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La critica di Gentile al modernismo

Ha scritto Vincenzo Pirro nell’articolo «Il modernismo e l’enciclica "Pascendi" nel giudizio di Giovanni Gentile» (in: «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, gennaio-marzo 2009, pp. 53-66):

«Gentile avverte subito l’ambiguità di un movimento che vuole conciliare scienza e religione, esercizio della ragione e fede ai dogmi, senza rendersi conto che l’immediatezza della fede è l’assoluta negazione della mediazione dimostrativa del pensiero scientifico. E prende il caso di padre Semeria, che si occupa contemporaneamente della storia e dei dogmi, presumendo di poter servire la scienza e il cattolicesimo, la critica storica e l’apologia cristiana, quando invece l’una esclude l’altra. Così accade che da una parte la storia dei dogmi, l’esegesi biblica, distrugge la fede (razionalismo), dall’altra l’apologia nega la storia (misticismo). Osserva Gentile: non esiste la storia cattolica o protestante o altro che sia, ma la storia "tout court", quella che si propone di cercare quello che non si è ancora trovato; e lo stesso si dica della scienza e della filosofia.[…]

Gentile non mette in dubbio i meriti dei modernisti e soprattutto i dei loro maestri, i filosofi dell’azione con a capo Blondel, verso cui egli stesso è debitore, almeno per quel che riguarda due motivi fondamentali: la critica dell’intellettualismo in nome dello spiritualismo cristiano e la disellenizzazione del cristianesimo. Apprezza la loro esigenza di rompere "la dura scorza secolare, in cui la dottrina cattolica e i suoi istituti hanno organizzato la religiosità umana, razionalizzata dall’antica filosofia, tutta sostanzialmente platonica". Ma disapprova quel loro rimanere indecisi tra la filosofia moderna e l’ortodossia cattolica, la scienza e l’apologetica. [..]

E dal suo punto di vista ha ragione di dire che i modernisti non hanno il coraggio di uscire dagli equivoci e di riconoscere che la verità si fa, è storica, viene da dentro e solo da dentro, come vuole l’idealismo nuovo, il "vero idealismo cristiano" (del Cristo che è Dio e uomo in una sola natura): l’idealismo post-kantiano, che celebra "l’autonomia assoluta della ragione" e presenta perciò la storia del o0ndo come "storia sacra". Si tratta di sciogliere il nodo della GRAZIA, che i modernisti come i giansenisti non riescono a risolvere, legati come sono alla teologia paolino-agostinana. GRAZIA vuol dire natura, non creato, DATITÀ, servo arbitrio; vuol dire trascendenza assoluta, negazione del patto fra Dio e l’uomo suggellato da Cristo. Ne deriva la doppia morale e la doppia verità dei modernisti come dei giansenisti: da una parte il rigorismo, dall’altra il sentimentalismo, cioè la considerazione della miseria umana e la funzione consolatrice della religione; da una parte l’ossequio alla scienza, dall’altra l’intento apologetico; in breve: da una parte il cristianesimo ribelle, dall’altra lo spiritualismo "molle", cioè mistico, sentimentale, decadente (alla Fogazzaro). Sciogliere il nodo della grazia significa decidere se ridurre il modernismo ad una crisi di di coscienza , ad un affare di anime delicate e sensibili, oppure imboccare la via filosofica e approdare al nuovo idealismo che accoglie e razionalizza le istanze della religione.

I riferimenti al giansenismo non sono casuali. È Gentile che in fondo considera il modernismo una versione del giansenismo, un giansenismo senza Port-Royal, moderato e compromissorio, che vuol conciliare l’inconciliabile, ossia il "metodo dell’immanenza" con il "principio della trascendenza", la rivelazione interiore e la rivelazione divina, l’autonomia della ragione e la fedeltà all’istituzione. Sta di fatto che egli assume nei confronti del modernismo una posizione molto simile a quella di Gioberti nei confronti dei giansenisti: sì alla pietà religiosa, no alla religione come fatto privato; va bene la critica al cattolicesimo, non la diminuzione dell’autorità papale che importerebbe la distruzione della Chiesa; sì alla riforma religiosa, ma nella Chiesa non contro la Chiesa. E questo è anche un modo per dire che il cattolicesimo modernista non è una nuova edizione del cattolicesimo liberale dell’Ottocento, saldamente ancorato alla positività della storia e al magistero ecclesiastico,. Certo anche i cattolici liberali, compreso Gioberti, furono sensibili al richiamo dell’interiorismo giansenista e pascaliano, ma si sottrassero all’astrattismo e all’individualismo che la "religione del cuore" porta con sé, affermando l’oggettività interiore o, come diceva Gioberti, lo "psicologismo trascendente". Per Gentile l’eredità del cattolicesimo liberale, manzoniano e giobertiano, spetta al nuovo idealismo, la filosofia che si dice immanentistica in quanto cristiana, immanentistica "non perché voglia negare Dio per affermare l’uomo, ma per assicurare nel pensiero e nella vita quell’unità del divino e dell’umano in cui il Cristianesimo consiste.»

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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