
Tutti vogliono la felicità; ma, per trovarla, bisogna cercarla nel posto giusto
29 Luglio 2015
Fare filosofia alla tavola da pranzo, magari davanti a un buon piatto di brovada
29 Luglio 2015Il grande scienziato Enrico Medi, una volta, parlando ai giovani, paragonò la teoria dell’evoluzione biologica, dalla materia inorganica fino alle creature superiormente organizzate ed all’uomo, alle dichiarazioni di chi sostenesse d’aver trovato, nella giungla del Messico, in una grotta formatasi in remote epoche geologiche, una Ferrari nuova e fiammante, e pretendesse di spiegare il fatto con il casuale depositarsi e solidificarsi degli elementi chimici presenti in quella grotta, nel corso del tempo, sino a formare, del tutto casualmente, la carrozzeria, il motore e le altre parti meccaniche, sì da avere originato l’automobile da corsa, perfettamente pronta perché qualcuno vi salga a bordo, giri la chiavetta nel cruscotto e… parta per la destinazione desiderata.
Davvero la natura è in grado di fare cose del genere, e davvero l’odierna scienza materialista può pretendere di sostenere simili teorie, e cercare d’imporle come verità certe e definitive, che non ammettono replica e nemmeno margini di dubbio, o di discussione, se non all’interno di un siffatto quadro concettuale? Eppure, immaginare che la natura crei degli organismi infinitamente complessi, come i viventi, per una serie di azioni e mutazioni casuali, significa sostenere, in perfetta serietà, qualche cosa di molto simile. Sarà forse per questo che gli scienziati evoluzionisti di stretta osservanza non si sforzano neanche più di convincere, ma si limitano a tagliare il nodo di qualunque discussione, tacciando di oscurantismo e d’ignoranza i loro eventuali critici?
Non solo: Enrico Medi faceva giustamente notare, nel corso di un’altra conferenza, che la "natura", semplicemente, non esiste: è un concetto creato per mera utilità pratica, ma che non va confuso con qualcosa di reale; di fatto, quel che esiste è l’insieme degli enti e degli eventi naturali; ma non c’è alcun super-ente, o super-evento, che impersoni, per così dire, il progetto complessivo che dà origine alle cose e ai processi naturali; nessuno, beninteso, sul piano, per l’appunto, naturale. Se c’è, allora esso deve trovarsi, evidentemente, su di un altro piano: quello soprannaturale. In tal caso, si chiamerà Dio: la cui esistenza potrà essere dimostrata, certo, con argomenti razionali, ma giammai spiegata con delle teorie scientifiche; perché la scienza si occupa, per statuto epistemologico, precisamente di ciò che riguarda il mondo naturale, e nient’altro.
Del resto, se è difficile credere che gli organismi viventi superiori siano il frutto di processi e mutazioni casuali di ordine evolutivo, per non parlare del tempo totalmente insufficiente ch’essi avrebbero avuto a disposizione per formarsi (giacché i milioni di anni sono cosa da nulla rispetto ai miliardi e ai trilioni che sarebbero, semmai, necessari), la stessa difficoltà esiste, anche se — forse — il grande pubblico, formato da non specialisti, non se ne rende conto — anche per gli organismi inferiori, e così pure, e per la stessa ragione, per quella che la scienza materialista, oggi imperante, definisce "materia inorganica". Di più: non solo le rocce, l’acqua e l’aria sono formate da strutture immensamente complesse; anche un semplice granello di cloruro di sodio, il comune sale da cucina, che adoperiamo tutti i giorni per insaporire la pastasciutta o la verdura, si rivela formato, se visto al microscopio, da un reticolo cristallino (o reticolo di Bravais) d’incredibile ordine, d’incredibile simmetria e d’incredibile bellezza: qualche cosa che difficilmente l’intelligenza più raffinata e il senso estetico più sviluppato e originale riuscirebbero anche solo ad immaginare, se non ne avessero mai avuto la benché minima nozione.
Ci piace riportare una pagina del libro di Alba Gainotti e Alessandra Modelli «Questo pianeta» (Bologna, Zanichelli, 2006, pp. 26-27 C):
«Se con un martelletto si percuote un cristallo di salgemma abbastanza grosso, esso non si rompe in pezzi irregolari e di forma diversa l’uno dall’altro, ma si suddivide in tanti piccoli cubetti. Ognuno di questo, a sua volta, se percosso ulteriormente, si suddivide in cubetti ancora più piccoli; alla fine, i cristalli sono così minuti da sembrare polvere.
Se potessimo continuare lo smantellamento dei cubetti fino a ottenere un cubo infinitamente piccolo, arriveremmo a una struttura di base che presenta una distribuzione ordinata di atomi di sodio (Na) e di cloro (Cl) disposti ai vertici di questo cubo immaginario. Il ripetersi regolare di tutte e tre le dimensioni dello spazio di questa unità di base dà come risultato il reticolo cristallino del minerale.[…] Ogni atomo di sodio è circondato da sei atomi di cloro e ogni atomo di cloro è circondato da sei atomi di sodio. Il lato di ogni unità cubica misura pochi decimillimetri di millimetro. Ciò significa che un cristallo di sale visibile a occhio nudo è costituito da miliardi di unità cubiche disposte nelle tre dimensioni dello spazio.
La forma esterna regolare di un cristallo rispecchia la regolarità interna nella distribuzione spaziale dei suoi atomi nel reticolo cristallino. Nei reticoli cristallini gli atomi sono tenuti assieme da forze di natura elettrica.
Nel caso del cloruro di sodio i legami tra il sodio e il cloruro sono dovuti al fatto che in questo composto gli atomi sono elettricamente neutri, ma possiedono una carica elettrica: gli atomi di sodio hanno infatti una carica positiva, mentre quelli di cloro hanno una carica negativa. Un atomo che assume una carica elettrica, positiva o negativa che sia, viene chiamato ione. Nel caso del cloruro di sodio di sono ioni sodio, positivi, e ioni cloro, negativi.
Come insegna la fisica, cariche elettriche di segno opposto di attraggono, cariche di segno uguale si respingono. Di conseguenza, tra gli ioni sodio e gli ioni cloro si esercitano forze di attrazione, mentre, al tempo stesso, ogni ione sodio respinge gli altri ioni sodio e ogni ione cloro respinge gli altri ioni cloro. Come risultato di questo complesso insieme di forze attrattive e repulsive, gli ioni sodio e gli ioni cloro assumono una disposizione regolare nello spazio che corrisponde alla condizione di massima stabilità.
Quando un cristallo di sale da cucina viene percosso, si rompe secondo piani "prestabiliti", lungo i quali le forze di legame sono minori. Si formano così frammenti con facce piane, come se queste fossero già presenti nel cristallo di sale prima della rottura.
La caratteristica dei cristalli di rompersi secondo piani ben determinati è chiamata sfaldatura. Grazie a questa proprietà, i tagliatori di pietre preziose ottengono forme cristalline perfette a partire da pietre grezze.
Non sempre le forze elettriche tra gli atomi "hanno il tempo" di agire adeguatamente. A volte, la massa fusa da cui si formano le rocce si raffredda tanto rapidamente che gli atomi restano immobilizzati prima di riuscire a sistemarsi in uno schema ordinato, secondo le regole "interne". Si forma così un ammasso solido amorfo (cioè non cristallino), di aspetto vetroso.
Nel vetro, che si ottiene da materiale fuso che si raffredda rapidamente, gli atomi sono infatti disposti in modo disordinato, anziché in modo regolare come nei solidi cristallini. Il più comune materiale vetroso naturale è l’ossidiana, una roccia vulcanica lucida e nera.»
Dunque, il reticolo cristallino interno, che forma la struttura di base di moltissime rocce, e che si riproduce fin nei più minuscoli frammenti di queste, non rappresenta una meraviglia solo dal punto di vista estetico, ma anche dal punto di vista fisico ed elettromagnetico: ogni reticolo è tenuto insieme da cariche elettriche di segno opposto, secondo una geometria ben precisa, al punto tale che, quando il minerale viene colpito da un agente esterno, esso non si rompe in maniera disordinata e casuale, ma secondo piani di frattura regolari e persino prevedibili: come se — osservano le Autrici del brano sopra riportato — le facce piane, che emergono a quel punto, fossero già presenti nel cristallo prima della rottura.
È questo, a noi sembra, un concetto non troppo dissimile da quello — formulato da Michelangelo — secondo cui il blocco di marmo contiene già, fin dall’inizio, la forma dell’opera scolpita, che l’artista si limiterà a far emergere da esso, sbozzandolo a colpi di scalpello; e così pure non ci pare sia dissimile da quello — pirandelliano — del personaggio letterario che esiste assai prima che lo scrittore ne fissi sulla carta il carattere, dal momento che lo scrittore si limita ad evocare colui che già esiste, e che aspettava solo il momento "giusto" per rivelare la sua presenza ai lettori. La materia, perfino la materia che chiamiamo "inorganica" (ammesso che esista realmente una cosa del genere) non è una realtà statica: essa è formata da atomi, da nuclei e da elettroni che si dispongono secondo linee e figure precise, incredibilmente eleganti e complesse, che sono il frutto non del caso, ma delle forze elettriche dalle quali è governata ogni singola particella di materia: e fra le varie particelle vi sono, in realtà distanze enormi, immense, che lo sguardo umano non arriva a percepire e che perfino con gli strumenti d’ingrandimento più potenti, come il microscopio elettronico, non appaiono del tutto chiare, tanto è vero che il disegno complessivo dell’atomo è il frutto, più che di osservazione diretta, di ipotesi, deduzioni e congetture.
Attrazione e repulsione: tali sono le forze fondamentali della materia, che stabiliscono relazioni complesse tra le particelle, e tuttavia armoniose, perfettamente soddisfacenti per la ragione matematica, ma anche per le esigenze estetiche dell’artista più squisito: di fatto, l’ingrandimento elettronico di una piccolissima porzione di materia, a livello atomico o subatomico, si dispiega ai nostri occhi con una meravigliosa, stupefacente eleganza, originalità e forza espressiva che nessun artista riuscirebbe mai a concepire da se stesso, né ad eguagliare con gli strumenti della sua arte; che nessun poeta riuscirà mai a esprimere con parole, poiché le parole, in confronto, non sono che un incerto balbettio; e che nessun pittore, nessun architetto, nessun musicista saprebbero tradurre in forme, linee e ritmi sonori, che siano dotati d’una analoga potenza, semplicità e, nello stesso tempo, complessità.
Ebbene: quel che ci chiedono gli scienziati evoluzionisti, è di credere, sì, di credere — adoperiamo questa parola nel significo specifico della fede religiosa — che tutto ciò non è altro che uno scherzo del caso; che la disposizione degli atomi, le forze elettriche mediante le quali si legano reciprocamente, le linee e i disegni geometricamente regolari secondo cui si dispongono, e che conservano perfino allorché la materia viene spezzata da un colpo di martello, ad altra causa non sono dovuti se non a una serie di circostanze fortuite. Per caso, la materia originaria dell’universo si è costituita; per caso, ha incominciato a organizzarsi nei diversi elementi chimici; per caso, essa ha dato origine alle stelle, alle galassie, alle nebulose; per caso ha formato i pianeti e i satelliti, i mari e i monti, i minerali e gli esseri viventi; per caso, secondo delle mutazioni imprevedibili, in base alle pure leggi dell’adattamento e della sopravvivenza, questi ultimi si sono evoluti, dando luogo a forme sempre più complesse, sempre più organizzate, sempre più intelligenti; e per caso, da ultimo, è comparso l’uomo, o l’antenato dell’uomo; così come per caso l’umanità, prima o dopo, incomincerà a estinguersi, e verrà soppiantata da altre forme viventi, oppure la vita scomparirà del tutto, ovunque, e nell’intero universo non resteranno che corpi inanimati, infinitamente caldi o tremendamente freddi, corpi inadatti alla vita, deserti di fuoco o di ghiaccio, destinati a vagare per milioni e miliardi di anni nelle loro orbite cieche, senza scopo, senza senso, senza alcuna destinazione finale.
Questo è il quadro fisico entro il quale la cultura moderna ha deciso di assegnare all’uomo il compito di rendersi consapevole, unico fra i viventi, della propria sorte assurda e dolorosa, tanto più dolorosa quanto più egli sia capace di penetrarne, sino in fondo, tutta la terribile, agghiacciante futilità, tutta la sconvolgente, intollerabile inutilità, che comprende il grande, insondabile mistero della sofferenza: così degli uomini, come degli animali. La scienza materialista che ha delineato un siffatto scenario, peraltro, non si prende il disturbo — né lo potrebbe – di dire una sola parola che vada al di là della constatazione di questa miseria, di questa disperazione universale. Che cosa si debba, o si possa, dedurre da tutto ciò, è cosa che non la riguarda; nondimeno, sono fin troppi gli scienziati che si improvvisano filosofi, e cattivi filosofi, e che, dalla teoria evoluzionista e dalla cosiddetta legge della lotta per la vita, pretendono di ricamare tutta una concezione del reale, in armonia con le premesse.
Ma come può l’intelligenza umana credere al caso, davanti a simili prodigi di bellezza e d’armonia?
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