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22 Gennaio 2016Auguste Comte (nato a Montpellier nel 1798 e morto a Parigi nel 1857), discepolo di Henri de Saint-Simon, è considerato come il padre del Positivismo, specialmente per via della sua opera principale, il «Corso di filosofia positiva», in sei volumi, pubblicati dal 1830 al 1842, che è diventata la Bibbia di una intera generazione di cultori della scienza, della macchina, del progresso industriale. Meno note sono altre sue opere, nelle quali si osserva una progressiva deriva verso un torbido misticismo laico, se ci si passa l’ossimoro, frutto anche di anni di sofferenze psicologiche e affettive, di amarezze, di depressione (compreso un drammatico tentativo di suicidio: disperato per i tradimenti della moglie, si gettò nella Senna e venne ripescato per miracolo), ove tenta di delineare il futuro assetto della società dominata dagli scienziati e dagli industriali — dominata, alla lettera — e in cui, nondimeno, egli si preoccupa di offrire all’Umanità (la scrive sempre con la lettera maiuscola) un succedaneo della religione, poiché è convinto che la ragione, da sola, non basti a creare una adeguata coesione sociale e spirituale.
Questo nuovo indirizzo si nota già nel «Calendario positivista», del 1849, nel quale egli tenta di proporre un calendario alternativo a quello cristiano (nulla di originale: lo avevano già fatto gli "scristianizzatori" durante la Grande rivoluzione), e prosegue con il «Sistema di politica positiva» (1851-54) e con il «Catechismo positivista» (1852), che fin dal titolo tradisce una strana mentalità massonico-pretesca. Anche il suo aspetto emaciato, il suo volto ascetico, il suo modo di vestire "a lutto" (non è un colpo basso; crediamo che Comte, così innamorato della sociologia e della psicologia, avrebbe, se non apprezzato, comunque tollerato l’allusione) rivelano un qualcosa di pretesco – e la stessa osservazione si può fare per un altro pensatore-visionario non troppo lontano dal suo mondo ideale, il nostro Giuseppe Mazzini, sempre vestito di nero, lo sguardo triste e sempre con Dio sulla bocca -; così pure sua decisione di sposare una ex prostituta, restandone talmente ossessionato da continuare a innamorarsi, dopo l’inevitabile divorzio, di donne a lei fisicamente quasi identiche, ha qualcosa di sintomatico: non è l’umile devozione di Vincent Van Gogh per una creatura derelitta, ma, si direbbe, il delirio di onnipotenza (maniaco-depressivo) di un uomo che si crede il nuovo Messia e Redentore, venuto a salvare gli uomini e a proclamare una nuova religione universale. Era talmente investito della parte che, nel 1851, sosteneva che nel 1860 avrebbe annunciato la nuova éra dall’altare della cattedrale di Notre Dame (e fu cattivo profeta di se stesso, anche perché sarebbe morto tre anni prima di arrivare a quella data).
Comte aborriva il cristianesimo e avrebbe voluto vederlo distrutto e cancellato; però, per parecchi anni, il suo giudizio su di esso era stato sostanzialmente favorevole, almeno riguardo al passato; aveva perfino concepito l’idea di una alleanza fra positivismo e cattolicesimo in funzione antiprotestante e antideista (eppure lo "stadio metafisico", cioè, in sostanza, deista, era, per lui, dialetticamente superiore a quello "teologico" e preludio al terzo e definitivo stadio, quello "positivo"). Quel che ammirava nel cristianesimo, anzi, nel cattolicesimo, non era la religione in sé, ma l’organizzazione della chiesa medioevale, capace di conferire alla società la massima coesione; il cristianesimo, in se stesso, lo giudicava una religione distruttiva, perché favorisce l’autonomia individuale e quindi condurrebbe, secondo lui, verso l’anarchia. Le opinioni politiche di Comte sono decisamente totalitarie: egli pensa che la guida della società spetti a coloro che hanno il sapere (niente di nuovo neppure in questo: lo aveva già detto Francis Bacon nella «Nuova Atlantide»), gli altri devono solo obbedire: in fondo, senza rendersene conto, propone una nuova autocrazia, non teocratica, ma tecnocratica: una super-dittatura saldamente tenuta in pugno da scienziati e industriali. E anche in questo è stato poco originale, perché delle cose molto simili le aveva già dette il suo maestro, Saint-Simon.
Hanno scritto, in proposito, Rocco Buttiglione e altri autori (in: «Guida pratica all’esame di Filosofia e di Diritto per la Maturità», Il Sabato, 1991, pp. 87-90):
«Comte […] viene allora giustificando la fede in una divinità soltanto come opportuna in un momento storico dell’umanità; a quel livello essa ha svolto una sua funzione, poi è subentrato un momento di crisi, che rende urgente ricreare di nuovo un mondo organico senza però l’aiuto di Dio. Di qui la sociologia o nuova forma di religione sena Dio, Il nuovo Dio, sostitutiva dell’antico, è l’Umanità con la U maiuscola. È l’Umanità che, secondo Comte, deve costituire l’oggetto di adorazione dell’uomo futuro, perché tutti siano membra di questa grande realtà che abbracci il presente, il passato e il futuro. Da questo punto di vista vi è una straordinaria somiglianza fra le posizioni di Comte e quelle di Feuerbach, pur nelle necessarie differenze. Comte, da un certo periodo in avanti, viene come pensando e costituendo intorno a questa Umanità, una forma di culto e di venerazione come verso una nuova dea e sarebbe affascinante vedere come il giovane Comte fosse impressionato dalla venerazione dell’Umanità e della dea Ragione durante il periodo della Rivoluzione Francese, quanto subisse, pur indirettamente, quel tipo di influenza. L’Umanità di cui peraltro parla Comte, non è semplicemente la totalità degli uomini, ma una ben precisa fascia di uomini, da cui per esempio sono esclusi i criminali, i perturbatori della vita comune, i rivoluzionari e i parassiti che in maniera beffarda lui dice non essere altro che produttori di concime. L’Umanità, sotto questo aspetto, è quanto di meglio la storia umana abbia prodotto nel suo seno. A tal fine Comte viene addirittura stilando un calendario, in cui ai Santi cristiani vengono sostituiti i nomi dei grandi: Alessandro, Ildebrando, ecc. la posizione di Comte è veramente, al di là della semplificazione di alcune sue posizioni che talvolta rasentano la superficialità assoluta, di un interesse indubbio, perché viene come polarizzando nel proprio sistema di pensiero una serie di posizioni che poi diverranno comuni; egli viene a porsi di fronte al Cristianesimo al di là della comune opinione per cui questa religione sarebbe, al suo inizio, un fatto positivo degradato poi dalla successiva pratica ecclesiale. Comte ribalta, paradossalmente, questo giudizio affermando le differenze e la superiorità della Chiesa (medioevale) sul Cristianesimo di Cristo
Il Cristianesimo a suo giudizio è immorale perché è antisociale; la nuova scienza è la sociologia e il Cristianesimo si pone agi antipodi di questa nuova scienza che lui viene pensando, perché come sopra si è detto, il Dio cristiano viene fondando l’uomo in quanto soggettività propria. L’affermazione della personalità individuale, quindi libera ed autonoma, è per Comte proprio il lato negativo del Cristianesimo, e per questo il Cristianesimo rappresenta un fenomeno di perturbazione nella vita pubblica, e tende sempre, ultimamente, a sfociare in una posizione anarchica, tanto è vero che per lui il Cristianesimo, dopo la breve parentesi medievale, in cui la Chiesa è riuscita a trattenere questi segni negativi presenti in questo, è sfociato nella dissoluzione tipica dell’epoca moderna e nell’anarchismo che a suo giudizio viene caratterizzando l’epoca metafisica. Per questo motivo Cristo è una figura che non trova posto nel suo calendario filosofico, mentre al contrario vi pone San Paolo, perché a suo parere la Chiesa cattolica non è opera di Gesù Cristo, ma di Paolo; il quale avrebbe deciso di seguire Cristo per umiltà, in quanto, non volendo assumere le vesti di Dio e quindi farsi adorare, ha adorato un altro come Dio. L’immagine paolina del capo a cui sono unite le membra è ciò che più affascina Comte per la sua organicità. Rispetto alla Chiesa, dei 1800 della sua storia a Comte interessano i secoli che vanno dall’XI al XIII e che egli identifica con il cattolicesimo. Da questo punto di vista cattolcesino vuol dire sostanzialmente mondo feudale, che per Comte rappresenta un periodo eccezionale nella storia, poiché in esso si è realizzato un legame organico dal punti di vista sociale, culturale, umano, economico: un periodo peraltro breve, perché già dal secolo XIII interviene la crisi, in questo arco di tempo il cattolicesimo ha trionfato perché è stato capace di creare una classe di sacerdoti, capaci di realizzare una sintesi che ha impedito che i semi anarchici del monoteismo dirompessero con tutta la loro negatività: l’anarchia evangelica è stata mitigata dalla capacità dei sacerdoti. Comte afferma inoltre che il cattolicesimo medievale è positivo poiché vi si denota un ritorno al politeismo: il culto dei Santi, di Maria e di Gesù Cristo incarnato ha un valore positivo, perché questo umanizzarsi della divinità non è altro che un ritorno al politeismo. Il culto di Maria, ad esempio, è un fattore estremamente positivo, perché per Comte prelude al culto dell’Umanità, in quanto entità femminile che avvicina la mentalità comune al nuovo culto positivistico. L’analogia tra il cattolicesimo, così come lui lo viene pensando, e il positivismo, lo muove, per un breve periodo della sua vita, al progetto di una possibile alleanza contro i comuni nemici, protestanti e deisti, accomunati dall’individualismo, dalla celebrazione dell’autonomia individuale, che abbiamo visto essere per Comte il grande nemico. Il paradosso è che Comte, affascinato dalla Chiesa quale semplice struttura, mentre invece odia e avversa Cristo, pensa che sia possibile un aggancio, in forza di una analogia di mentalità grazie alla quale sia possibile il passaggio indolore dal cattolicesimo al positivismo. Questa è la grande operazione strategica, culturale, ma anche politica, che egli viene pensando in quegli anni. Col passare del tempo viene anche ipotizzando la formazione di una nuova trinità, composta di un grande feticcio, di un grande essere, e di un grande mezzo che sarebbero poi lo spazio, la terra e la Umanità, rappresentante nel suo insieme la grande triade in cui compendia l’Umanità e la vita. Il nostro autore ha presente di fronte a sé il problema pratico di organizzare questa nuova società alla luce della sociologia che lui chiama fisica sociale, e dal 1824 si pone il problema di un nuovo potere spirituale che deve sostituire il potere del clero, quello dei sacerdoti all’interno del mondo cattolico, un nuovo potere spirituale che lui chiama il nuovo sacerdozio dell’Umanità, costituito dai dotti e dai sapienti, cioè da coloro che secondo Comte sono dotati di un vero spirito enciclopedico: ad essi spetta l’autorità di questo nuovo regime positivo. Un’autorità che per Comte è totale, perché il momento critico secondo lui ha avuto una sua funzione, ma soltanto nell’epoca che ormai stiamo lasciandoci alle spalle. Ormai il momento della critica individuale, e quindi della autonoma razionalità di alcuno di noi, non ha più alcuna consistenza; nel momento del regime positivo è un regime organico, la volontà dei sapienti è legge per tutti, non sono ammessi dissensi individuali. È una vera e propria dittatura, in cui il potere spirituale, riprendendo la distinzione feudale da lui così ammirata è delegato agli scienziati, e il potere temporale niente di meno che agli industriali.»
Con tutto il dovuto rispetto, si fa fatica a prendere sul serio questo guazzabuglio di elucubrazioni speculative, avventate teorie sociologiche e stravaganti interpretazioni storiche, nelle quali il solo filo conduttore facilmente riconoscibile sembra essere la ferma volontà dell’Autore di individuare la "clavis universalis" che gli consenta di traghettare l’Umanità – che, come si è visto, non è formata da tutti gli uomini, ma soltanto dalla parte socialmente "utile" di essi — dallo stadio "metafisico" a quello "positivo", del quale egli, modestamente, si vede investito dalla forza del destino ad assumere il ruolo di profeta e, insieme, vista l’imminenza della nuova èra, di pontefice massimo. Quando, per esempio, si compiace della diffusione del culto mariano, perché vede in esso una preparazione al culto dell’Umanità, che è pur sempre un culto "femminile", non si può fare a meno di chiedersi se stia parlando sul serio, o per celia: e non si sa da quale delle due ipotesi la figura del "filosofo" Comte esca meglio, o meno peggio.
A quanto pare, per lui l’importante è impadronirsi della tecnica del potere; la religione tradizionale è solo un "instrumentum regni": allievo di Machiavelli più realista del maestro, non gli basta che il "politeismo" cattolico predisponga gli animi alla ricezione del nuovo culto positivo; egli riduce i contenuti stessi della nuova "fede" a feticci, esseri e mezzi, e sembra che stia parlando di stoccaggio delle merci o dei listini di borsa, non di contenuti spirituali, i quali, di fatto, gli sono del tutto indifferenti. La religione, anzi, lo spirito religioso, gi interessa solo nella misura in cui si presta a rinsaldare la coesione sociale; e quest’ultima gli appare necessaria, anche se — contraddizione lampante — la scienza di cui è l’annunciatore, con la matematica in cima ad ogni altra forma del conoscere (ah, l’algebra!, dirà Simone Weil: uno dei tre grandi mostri della modernità; gli altri due, le macchine e il denaro), esclude, così come gli la intende, e anzi contraddice frontalmente, il bisogno di trascendenza che è l’essenza dello spirito religioso.
Insomma: Comte è un ateo incoerente, un materialista timido e un sociologo opportunista. Detesta Cristo e il cristianesimo, in ciò che questa religione ha di più bello: la valorizzazione della persona, l’affermazione dell’autonomia della coscienza individuale; ammiratore delle caserme e dei campi di concentramento, vorrebbe l’umanità inquadrata e assoggettata come un immenso battaglione di disciplina. Però si rende conto che perfino un battaglione di disciplina, per marciare compatto, deve essere animato da qualcosa di più che la semplice tabella di marcia: deve avere una fede. Con ciò, egli ammette, implicitamente, l’insufficienza del materialismo, del meccanicismo e della tecnologia a riempire di significato la vita umana; per cui va cercare nella religione del passato quel "quid" che consenta agli uomini di vivere armoniosamente in società; e crede di averlo trovato non già nei contenuti della religione cristiana, ma nelle forme della vita cattolica medievale. Prende a prestito la concezione fortemente gerarchica della Chiesa medievale, per trasmettere vigore e coesione alla società futura; e si ispira al feudalesimo per progettare un nuovo sistema politico, economico e sociale, nel quale scienziati e industriali, in sostanza, svolgeranno la funzione che fu, in passato, dei vescovi-conti, dei marchesi e dei baroni (fra parentesi, i secoli che lui indica come "apogeo del feudalesimo", dall’XI al XIII, sono, al contrario, proprio quelli che vedono la dissoluzione del sistema feudale e la nascita dei comuni, con l’affermazione del nuovo ceto borghese: ma su quali libri ha studiato la storia, Comte?).
Per uno che voglia archiviare duemila anni di storia dell’Europa e inaugurare l’età del positivismo, non è una partenza brillante: gli mancano il vigore, la coerenza, la schiettezza per dichiarare inutili e dannosi i vecchi istituiti e le vecchie credenze e per proclamare risolutamente la morte di Dio e l’avvento di una nuova divinità, la macchina, appunto, cui tutti gli uomini devono genuflettersi (come del resto stava accadendo, brutalmente e semplicemente, fin nell’ultimo villaggio industriale della Lorena, del Brabante o della Scozia, e senza bisogno di tante fumisterie pseudo-teologiche). "Positivo", del resto, per Comte, significa: "reale, utile, certo, preciso e costruttivo": e dunque, come mai la società positiva, da lui salutata, e che dovrebbe avere in se stessa un bagaglio più che sufficiente per auto-alimentarsi, ha ancor bisogno della stampella del misticismo?
Non congediamoci così, però, dal pensiero politico di Auguste Comte, con un mezzo sorriso di scherno; non commettiamo l’errore di liquidarlo come aberrante e pazzesco, e, soprattutto, non sottovalutiamolo. La storia, fino a un certo punto, e anche se con modalità in parte diverse da quelle che lui aveva vaticinato, gli ha dato ragione. L’umanità è entrata nello stadio positivo; e, come lui aveva detto, a entrarvi a pieno titolo è stata soltanto quella parte di essa che si rivela "utile", cioè funzionale, ai meccanismi del mercato, fatti di produzione e di consumo illimitati Il resto dell’umanità, come lui aveva detto, è diventata, o è rimasta, "spazzatura". Anche il dominio totalitario dei tecno-scienziati, degli industriali e dei banchieri (quest’ultimo, in una misura da lui non prevista) si è sostanzialmente realizzato. Le multinazionali e le grandi banche svolgono oggi la funzione dei conti e dei marchesi nel sistema feudale del Medioevo. Insomma, pur con tutte le sue stravaganze e astruserie, alla fine dei conti il bravo Comte ha colto nel segno più di quel che ci si sarebbe, forse, potuti immaginare. Il mondo nuovo, da lui annunciato, è qui, fra noi, intorno a noi e sopra di noi: ed è altrettanto orribile di quel che lui — gloriandosene – aveva immaginato. Perfino sul cristianesimo non si è sbagliato del tutto. La mentalità pretesca si è effettivamente sposata con la mentalità tecnocratica e con quella affaristica, e il risultato è una specie di delirante, ma effettivo, sincretismo cattolico-tecnologico-mondialista. Il cattolicesimo, di fatto, dopo essere stato, per circa duemila anni, la coscienza critica del "mondo", la santa pietra dello scandalo, si sta avviando a diventare l’ancella del mondo moderno: una religione che piace sempre di più, proprio perché non disturba minimamente le logiche del "mondo", anche se, a parole, alza la voce contro le "ingiustizie" e gli "egoismi". Ma si è spiritualmente svuotato, o si sta svuotando; e, quel che è peggio, tende a respingere da sé chi ancora lo vive come un’alternativa radicale.
Che altro si vuole, per dichiarare "grande" un filosofo come Auguste Comte: almeno nel regno della quantità, dove la grandezza si misura in base alla visibilità dei risultati?
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