficiari, e grazie alla tirannia delle parole d’ordine, delle frasi fatte, dei luoghi comuni e della saggezza da Baci Perugina, spacciata per profondo ragionamento filosofico, ha reso possibile portare, o meglio abbassare qualunque discussione fino a livelli di tale mediocrità, banalità e superficialità.

La prima cosa che viene in mente, davanti ad argomentazioni come quelle portate avanti da Cacciari e Galimberti (peraltro, senza uno straccio di approfondimento speculativo, o d’inquadramento storico, o di valutazione critica), è che esiste una bella differenza tra il fatto di prendere gli antibiotici per combattere una bronchite, ed effettuare una fecondazione eterologa per esaudire il sogno di maternità di una coppia lesbica; o tra servirsi dell’aereo per recarsi un determinato luogo, e ricorrere all’utero in affitto per consentire a due omosessuali maschi di realizzare il loro "sogno" di paternità. Certo che viviamo in mondo fatto di cultura, più che di natura; ma non fino al punto che la natura possa essere completamente sovvertita e stravolta. Se ciò accade, la natura si ribella. L’intelligenza dell’uomo consiste nell’inserire la sua azione entro la cornice generale offerta dalla natura, non nel creare una seconda natura, totalmente artificiale e staccata dalla natura "vera". Ma questa sarebbe una obiezione di metodo e non di merito; di quantità e non di qualità. E allora passiamo subito alla obiezione "forte" rispetto alle tesi di Cacciari e Galimberti.

La visione cattolica della vita non è affatto naturalistica, perché non considera la natura come un realtà assoluta ed auto-sussistente, ma come una realtà derivata e relativa. La natura è opera di Dio, non di se stessa; primo punto. Secondo punto: la natura è stata creata da Dio buona (non "perfetta", perché perfetto è Dio solo; il Creatore, non le creature), ma questa bontà originaria è stata incrinata e lacerata dalla ferita del Peccato originale. Per il cristiano, e quindi per il cattolico, il peccato originale non è una favoletta che si racconta, o meglio, che si raccontava ai bambini: è verità sacrosanta, anche se espressa per mezzo di simboli. Il racconto del Libro della Genesi è, naturalmente, una allegoria; ma il senso dell’allegoria è chiarissimo: vi è stata una disobbedienza originaria, da parte dei primi uomini, le cui conseguenze hanno coinvolto tutta l’umanità e tutto il creato; creato che adesso, come dice San Paolo (nel capitolo ventiduesimo della Epistola ai Romani), soffre e geme come nelle doglie del parto, perché attende, anch’esso, così come gli uomini, la propria liberazione dal male, e la propria redenzione.

Dunque: il cattolicesimo non è "naturalista", perché non considera la natura come buona in se stessa; al di sopra della natura, c’è il Creatore; e quel che nella natura non è buono (ad esempio, la nascita di un bambino deforme) è, e rimane, un mistero: il mistero del male e della sofferenza. Mistero, si badi bene, che nemmeno Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è venuto a sciogliere, a spiegare: è venuto solamente a dare l’esempio di come ci si debba porre di fronte ad esso. E cioè, di come si debba accettare la Croce. Accettare la Croce, il mistero della Croce, è essere cristiani; non accettarlo, pretendere di capirlo, di spiegarlo, di renderlo intelligibile, no. Locke non è un pensatore cristiano: tutti coloro i quali hanno negato, e tuttora negano, i misteri del cristianesimo, massime il mistero del male, non sono cristiani. Dunque, non è vero affatto che il cattolicesimo ha una visione naturalistica e che si prostra davanti al dato della natura. Per il cattolicesimo, curare le malattie, lottare per alleviare le sofferenze, sono cose pienamente legittime; basta solo non pensare che si possa sovvertire l’ordine naturale attraverso i mezzi umani, perché questo introdurrebbe un elemento doppiamente estraneo alla prospettiva cristiana: la superbia intellettuale, da un lato, e la confusione ed il relativismo etico, dall’altro.

Per esempio: il cattolicesimo non afferma che la madre, nella prospettiva di una morte certa, deve sacrificarsi per la salvezza del nascituro; sostiene, anzi, che in quel caso il ricorso all’aborto diventa il male minore; peraltro, non sostiene nemmeno che sia doveroso farlo: e quindi non disapprova quelle madri eroiche le quali, effettivamente, hanno preferito morire, purché il loro bambino potesse nascere. Per la stessa ragione, il cattolicesimo è favorevole al ricorso a tutte le cure mediche che sostengono e aiutano la vita, finché le funzioni vitali essenziali non sono compromesse: e quindi è contrario all’eutanasia; ma, nello stesso tempo, è anche contrario all’accanimento terapeutico, perché ciò sarebbe uno stravolgimento e un rifiuto totale dell’ordine naturale. L’ordine naturale non va assolutizzato, ma neppure ignorato; e ciò vale anche per la legge morale naturale. La legge morale naturale viene integrata, non rifiutata, dalla legge morale cristiana; la quale, come si vede, accoglie la natura, ma non se ne lascia dominare.

Vi sono molte cose, nella natura, che ci appaiono misteriose e che ci resteranno tali sino alla fine. Noi non sappiamo perché, in natura, la vita dell’uno corrisponda alla morte dell’altro; perché il leone, per vivere, debba divorare la gazzella, o perché il pesce grosso debba ingoiare i pesci piccoli. Non sappiamo affatto perché sia "necessaria" tanta sofferenza all’ordine della natura, a che cosa serva, che scopo abbia. E non sappiamo perché un bambino nasca con dei gravi difetti congeniti. Sappiamo anche che, se pure ci chiniamo a raccogliere il passerotto caduto dal nido, e anche se riusciremo a nutrirlo e a salvargli la vita, ciò non cambia di una virgola il mistero dei milioni di passerotti che cadono dal nido e che sono destinati a morire di fame, o divorati dai predatori: non cambia il tremendo mistero della sofferenza, insito nella dimensione della natura.

Il cattolico non è colui che accetta questa cose come "necessarie", solo perché sono "naturali"; le accetta, dopo aver lottato per diminuire la sofferenza, solo quando arriva alla assoluta evidenza che ogni ulteriore lotta sarebbe inutile. Questa è la differenza fra il cattolico e il materialista: che il primo, arrivato a una certa soglia, si ferma, riconosce il proprio limite, la propria impotenza, e il mistero del piano di Dio; il secondo non accetta di fermarsi mai, e se si ferma, si ferma solo perché non può, materialmente, proseguire oltre; ma si riserva di farlo non appena gli sarà possibile. Il materialista non accetta i limiti umani, perché non accetta il limite della natura; ha fatto della Scienza, della Tecnica e del Progresso i suoi nuovi dei, e si aspetta di ricevere da essi — se non oggi, domani — l’aiuto di cui ha bisogno per sconfiggere il male e per procurare a se stesso una vita sempre più sicura e sempre più comoda. Una vita dove non ci siano, possibilmente, dei limiti; e dove chi non può avere figli secondo natura, possa averli grazie alla tecnica; e dove chi non si sente uomo o donna secondo il proprio genere sessuale, possa trasformarsi in una donna o in un uomo; e dove una donna che non può più generare, per limiti di età, possa farlo ugualmente, anche se, rispetto al bambino che le nascerà, si troverà nella posizione di una nonna, più che di una madre: così che avrà soddisfatto il suo desiderio, ma senza preoccuparsi del vero bene del figlio. Il cattolico, invece, riconosce i limiti posti dalla natura e si accinge a oltrepassarli solo se ciò avviene secondo la legge morale naturale, che suggerisce a ogni essere umano – purché non stravolto da ideologie degenerate, e sorte allo scopo preciso di legittimare il vizio e infangare la virtù — quel che è bene e quel che è male, e come ci si deve regolare nei casi dubbi. Non pensa di avere una risposta per tutte le situazioni; vi sono delle situazioni drammaticamente incerte — pensiamo soprattutto all’eutanasia — nelle quali non sempre è evidente quel che sia bene e quel che sia male. In tali casi, il cattolico si regola secondo il principio che è proprio della sua fede, ma che potrebbe essere valido, a nostro avviso, a livello universale: è bene ciò che è bene per la vita delle anime, non per la vita del corpo; perché la vita del corpo sfiorisce e passa, quella dell’anima è destinata all’eternità.

Ora, vediamo tutti i giorni che la civiltà moderna ha sviluppato una maniera di pensare che va esattamente nella direzione opposta, e che ha irretito in essa la maggioranza dei suoi membri. Quel che conta, essa dice, è salvare le vite umane (strano, perché nel caso dell’aborto legalizzato non si preoccupa affatto della vita dei nascituri, al contrario, la nega e la sopprime senza un’ombra di rimorso), non le anime: le anime, per la cultura moderna, non esistono. Esiste solo lo psichismo, che è un epifenomeno del corpo, precisamente del sistema nervoso centrale. Ne consegue che la civiltà moderna si è fatta schiava di una visione naturalistica del reale, perché pone il corpo alla sommità dei beni da possedere e dei quali godere: la sua giovinezza, la sua bellezza, la sua salute, la sua forza. Quando il corpo invecchia, sfiorisce, si ripiega su se stesso, diventa bisognoso di tutto, allora la cultura moderna preferisce voltare la testa dall’altra parte, e occuparsi di altre cose. Non le piace fare i conti con i limiti dell’uomo; non le piace guardare in faccia la natura. La sua visione del reale è naturalistica fino a che la natura le aggrada, e diventa anti-naturalistica quando non le aggrada più. Raschiare il feto nell’utero della madre è una cosa semplicissima, perché si tratta di una operazione semplice e "pulita"; prendersi cura di un corpo in disfacimento, impotente, esteticamente repulsivo, è una cosa che le piace assai meno, e che preferirebbe risparmiarsi, se il diretto interessato avesse il buon gusto di togliere il disturbo per primo, senza mettere i suoi parenti nell’imbarazzante necessità di prendere loro una tale decisione. La natura va bene, finché ci è amica; non va più bene, quando ci pone davanti ai nostri limiti. E la stessa cosa vale a livello psicologico: gli istinti sono buoni, la repressione sociale è cattiva; gli istinti devono potersi esprimere, non vi sono istinti "buoni" e "cattivi", è tutto bene quel che viene dalla natura. Poi, però, se gli istinti portano qualcuno a sfogare una violenza cieca sul prossimo, allora gli intellettuali progressisti si scandalizzano, invocano la psichiatria, la sterilizzazione chimica: bisogna impedire a simili "mostri" di violare la religione dei diritti umani. Ma quei mostri, è stata la cultura moderna ad evocarli: insegnando e predicando che tutto è permesso, e che l’uomo non deve porre dei limiti alla propria libertà e al proprio piacere.

Ma dunque è naturalistico, il cattolicesimo? Se pensiamo alla resurrezione dei corpi, parrebbe di sì. Ma saranno corpi gloriosi, fatti di luce e non di materia. Il suo "naturalismo", pertanto, è molto più serio e complesso del materialismo laicista: che è tale a corrente alternata, se e quando gli conviene.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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