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29 Novembre 2015La tragica fine, nel 1860, di Peta Nocona, ultimo capo dei Comanche prima della loro sottomissione all’inesorabile avanzata dell’uomo bianco (con la sola eccezione di suo figlio, Quanah Parker) segna la svolta definitiva nella storia del Texas, divenuto indipendente dal Messico nel maggio1836 e annesso agli Stati Uniti nel dicembre 1845.
Pochi sanno che lo scrittore americano Robert Erwin Howard (1906-36), maestro del genere "heroic fantasy" e creatore dei cicli di Conan il Barbaro e dello spadaccino puritano Solomon Kane, era anche vivamente interessato alla storia del proprio Stato, il Texas, prima della conquista da parte dei bianchi; e, più in generale, alla storia degli Indiani d’America.
Scriveva, dunque, R. E. Howard allo scrittore August Derleth, nel contesto di una lettera assai ampia, in cui esponeva sinteticamente la storia degli Indiani del Texas (in: Howard, «Tutti i cicli fantastici», a cura di G. Pilo e S. Fusco, Roma, Newton & Compton1995, vol. 4, pp. 340-41, traduzione di Gianni Pilo):
«Nell’anno1883 [si tratta, evidentemente, di un errore, per 1833; così come, poco più avanti, "1886" deve leggersi, senza alcun dubbio, per "1836"] un gruppo di pionieri, circa 34 persone guidate da John Parker, vennero dall’Illinois e fondarono una colonia sul fiume Navasota, nella contea di Limestone, Texas (a quell’epoca, naturalmente, parte del Messico).
Nel 1886, mentre i texani erano impegnati a lottare per la loro indipendenza, i Comanche si fecero particolarmente audaci nelle loro razzie contro gli insediamenti più isolati, e fu in una di queste scorrerie che cadde Forte Parker. Settecento fra Comanche e Kiowa lo cancellarono letteralmente dalla faccia della terra, con gran parte dei suoi abitanti.
Soltanto un pugno di pionieri sfuggì al massacro, grazie all’incredibile valore di Falkenberry e di suo figlio Evan, che un anno dopo caddero sulle rive del Trinity in uno scontro così selvaggio e sanguinoso che i Comanche sopravvissuti lo raccontarono per tutta la loro vita. Ma Fort Parker fu distrutto, e fra le donne e i bambini presi prigionieri c’erano due nipoti del vecchio John: Cynthia Ann Parker, di nove anni, e suo fratello John jr., di sei.
Non furono allevati nella stessa tribù. John crebbe e diventò adulto come un indiano, ma non dimenticò mai il suo sangue bianco. La vista di una fanciulla messicana, Donna Juanita Espinosa, presa prigioniera dagli indiani, risvegliò il dormiente retaggio del suo sangue. Fuggì portandola con sé, e la sposò. Riprese a vivere con la gente della sua razza, si unì alle truppe del generale Lee, combatté con estremo valore nella Guerra Civile, e in seguito si costruì un ranch nel Texas.
Per Cynthia Ann era in serbo un destino diverso. Nel 1840 un gruppo di mercanti la trovò presso il Canadian River con i Comanche di Pahauka. Cercarono di riscattarla, ma gli Indiani rifiutarono; poi, nessuno la vide più fino al 1851.
Nel frattempo si era fatta donna, e aveva molti pretendenti; fra questi, un certo Eckitoacup, del quale dirò di più in seguito. Era un individuo astuto, versato più nell’intrigo che nella guerra. Ma a Cynthia Ann toccò come compagno Peta Nocona, la cui fama era macabramente visibile dal numero di scalpi appesi alla cintura, ed il cui maggiore sforzo diplomatico era un colpo di tomahawk. Gli diede dei figli, e fra questi un maschio che venne chiamato Quanah, termine che significa a un dipresso "Dolce Fragranza".
Quando i bianchi capitarono di nuovo nel campo dove Cynthia viveva, cercarono di persuaderla a tornare con loro dai suoi parenti. Ma lei si rifiutò: aveva quasi del tutto dimenticato la sua vita precedente, come aveva dimenticato la lingua nativa. Poi, nel 1860, la sua vita da indiana terminò nel sangue e nella violenza, come quella da bianca.
Peta Nocona, che apparentemente verso di lei era a suo modo gentile, e che possedeva tutte le migliori qualità degli uomini rossi, era tuttavia un diavolo scatenato lungo la frontiera. La sua era una pista di sangue, e molte capanne andarono in fiamme e molti pionieri scesero nel Grande Buio privi di scalpo per mano sua.
Quando il destino chiese lo scotto, fu senza pietà. La Nemesi cadde su di lui presso il fiume Pease, nella forma di Soul Ross (che in seguito divenne Governatore dello Stato) e dei suoi Rangers. La sorpresa favorì i bianchi. Erano già fra le tende, sparando e menando colpi di sciabola, prima che gli Indiani si rendessero conto dell’attacco. I rossi si dispersero, correndo ciascuno per sé.
Peta Nocona prese sul suo cavallo sua figlia, una ragazza di quindici anni, e galoppò via con lei. Ross in persona si gettò all’inseguimento, ben sapendo il valore della preda. La ragazza era dietro al padre sul cavallo, e la prima pallottola di Ross, la uccise, conficcandosi poi nello scudo che proteggeva la schiena del padre.
Cadendo, la ragazza trascinò l’uomo rosso giù dalla sella: ma lui cadde in piedi, come un gatto, e cominciò a tirare frecce al cavallo di Ross. Colpita, la bestia cominciò a ondeggiare, e Peta Nocona indirizzò la mira, veloce come il lampo, sul cavaliere.
Furono certamente gli scarti improvvisi del cavallo a impedirgli di colpire Ross che, intanto, mentre cercava di restare in sella, sparava disperatamente a sua volta: e un colpo colse l’indiano a un gomito.
Peta Nocona barcollò e fece cadere l’arco; Ross, calmato infine il cavallo, prese la mira e colpì il suo nemico al corpo; il Comanche rimase in piedi, come stupefatto, e poi, quando un’altra pallottola gli attraversò il torace, si appoggiò a un tronco vicino, vi si sostenne, e cominciò a intonare il suo Canto di Morte.
Ross si avvicinò e gli ordinò di arrendersi; l’unica risposta fu un colpo di lancia, che riuscì a evitare per un pelo. Ross allora fece spallucce, si girò, e fece un gesto verso il suo attendente messicano, che l’aveva seguito. Un colpo di pistola segnò la fine dell’ultimo grande capo-guerriero dei Comanche.
Nel frattempo, il Tenente Kelliheir aveva afferrato una donna che cercava di scappare col suo "papoose". La pistola già alzata si abbassò quando si accorse che si trattava di una donna bianca. Fu così che Cynthia Ann ritornò nella terra della sua gente.
Il resto della storia è banale. Visse coi suoi parenti in casa del fratello, il Colonnello Parker, membro del Parlamento, ma non fu mai felice. sempre in lutto per il marito indiano e i figli, sempre cercando di fuggire per tornare a quella vita più selvaggia dal quale era stata bruscamente strappata. Nel 1864 sia lei che il bimbo che aveva in braccio quando fu presa entrarono nel Grande Buio. C’è da chiedersi se siano nel Paradiso dei cristiani o nei Felici Territori di caccia delle genti rosse.
È una storia cupa, una storia terribile e patetica. In essa, non c’è pietà per nessuno.»
R. E. Howard (la cui figura stata rievocata dal film «Il mondo intero» del 1996), che qui mostra di possedere realmente delle notevoli doti letterarie, perfino superiori a quelle che sfoggia nei suoi numerosi romanzi di genere fantasy, e che lo hanno reso famoso — ma soprattutto dopo la morte -, colloca la morte di Peta Nocona nel 1860; gli studi storici più recenti tendo a collocarla verso il 1864. Ad ogni modo, se fosse vera (ma vedremo che, forse, non lo è), si tratterebbe d’una pagina di storia veramente epica, tale da ricordare gli episodi più drammatici dell’«Iliade». Questo indomito capo indiano, che ha giurato di lottare contro i bianchi fino alla morte, senza arrendesi mai; che conduce i suoi guerrieri a perpetrare un autentico massacro, distruggendo l’insediamento di Fort Parker, con la morte degli sventurati coloni; che si prende in moglie una donna bianca, Cynthia Ann Parker, e che le dà numerosi bambini, facendole dimenticare le sue origini e lo stesso desiderio di tornare alla civiltà dei bianchi; e che trova la morte, da ultimo, in un eroico duello all’ultimo con il suo mortale nemico, il comandante Soul Ross, nel corso del quale entrambi rischiano più volte la vita, dopo che la figlia adolescente dell’Indiano è stata colpita alla schiena dal suo inseguitore, mentre fuggiva in groppa al cavallo di suo padre, cui si era afferrata, e che trascinò poi nella sua rovinosa caduta: tutta questa sembra una materia veramente degna di essere narrata da un Omero delle Praterie nordamericane, nel XIX secolo, con il fiume Pease al posto dello Xanto quale sfondo per lo scontro risolutivo (anche se non troppo glorioso per gli attaccanti) tra bianchi e pellerossa.
D’altra parte, alcuni storici contemporanei contestano la versione dei fatti divulgata da Soul Ross, e raccolta, fra gli altri, dallo scrittore R. E. Howard. Alcuni dubbi, peraltro, esistevano già nel secolo scorso. Lo storico del Texas, John Henry Brown (1820-1895), che fu anche giornalista e uomo politico, non credeva che l’Indiano ucciso sulle rive del Pease River fosse proprio Peta Nocona, ma che fosse un altro, un tale Mo-lui-ew. Secondo il figlio maggiore del capo, il sangue-misto Quanah Parker (nato in una data imprecisata fra il 1845 e il 1852, e deceduto nel 1911), suo padre in quel momento si trovava lontano dall’accampamento, a caccia, insieme a lui. Sarebbe morto di malattia circa tre anni dopo, forse quattro, e non già nello scontro notturno nel quale i Rangers del Texas trucidarono tutti i membri dell’accampamento indiano. Per la precisione, la causa della morte di Peta Nocona sarebbe stata l’infezione provocata da alcune vecchie ferite, riportate mentre combatteva non contro i bianchi, ma contro gli Apache. Se così è stato, allora bisogna pensare che Soul Ross, da vero texano, e anche da uomo ambizioso, intenzionato a fare carriera politica, abbia voluto costruire, o abbellire alquanto, la propria leggenda, scegliendosi, quale degno antagonista, il più famoso e temuto fra i capi Comanche che ancora si battevano contro i bianchi, non essendosi rassegnati alla resa e alla prospettiva di lasciarsi rinchiudere nelle riserve.
È in base alla notizia fornita da Quanah Parker che alcuni studiosi odierni tendono a posticipare di alcuni anni la morte di Peta Nocona: la data del 1864 non va intesa in senso restrittivo, ma avrebbe solo un valore indicativo. Se le cose sono andate in questo modo, questa pagina di storia perde qualcosa sul piano epico e drammatico, anche se conserva la sostanza del racconto tradizionale. La guerra civile spagnola del 1936-39 non acquista un significato sostanzialmente diverso, anche se la più celebre delle fotografie di Robert Capa, quella raffigurante la morte di un miliziano della Repubblica, colpito da un proiettile e immortalato nell’attimo in cui cade, abbandonando il fucile che stringeva in pugno, potrebbe essere un falso clamoroso.
Cynthia Ann Parker aveva solo nove anni quando venne catturata dagli Indiani nel corso del massacro di Fort Parker, che ebbe luogo nel maggio del 1836, non lontano da Groesbeck, nel cuore del Texas orientale. John Parker, il capofamiglia, venne torturato senza pietà, scotennato e ucciso da una banda mista di Comanche e Kiowa, insieme ad altri quattro uomini. Cinque bianchi furono catturati, gli altri riuscirono a fuggire. Fra i prigionieri c’era una bambina, nipote dell’anziano John Parker, Cynthia Ann, che sarebbe diventata la moglie di Peta Nocona e avrebbe trascorso ben venticinque anni fra i pellerossa, al punto da diventare una di loro, scordare la lingua inglese e tornare, infine, molto malvolentieri a vivere fra la gente della sua razza, continuando a rimpiangere, per tutti gli anni che le restarono da vivere (fino al marzo del 1871), la sua famiglia indiana, il marito e i figli, e la libera vita sotto le stelle o al riparo di un tepee.
Ha ragione R. E. Howard nel dire che questa è una storia crudele, nella quale non vi è stata pietà per nessuno. Né i bianchi massacrati a Fort Parker, né i Comanche sterminati sulle rive del Pease River, in località Mule Creek, sorpresi di notte, nel sonno, e uccisi a colpi di sciabola, senza riguardo nemmeno per i fuggitivi, hanno trovato pietà dai loro nemici. Anzi, mentre nell’eccidio di Fort Parker cinque persone vennero risparmiate e adottate dai pellerossa, in quello di Mule Creek non vi furono superstiti: a quanto risulta, né le donne, né i bambini trovarono grazia, e comunque nessuno di essi fu poi ritrovato in vita. È stata una sporca guerra, o meglio, un piccolo episodio di una guerra molto più vasta, combattuta lungo tutta l’estensione del continente americano, e conclusasi, prima della fine del XIX secolo, con la completa sconfitta e la sottomissione delle ultime tribù indiane del West. L’ultimo episodio, com’è noto, ebbe luogo sul torrente Wouned Knee, il 29 dicembre 1890. Non fu una battaglia, ma un massacro: vi perirono 300 Sioux. Poi, sui popoli indiani calò il sipario.
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