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Cupidigia, maledizione biblica

Forse nemmeno Dante, con la sua fantasia potentissima e un po’ perversa, sarebbe mai riuscito ad immaginare un’anima perduta come quella di una donna dei XIX secolo, realmente vissuta e la cui vita è ben documentata, perché era — né più, né meno — la donna più ricca del mondo: l’americana Hetty Green (1834-1916).

Costei era talmente straziata dal vizio della cupidigia, che, al suo confronto, la stessa lupa dantesca, descritta a vividi colori nel primo canto della «Divina Commedia», e caratterizzata da una fame mostruosa, insaziabile, che era pronta ad assalire chiunque per divorarlo e «molte genti fe’ già vivere grame», sembra impallidire: leggere la sua biografia significa sprofondare in una sorta di girone infernale, in cui si stenta a credere che una creatura umana abbia potuto inabissarsi, con testarda determinazione, sino all’ultimo dei suoi giorni, provocando l’estrema infelicità e la rovina finale della propria vita e di quella delle persone a lei vicine.

Era ricca di famiglia e poteva disporre, al raggiungimento della maggiore età, di una cospicua fortuna: ma ella non se ne accontentò, volle accrescerla in ogni modo, e giunse letteralmente a centuplicarla. Tutto, forse, si spiega con il fatto che, da bambina, aveva imparato a leggere sui giornali finanziari di papà e che, per lei, le complicate operazioni di borsa non erano quel segreto indecifrabile che sono per la maggior parte dei comuni mortali: ne sapeva già quanto basta ad un normale consulente finanziario, quando ancora portava le trecce e giocava con le bambole (ammesso che abbia mai giocato come tutti i normali bambini, cosa di cui è lecito dubitare). E che dire di quel padre — ci piange il cuore a chiamare così quell’uomo, vorremmo dire, parafrasando un po’ il buon vecchio Manzoni — il quale, invece di preoccuparsi per le sue abitudini e mandarla a giocare con gli altri bambini, si compiaceva delle sue prodezze virtuali di capitalista in erba, le incoraggiava e se ne gloriava, come di cosa bella e lodevole?

In pratica, il segreto della colossale, inconcepibile ricchezza accumulata dalla signora Hetty Green consisteva nel comprare titoli a condizioni vantaggiose e nel rivenderli poi a caro prezzo: un segreto piuttosto semplice, quello della speculazione finanziaria, solo condotto con incredibile astuzia e con tenacia implacabile; quanto alla sua avarizia, o meglio, alla sua cupidigia — perché, in lei, l’ossessione di non spendere era pari soltanto a quella di accumulare sempre più denaro — sarebbe semplicistico liquidarla, semplicemente, come un classico caso di psicopatologia, magari legato — come vuole la psicanalisi freudiana classica — a chissà quale indicibile trauma infantile e a incolmabili carenze affettive. Del trauma infantile non sappiamo nulla; quanto alle carenze affettive, ci saranno senz’altro state: ma questa è una condizione necessaria, non già sufficiente, perché una persona, crescendo, diventi più avida, più taccagna e disumana di Paperon de’ Paperoni. Il segreto dell’anima umana è sempre un po’ più complesso di come lo immaginano i devoti di Freud e i maghi neri della sua tenebrosa pseudoscienza.

La signora Green era certamente malata, perché non può definirsi in altro modo una persona benestante — lasciamo perde il fatto che fosse multimiliardaria — che non si cambia mai di vestito per non dover acquistare il detersivo; che scalda la minestra sul termosifone per non far bollire la pentola dell’acqua; che vive in squallide pensioni perché, se acquistasse una casa, dovrebbe pagare le tasse; che tratta i suoi affari milionari in un angolino della propria banca, per non dover affittare uno studio suo; che porta il figlio gravemente infortunato all’ospedale dei poveri e, smascherata, preferisce curarlo da sé, col risultato di causargli l’amputazione della gamba, dopo un calvario durato due anni; e che perfino sul letto di morte non voleva accettare l’idea di dover spendere denaro per le proprie cure mediche. Però la parola "malattia" ci sembra del tutto inadeguata a rendere conto del suo caso, nel quale il male sembra essere stato assai più profondo.

La patologia di Hetty Green non era solo di tipo psicologico; era una malattia spirituale, che si era impossessata della sua anima, così come il Diavolo si impossessa, dopo averle sedotte, delle anime che ha deciso di perdere e di trascinare con sé all’Inferno. Anche Hetty Green era stata sedotta da una potenza infernale: il fatto che amasse trascorrere alcune ore in contemplazione del suo tesoro, sotto forma di titoli e azioni, che poi si ficcava nelle tasche, sotto il vestito, quasi per sentirne il contatto fisico e per esserne accarezzata e avviluppata, indica che ella era preda di una vera e propria possessione demoniaca, che le aveva sconvolto la mente e che sin prendeva gioco della sua pur sviluppata intelligenza.

Si può forse invocare una spiegazione naturale e perfettamente razionale, davanti ad una madre che preferisce vedere amputata la gamba del suo bambino, piuttosto che versare il denaro necessario alle sue cure? Che divorzia dal marito e lo lascia precipitare nella più nera miseria, essendosi cautelata, già prima del matrimonio, di registrare presso un avvocato il regime di separazione dei rispettivi beni? Ha ancora qualcosa di umano, non diremo di femminile, una donna che se ne va per strada con un unico, eterno vestito, di colore nero per nascondere il sudiciume, quando potrebbe vestire come la signora più elegante e ingioiellata dei quartieri alti di New York? E che non ha scelto, come stile di vita, la più sordida miseria allo scopo di sentirsi solidale con i poveri e per disprezzo del denaro, ma, tutto al contrario, per non intaccare neppure di un penny il suo gigantesco patrimonio, se non quando è assolutamente indispensabile?

Così riassumono la vicenda terrena di Hetty Green i saggisti Edmund H. Harvey Jr. e Jozefa Stuart (in: «A,b,c della mente umana»; titolo originale: «ABC ‘s of the Human Mind», Selezione dal Reader’s Digest, 1990; edizione italiana, 1991, p. 195):

«Sul finire dell’Ottocento, la donna più ricca del mondo era anche la più fenomenale taccagna della storia: pur vantando un conto di milioni dollari in banca, si vestiva come una stracciona e viveva da indigente.

Da piccola, Hetty Robinson aveva imparato a leggere sulle pagine finanziarie e le recitava al ricco padre. A 30 anni ereditò un milione di dollari e nell’arco dei successivi 50 seppe destreggiarsi abilmente fra azioni e titoli , portando il suo patrimonio a 100 milioni di dollari.

L’astuzia finanziaria e le spregiudicate manovre di Borsa escogitate da Hetty lasciarono di stucco i grandi magnati del tempo e le valsero il soprannome di "strega di Wall Street". Ma benché fosse un genio nel far soldi, sviluppò un odio inveterato verso ogni tipo di spesa.

Quando compì 33 anni, Hetty sposò Edward Green, un miliardario par suo, , ma lo costrinse a firmare un accordo prematrimoniale di divisione dei beni. Quando egli perse tutta la sua fortuna nelle speculazioni di Borsa, i due si separarono, e Hetty, pur possedendo una ricchezza incalcolabile, allevò i due figli in condizioni di assoluta povertà, spostandosi da una locanda all’altra per evitare di versare le imposte patrimoniali.

Per risparmiare soldi sugli indumenti e i detersivi, indossava lo stesso vestito nero tutti i giorni e ne sfiorava solo l’orlo che sfiorava la terra. La sua riluttanza ad aprire il portafoglio raggiunse il culmine il giorno in cui il figlio Ned si ferì al ginocchio. Lo condusse all’ospedale, al reparto dei nullatenenti, per farlo curare gratuitamente. Il medico però riconobbe la miliardaria e presentò la sua parcella. La donna rifiutò di pagarla e decise di curare da sola la ferita ragazzo. Dopo due anni, Ned dovette subire l’amputazione della gamba.

Hetty Green era tropo avara per pagare l’affitto di un ufficio e preferiva condurre le sue trattative finanziarie dalla banca dove custodiva la sua fortuna, minacciando di chiudere il conto se i funzionari dell’istituto si rifiutavano di concederle l’uso di uno scrittoio. Quando si sentiva particolarmente infelice, si sedeva talvolta sul pavimento della camera di sicurezza della banca e contemplava titoli e azioni, che poi riponeva nelle tasche appositamente cucite sulla maglia intima. Per mangiare, scaldava una scodella di farinata d’avena sul termosifone oppure estraeva un panino da una delle sue voluminose tasche.

L’avarizia fu una delle cause che portarono alla tomba Hetty Green nel 1916, a 81 anni: litigando per il prezzo del latte, fu colpita da ictus cerebrale. Il figlio Ned la circondò di infermiere che la assistettero fino alla morte, ma fu costretto a chiedere loro di presentarsi in abiti civili per timore che le sue condizioni si aggravassero nel rendersi conto che le cure costavano tanto.

Per ironia della sorte, Ned, che ereditò gran parte della fortuna materna, la sperperò in feste, gioielli, panfili e persino in vasi da notte tempestati di diamanti.»

Certo, uno psicologo non farà fatica a vedere nelle follie e negli sperperi del povero Ned (che però, a onor del vero, con l’eredità materna volle anche far costruire un ospedale) una reazione isterica, tanto inutile quanto rabbiosa, contro lo stile di vita semplicemente inumano impostole dalla madre. Il che ci ricorda che un’anima persa è doppiamente pericolosa, perché non perde solo se stessa, ma anche l’anima di coloro che le stanno intorno, se questi non trovano in se stessi gli strumenti per difendersi dal suo maleficio. Hetty Green non ha rovinato soltanto la sua vita e non ha dannato soltanto la propria anima, se così possiamo esprimerci (salvo restando il principio che qualunque anima può convertirsi anche nell’ultimo soffio di vita), ma ha gettato una pesantissima ipoteca anche sulla sanità dell’anima dei suoi figli, Ned e Sylvia, per non parlare della loro infelicità nella vita terrena, sulla quale c’è poco da dubitare.

Le fotografie che la ritraggono per la strada, con il vestito nero, il cappello nero e il velo nero di una perenne, fisiologica vedovanza, l’aria cupa e arcigna, quasi una morta vivente chiusa nel suo delirio di cupidigia e di avarizia, trasmettono un brivido ancora a distanza di oltre un secolo: nei suoi occhi ostinati e diffidenti, che non hanno mai visto la bellezza del mondo, ma che sanno solo contare denaro e sognare ricchezze sempre più ingenti, c’è una luce malefica, che lascia profondamente pensosi.

Non stupisce che il suo soprannome fosse «The Witch of Wall Street», la Strega della Borsa: infatti non risulta che abbia mai voluto bene ad alcuno o che abbia mai compiuto la più piccola azione di bontà disinteressata nei confronti di chicchessia. Il mondo, per lei, era spento: in pratica si riduceva ad un forziere inesauribile, da cui ella aveva giurato di strappare, un po’ alla volta, fin l’ultimo centesimo. E le pareva che il segreto consistesse nel non spendere nulla, perché, spendendo, ella avrebbe "restituito", e sia pure in misura infinitesima, quel denaro che le sue manovre di borsa le consentivano di guadagnare per sé sola. Ecco perché volle portare il figlio Ned, ferito alla gamba, al pronto soccorso dei nullatenenti: dal momento che pagava le tasse come cittadina americana, riteneva fin troppo giusto che fossero il governo degli Stati Uniti, o l’amministrazione della città di New York, a dover sostenere le spese per la cura del figlio: lei aveva già dato — e anche troppo, secondo i suoi gusti.

Ripetiamo: sbarazzarci di questa vita così conturbante, così sgradevole, così ripugnante al comune senso morale, con una scrollata di spalle e con una semplice diagnosi di genere psicopatologico, ci sembra cosa del tutto insufficiente: perché nella vita di Hetty Green c’è, portata alle estrema conseguenze, una tendenza presente in grandissima parte degli uomini e delle donne moderni, per non dire in tutti (almeno come tendenza): una avidità smisurata, faustiana, demoniaca, che s’innesta sul tronco di un’anima già gravemente malata: malata di vuoto spirituale. Se l’anima di una persona del genere non fosse totalmente seccata e inaridita; se qualunque sentimento del vero, del buono e del bello non vi si fosse atrofizzato, prima ancora di giungere a maturazione; se neppure un esile raggio di luce ha mai rischiarato la sua dimensione affettiva, trasmettendole un impulso generoso verso un altro essere umano, fosse pure una volta sola nel corso dell’intera vita: allora quell’anima è morta già in vita, o forse — cosa ancor più terribile, e quasi raccapricciante a pensarvi — essa è morta in sul nascere, strozzata già quasi nella culla, entro i primissimi anni di vita; e forse non è mai stata viva, nemmeno all’epoca delle fiabe e dei giochi spensierati.

Non sappiamo se la gente si facesse la croce, vedendo passare per strada la Strega di Wall Stret, col suo lurido vestito nero e col suo sguardo impenetrabile, da rettile; ma è certo che ciascuno di noi dovrebbe chiedere, nelle proprie preghiere, di non diventare mai simile a Hetty Green; di non spogliarsi fino a tal punto della propria umanità. Per chi non sia solito pregare, non sapremmo: forse dovrebbe giurare a se stesso, sopra ciò che ha di più caro al mondo, di non lasciarsi mai sedurre dal demone della cupidigia, a nessun costo. Ma basteranno, i proponimenti umani, senza l’aiuto di Dio?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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