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14 Ottobre 2015La Scuola media unica del 1963 servì a distruggere le élites dirigenti della Repubblica di Pulcinella

La crisi profonda che il nostro Paese sta vivendo, e non da ieri, ma ormai da almeno tre o quattro decenni, ha la sua causa principale, ormai a giudizio di molti, in una paurosa, irrimediabile, carenza di leadership: in altre parole, manca una classe dirigente degna di questo nome; mancano le élites culturali, scientifiche, economiche e politiche, capaci di dirigere e organizzare la vita sociale, se non proprio nel modo migliore possibile, in quello meno peggiore.
E come si è verificato un simile fenomeno? Come è accaduto che un popolo di sessanta milioni di anime si sia venuto a trovare senza élites dirigenti, simile a una nave abbandonata, senza capitano né timoniere, nel bel mezzo della perigliosa navigazione oceanica dal secondo al terzo millennio, in un passaggio epocale che richiede capacità eccezionali e non certo il possesso delle modeste virtù ordinarie, buone per la tranquilla navigazione sottocosta?
Anche qui, se si vuol essere onesti, la risposta sono ormai in parecchi ad averla riconosciuta, o almeno intuita: è il frutto della sistematica distruzione dell’istruzione scolastica, iniziata con la creazione della Scuola media unificata, sbandierata come una formidabile conquista sociale del centro-sinistra, nel 1962-63, e proseguita con i fatti e i misfatti del 1968 e dintorni, vale a dire con la pratica del "sei politico" e con la cancellazione di qualunque forma di merito culturale, per sostituirvi concetti quali la "socialità", la "democrazia degli studi", i "diritti delle masse" e via blaterando e mistificando.
Risultato: due o tre generazioni di diplomati e laureati penosamente deboli sul piano culturale e, quel che è peggio, ancor più deboli quanto a possesso del necessario spirito critico, perché partoriti da un conformismo culturale pressoché totalitario; e, come se non bastasse, due o tre generazioni di operai specializzati, di tecnici, di artigiani, di professionisti, sempre più mediocri, sempre meno all’altezza dei loro genitori e dei loro nonni, sempre più imprecisi e pasticcioni, ma, in compenso, sempre più "sindacalizzati" e "politicizzati", sempre più coscienti dei loro "diritti", indipendentemente dalla bontà dei risultati del loro lavoro e dall’efficienza complessiva del sistema Paese.
Don Milani insegnava, con una certa dose di rabbia, che la scuola pubblica italiana serviva solo a perpetuare il dominio della classe borghese e puntava il dito contro le professoresse che, bocciando i figli dei contadini e degli operai, si prestavano a questo gioco: quel che la demagogia galoppante recepiva era che bisognava distruggere qualunque forma di "ingiusta" differenza sociale, e ciò andava fatto mediante un sistematico appiattimento intellettuale, ovvero la diffusione di un analfabetismo diffuso in ogni ordine di scuola, dalle elementari all’università, tanto più esiziale in quanto totalmente inconsapevole di sé e, anzi, tronfio di una supposta coscientizzazione intellettuale e politica, che avrebbe permesso — Dio soltanto sa come, viste le circostanze – il rinnovamento e il progresso dell’intera società.
Dal 1° ottobre 1963 entrò in vigore la Scuola media unificata, che aboliva la precedente distinzione fra le scuole di avviamento professionale e la scuola media preparatoria per i livelli superiori dell’istruzione, e – quindi – per l’esercizio delle professioni.
Vale la pena di riportare, almeno in parte, il chiaro e coraggioso intervento di Agostino Nasti, già amico di Bottai e Ugo Spirito e già collaboratore di «Critica fascista», uno che era solito dire pane al pane e vino al vino e che, probabilmente per questo, oltre che per i suoi "imperdonabili" trascorsi fascisti, è stato pressoché dimenticato, mentre la sua figura e i suoi scritti, dai quali traspare una profonda passione civile, avrebbero ancora molto da dire, ai giovani e a tutti coloro che amano il mondo della scuola e dell’educazione, ai nostri giorni (A. Nasti, «Un’assurda riforma», da «Problemi della scuola italiana», Atti del II Convegno dell’Istituto Nazionale di Studi Politici ed Economici, 8-10 maggio 1960, Bologna, Cappelli, 1960; cit. in «La battaglia del latino», a cura di Daniele Mattalia, Quaderni del Liceo "Parini", Milano, Marzorati Editore, 1964, pp. 354-8):
«Nella vita pubblica del nostro paese, specialmente oggi, più spesso che della persuasione si suole fare uso della intimidazione che, quando non si concreta in abusi di potere e in minaccia di violenze materiali, si contenta di manifestarsi in una pressione morale. Questa pressione morale e psicologica si esplica minacciando di fare apparire i dissenzienti come colpevoli di non sottomettersi a un principio, a un valore ideale al quale più o meni fittiziamente è stato attribuito un valore assoluto. Dopo aver attribuito un valore assoluto a una persona, a un’idea, a un evento, la persona, l’idea, l’evento diventano pietra di paragone che saggia la verità. Tutto ciò che concorda con la pietra di paragone è vero, giusto, rispettabile; tutto ciò che non concorda è falso. Anzi, non è solo falso: è esecrabile, indegno, temerario, vergognoso. Era da additare alla pubblica esecrazione chi avesse detto male di Garibaldi; oggi è da additare alla pubblica esecrazione chi non accetti una qualunque idea o principio o istituzione che sia, o soltanto sembri, riferibile al testo della Costituzione della Repubblica. Quindi, i gruppi e i partiti politici sostenitori della scuola media unica hanno cominciato con l’asserire che questa è voluta dalla Costituzione; ma poi hanno aggiunto che la scuola media unica è voluta da Garibaldi. Chi è il Garibaldi odierno? È la socialità, è ciò che è sociale. Ed è un Garibaldi ben più temibile di quello che comandò i Mille, perché "sociale" è un aggettivo piuttosto incerto, ormai, di significato, dato l’uso e l’abuso che se ne fa, ma è una parola che, evocando implicitamente le masse popolari, è come un cielo oscurato da nembi minacciosi. È "sociale" ciò che è favorevole alle masse, che serve al loro benessere, alloro innalzamento, alla loro affermazione. Quindi, guai a chi si oppone a una cosa che è "sociale". […]
L’articolo 34 della Costituzione dice: "L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita". Ritengo che resterà nella storia a testimoniare il disordine morale e intellettuale del nostro tempo qualunque tentativo di far credere a un uomo intellettualmente normale che da quella frase si possa dedurre che l’obbligatorietà e la gratuità volute dalla Costituzione implichino l’unicità della scuola che deve impartire l’istruzione per quegli otto anni. […] Non sono in grado di dire se i Costituenti non hanno parlato di unica scuola perché apparvero subito chiare alla loro mente le gravi e forse insuperabili difficoltà di attuare un’idea simile o perché, illuminati dallo Spirito Santo, intuirono fin d’allora che un’idea simile sarebbe stata intesa e realizzata nel modo maccheronico in cui, a disdoro dell’intelligenza e del buon senso, viene in questi ultimi tempi proposto, anzi avviato a realizzazione con un disegno di legge. Certo è che non so da quali abissi infernali di sconsideratezza, di superficialità e di malsana febbre di struggitrice, è venuta fuori l’idea di una scuola unica che debba preparare i ragazzi tanto per i mestieri, per i campi e per le officine, quanto per le professioni più semplici, nonché, addirittura, per i più alti studi che incrementano il sapere scientifico La logica ferrea delle cose vuole che una scuola per tutti non ostante una estrinseca opzionalità che non salva niente, sia press’a poco al livello dell’attuale scuola di avviamento, che può preparare per i mestieri e le officine ma non per proseguire gli studi; ma, comunque, a chi si intende di scuole e di ragazzi, appare indiscutibile che non può concepirsi od attuarsi una scuola che prepari, nello stesso tempo, alle scuole tecnico-pratiche e a quelle culturali-scientifiche, a meno che tale scuola unica non sia di un livello tale da preparare al proseguimento degli studi più alti. […] Ma quando […] si dimostra l’inammissibilità dell’invocata scuola media unica, vi rispondono che l’attuale scuola media col latino provoca una discriminazione tra i figli dei dirigenti, che prenderanno la laurea e saranno a loro volta dirigenti, perpetuando la dirigenza della classe borghese, e i figli delle classi lavoratrici, i quali non possono fare studi così lunghi per arrivare ala laurea. Per spezzare il monopolio borghese della direzione della Società, bisogna dare uguale possibilità a tutti i ragazzi. C’è dunque una ragione sociale che impone una scuola media unica. La prima obiezione che viene in mente di fronte a codesta affermazione è questa: quale volgare Società di sprovveduti si vuole costruire attraverso una scuola che può fornire solo modesti artigiani e comuni operai o al massimo dei capitecnici? Dicono che il torto dell’attuale scuola media è di essere ordinata in modo da creare l’élite; ma quale pazzia fa pensare a costoro che bisogna impedire che si formino le élites, quelle che dirigono la vita economica e politica di qualunque paese, nonché quelle culturali e scientifiche? […] Le élites sono e saranno sempre indispensabili, sono esse che hanno creato ‘avanzamento spirituale e quello tecnico dell’umanità. È un problema politico quello di domandarsi se lasciare che le élites borghesi si tramandano attraverso i figli di coloro i quali esercitano il potere politico e la direzione tecnica della società, oppure sostituire alla élite storica una nuova élite, proveniente dalle classi popolari. […] Ma la società non guadagna niente se al borghese incompetente si sostituisce un proletario egualmente incompetente. […] E il "sociale" non c’entra, siatene certi. L’affermarlo è una menzogna demagogica. Chi ama le classi popolari deve proporsi di elevarle perché escano dal loro stato, che è modesto socialmente perché, in generale, è modesto intellettualmente. Adoperiamoci perché i borghesi intellettualmente modesti non abbiano funzioni direttive, ma non impediamo a tutti i capaci, preparati in scuole degnamente atte al loro scopo, di venire preparati alle funzioni direttive. Non distruggiamo le scuole ben ideate, ma immettiamovi tutti i capaci senza distinguere se siano borghesi e proletari. È vero che nel popolo ci sono energie vergini e preziose, e lo hanno dimostrato le élites politiche e scientifiche russe. Ma in Russia non si è data al popolo una scuola di scarto, si è data una scuola serissima, rigorosamente selettiva, come hanno dovuto riconoscere gli Americani quando si son visti battuti dagli sputnik. Soltanto in Italia, per colpa del disordine morale e intellettuale imperante, dopo aver distrutto tanti valori validi, fra cui l’amor di Patria, e l’orgoglio per e glorie storiche, e lo stesso Stato, si vuole ora minare le basi della scuola, per preparare il fondamento definitivo del paese di Pulcinella.»
La Repubblica di Pulcinella è un Paese dove tutti sono bravi e buoni e belli e meritevoli di andare avanti, anche senza impegno, senza sacrificio, senza serietà, senza senso di responsabilità; di frequentare l’università e di aspirare a funzioni dirigenziali; dove i somari più ignoranti e zucconi possono fare ricorso al tribunale amministrativo e vedersi promuovere per qualche vizio formale negli atti delle commissioni d’esame; dove chi sbaglia, dal chirurgo al capocantiere, non paga mai, non deve mai rendere conto di nulla; dove le consorterie corporative proteggono tutti, anche in presenza degli episodi più lampanti di assenteismo, incapacità, fannulloneria e persino disonestà; dove i "sacri" diritti dei lavoratori consentono agli elementi peggiori di occupare posizioni rilevanti, sia nel lavoro che nell’amministrazione, dalle quale infliggono all’intera società un danno quotidiano e un diuturno spreco di risorse; dove le giaculatorie del politicamente corretto consentono di scavalcare qualsiasi difficoltà e di passare avanti a persone più intelligenti, più volonterose, più creative, ma, ahiloro, incapaci di sottomettersi ai riti del conformismo imperante; e dove, infine, qualunque cretino si crede un Aristotele e si aspetta, anzi, pretende, di essere ossequiato e remunerato come fosse tale.
La Repubblica di Pulcinella è quella in cui uno Schettino può comandare una nave da crociera con duemila persone a bordo; in cui un professore o un direttore didattico possono perfino essere incapaci di esprimersi in una lingua italiana corretta e comprensibile; in cui un giudice, applicando il codice con la malizia sopraffina di un Azzeccagarbugli, può rimettere in libertà un borseggiatore, un rapinatore o uno spacciatore, beccati in flagranza di reato, adducendo lo stato di disagio sociale; in cui un capitano o un colonnello possono aspirare a raggiungere i gradi più alti delle Forze armate, pur essendo dei perfetti imbecilli; in cui un assessore regionale o un ministro possono arrivare ad occupare le loro rispettive posizioni, solo perché sufficientemente raccomandati e propensi al servilismo più sfacciato; e in cui un presidente del Consiglio può divenire tale, e proclamare che governerà il Paese per almeno un quinquennio, pur non essendosi mai sottoposto al giudizio degli elettori e pur non essendo neppure parlamentare.
Questo inarrestabile processo degenerativo, questa implacabile selezione alla rovescia, questo Paese di Cuccagna dei furbetti, degli incapaci e degli amici degli amici, ha una data d’inizio: la riforma scolastica dell’ottobre 1963. A una buona scuola media e a delle dignitose scuole professionali si sostituì una scuola media unica, meno che mediocre, che rappresenta, ancora oggi, un triennio perfettamente inutile, se non addirittura dannoso, nella formazione culturale e intellettuale dei giovanissimi: un triennio nel quale disimparano ciò che avevano imparato alla scuola elementare e che non li prepara in alcun modo all’impegno e alle responsabilità che dovranno affrontare nella scuola media superiore e all’università.
La demagogia ha i suoi costi, e il sistema Italia ne paga ogni giorno le conseguenze, in termini di efficienza, serietà, buon governo e credibilità internazionale.
Quando avremo il coraggio di reintrodurre un qualche sistema di merito nella scuola pubblica e quando capiremo che qualsiasi società, che sia sprovvista si un sistema d’istruzione serio e rigoroso, è destinata ad andare alla deriva?
Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio