
I cristiani moderni, per Pascal, hanno molto da imparare dagli antichi
28 Luglio 2015
Neppure al magnanimo Tex Willer tutte le ciambelle riescono col buco
28 Luglio 2015La civiltà europea è destinata a perire, se non troverà il modo di uscire nell’angusto recinto, dominato da vieti pregiudizi di matrice illuminista, nel quale ha scelto di andare a recludersi con le sue stesse mani: il recinto del secolarismo. In esso, quel che restava della spiritualità europea si è ammalato, è avvizzito e sta morendo: e nessuna civiltà, per quanto evoluta tecnicamente e scientificamente, ha mai potuto sopravvivere, quando ha incominciato a perdere la propria dimensione spirituale. Una civiltà può anche sopravvivere se è in deficit di tecnica, non se è in deficit di anima: questo ci mostra la storia, questo ci dice la ragione.
Accade nella storia delle civiltà quel che accade nella vita del singolo: qualora non si possano conservare le proprie forze spirituali, qualora esse non possano espandersi e fiorire, allora è tutto l’organismo che intristisce ed appassisce, è come se perdesse la sua anima: perché perdere i contenuti spirituali è la stessa cosa che perdere l’anima. In questo senso, si può anche dire che il destino della mondo moderno, di cui la civiltà europea è il motore e, nello stesso tempo, il nervo più sensibile (mentre l’appendice americana non è civiltà, ma mera civilizzazione: non "Kultur", ma "Zivilisation") è, alla lettera, minacciata dal Diavolo. Il Diavolo, l’Avversario, è colui che vuole attraversare i disegni di Dio, seducendo l’umanità e spingendola contro il suo creatore, contro il disegno sapiente e amorevole che governa l’universo. Per smania di potere, ci siamo lasciati sedurre e abbiamo voltato le spalle a Dio: il patto scellerato sottoscritto dal dottor Faust è la parabola, e l’autentica cifra, dell’uomo moderno.
Oh, l’Avversario ha agito in maniera subdola e sottile: è il suo mestiere. Non ha lasciato vedere il suo gioco; ha suggerito agli uomini dei pensieri molto lodevoli e quasi caritatevoli: ha suggerito loro che, per combattere il male, la sofferenza, l’ingiustizia, essi devono fare da sé, prendere la storia nelle loro mani, realizzare il migliore dei mondi possibili; solo in seguito, poco alla volta, e con una certa prudenza, ha incominciato a suggerire loro che, per realizzare simili obiettivi, non è necessario fare ricorso a Dio; anzi, che Dio sarebbe proprio d’ostacolo; e, insomma, che la cosa migliore, per essi, è cancellare il pensiero e il ricordo di Dio, dichiararLo morto e sepolto, e ripartire completamente da zero, come se Dio fossero loro.
Così, l’Avversario non si è limitato a spingere gli uomini sulle strade che li allontanano sempre più da Dio — e dunque da se stessi, visto che il bisogno di Dio è inscritto nel loro statuto ontologico -; li ha istruiti su come costruire una civiltà del tutto autosufficiente da Lui e dalla Sua influenza; su come circondarsi di diritti, di pretese, di garanzie d’ogni sorta (almeno sulla carta); su come edificare una scienza materialista e meccanicista, senz’anima e senza compassione; su come affidarsi a delle guide intellettuali ambiziose, ma più cieche dell’uomo della strada; e su come consegnarsi, legati mani e piedi, alla mercé di un potere usuraio, famelico, spietato, che vuole mercificare tutto e sfruttare ogni persona e ogni cosa per trarne un illecito profitto e per estendere sempre più la rete smisurata dei suoi insaziabili appetiti.
Ed ecco che gli uomini moderni, inseriti e quasi fagocitati in questo ferreo meccanismo, programmati dalla nascita alla morte per essere sfruttati e per lasciarsi dirigere come burattini, instupiditi dalla pubblicità del diabolico consumismo, scambiando l’egoismo e la licenza per "diritti naturali" garantiti per legge, dall’aborto all’eutanasia, soffrono infiniti tormenti causati dall’angoscia, dalla solitudine, dall’alienazione, dal disincanto del mondo e dalla frustrazione esistenziale; ma sono lontanissimi dall’intuire la causa del loro malessere.
Se la intuissero, vedrebbero anche fino a che punto si sono lasciati manipolare, fino a che punto si sono degradati e smarriti da se stessi, sotto le apparenze di sempre nuove "conquiste" di libertà e di benessere; e si renderebbero conto di quale errore madornale abbiano fatto nel recidere le loro radici spirituali e nell’affidarsi a pratiche e a ideologie che, con il pretesto di emanciparli, li hanno resi sempre più schiavi e sempre più deboli, svuotati, avviliti, scontenti di sé.
Ha scritto Rocco Buttiglione in un articolo intitolato «La Chiesa nel declino dell’Occidente secolarizzato» (in: «Il nuovo Areopago», rivista trimestrale, Bologna, n. 3 del 1983, pp. 64-5):
«Il cambiamento di prospettiva con cui noi oggi percepiamo il fenomeno della secolarizzazione non significa […] affatto che le Chiese torneranno a riempirsi e che fra breve la nostra civilizzazione tornerà ad assestarsi sulle sue antiche basi religiose. Gli stessi studi che cidicono che esiste nella metropoli "secolarizzata" un nuovo e forte bisogno religioso ci dicono anche che esso non si rivolge affatto verso la religione "di Chiesa", verso le forme istituzionali consolidate. Esso, per la verità, rifugge ancor più drasticamente dalle Chiese parallele che invano una certa teologia secolarista ha in vario modo cercato di costruire. Queste infatti mettono tutto l’accento sull’impegno nella storia mentre il problema fondamentale che l’uomo "secolarizzato" avverte è piuttosto quello della scoperta della propria interiorità. Solo attraverso essa, al contrario di ciò che poteva apparire in una certa fase di transizione alla città secolare, egli potrà percepire il legame con gli altri e la grandezza di un impegno etico-politico per la giustizia.
Resta da vedere se queste esigenze spirituali possano essere incontrate da una Chiesa che si dà la forma di Movimento e che, invece di separare storia profana e storia della salvezza, torna a leggere la storia delle nazioni alla luce della storia della Chiesa.
Questa mi sembra essere la corrente sotterranea che percorre tutti i grandi cicli di discorsi che Giovanni Paolo II ha indirizzato ai popoli delle diverse nazioni dell’Europa e non solo dell’Europa. Attraverso la Riforma, l’Illuminismo, il Marxismo, l’Europa ha formulato una serie di nuove esigenze umane a cui non ha saputo dare una risposta adeguata. IL VALORE DELLA COSCIENZA, IL VALORE DELLA CONOSCENZA, IL VALORE DELLA GIUSTIZIA SOCIALE sono stati messi in luce con una forza ed una ricchezza che non hanno precedenti nella storia dell’umanità. Essi tuttavia sono stati scoperti in un modo unilaterale che li ha posti in conflitto tra loro ed infine li ha condotti sulla soglia dell’autonegazione. Senza il valore di una verità oggettiva a cui riferirsi, il valore della coscienza si disperde nell’arbitrio; senza il valore della interiorità della persona, il valore della conoscenza oggettiva della realtà si capovolge in un fisicalismo che pretende di ridurre a cose sia l’uomo che i valori spirituali; senza il valore di Dio stesso, che è il termine di riferimento ultimo di ogni giustizia in cielo e sulla terra, la parola giustizia perde di significato e si piega (come Nietzsche ha genialmente descritto) a coprire ogni iniziativa dell’invidia e del rancore. Per una fase della sua storia la Chiesa si è limitata d indicare il limite di ciascuno di questi valori, preso in se stesso ed assolutizzato. Con il Concilio essa apre la fase storica della loro riappropriazione. Il primo post-Concilio ha visto la tentazione di un cedimento della Chiesa alla secolarizzazione, cedimento che solo la decisione umanissima ma ferma di Paolo VI ha potuto contenere. Con Giovanni Paolo II si apre invece piuttosto una fase di realizzazione positiva e di prosecuzione del disegno conciliare. Il mondo moderno non ha bisogno che la Chiesa gli dia ragione, anche con dovizia di argomentazioni, là dove esso effettivamente ha ragione. Il mondo piuttosto ha bisogno che la Chiesa sia SOLIDALE CON LUI NELL’ATTIMO DELLA SUA CADUTA, manifestandogli in che modo è possibile porre rimedio a quegli errori fondamentali che minacciano di distruggere tutto ciò che di positivo la civiltà europea ha costruito nel lavoro di secoli.»
Ecco, dunque, la causa fondamentale dello smarrimento in cui sono precipitati gli uomini, e della loro schiavitù: il relativismo etico, culturale, spirituale.
L’aver rinunciato a perseguire la Verità, in nome di cento, mille verità soggettive e parziali; l’aver rinunciato al Bene, al Giusto, al Bello, in nome di cento e mille forme di bene, di giustizia e di bellezza, tutte effimere, tutte incomplete, perché tutte fondate su ciò che è transitorio: ecco l’errore.
Da qui, pertanto, occorre ripartire; da qui è necessario incominciare la ricostruzione morale, culturale e spirituale della nostra società, senza la quale continueremo a edificare sul nulla, a costruire le nostre torri di Babele che resteranno, poi, incomplete e abbandonate, quale malinconica testimonianza del nostro vano orgoglio e della nostra follia.
Per ricostruire un tessuto spirituale, la nostra società deve superare le secche del secolarismo, cioè del progressivo, deliberato, tenace rifiuto di ogni influenza religiosa nell’ambito della vita civile e quasi dell’orrore nei confronti della dimensione del sacro. Il secolarismo rappresenta, per un corpo sociale, l’equivalente di quel che sarebbe una annosa siccità nei confronti della vegetazione, ossia il venir meno, per le piante, dell’elemento indispensabile per la loro vita e per la loro crescita, oltre alla luce del sole: l’acqua. Così come le piante non possono vivere senza l’acqua, così una società non può vivere senza conservare il senso del sacro e senza coltivare al suo interno la dimensione del soprannaturale e del divino.
Una società che recida le proprie radici spirituali corre verso il suicidio: perché il bisogno di Dio fa parte della natura umana, e una società – che è fatta di esseri umani, e non di macchine -, negando a se stessa il proprio alimento spirituale, si avvia incontro alla consunzione e alla morte. Le apparenze possono anche ingannare; specialmente se l’ipertrofia della tecnica simula le apparenze di un vitalismo inesausto, titanico, prometeico: ma all’occhio esperto non può sfuggire la differenza che passa tra una società realmente viva e vitale ed una società intimamente moribonda e malata di gigantismo. Anzi, le dimensioni spropositate delle cose e l’efficienza sempre più avveniristica della tecnologia sono l’indizio pressoché infallibile del pessimo stato di salute, se non della vera e propria agonia, in cui versa un determinato corpo sociale. L’uomo moderno ha bisogno di ben altro che macchine, diceva lo scrittore francese Drieu La Rochelle, per affrontare i problemi che lo assillano da ogni lato.
Il secolarismo è il risultato di una filosofia che si è allontanata non solo da Dio, ma dal centro vitale dell’uomo stesso: e, dunque, di una filosofia intimamente, profondamente anti-umana. Una tale filosofia si accompagna — anche questo è fisiologico — a slogan e parole d’ordine che proclamano la loro sollecitudine per i bisogni dell’uomo, per la verità, per la giustizia, e che sanciscono, nel modo più solenne ed enfatico, i suoi diritti, veri o presunti che siano (in genere, tuttavia, parlando il minimo indispensabile dei doveri, che pure sono il corrispondente, logico ed etico, di qualsiasi discorso sui diritti). Di conseguenza, è necessario smascherare l’inganno, la truffa insita in questa strategia del doppio binario: occorre denunciare con forza che, se si vogliono mettere al centro i diritti, bisogna fare leva sui valori; e che nessun valore può prescindere dal bisogno più profondo della natura umana: il bisogno di Dio.
La cultura moderna pretende di poter estendere e proteggere i nostri diritti, in quanto saprebbe riconoscere i nostri bisogni; ma vorrebbe farci credere che questi ultimi siano di ordine pressoché esclusivamente materiale: in pratica, poco più del mero inseguimento del miraggio consumista, che ci incatena al circolo vizioso della crescita illimitata (che è una contraddizione in termini ed una impossibilità logica) e del consumo compulsivo di sempre nuovi beni e servizi, peraltro sempre più inutili, se non francamente dannosi. Dunque, occorre denunciare la menzogna: perché non di solo pane vive l’uomo; e chi pretende di affermarlo, magari servendosi del nobile pretesto di voler instaurare la giustizia in terra, va contro ciò che è umano.
Abbiamo bisogno di tornare a ciò che è autenticamente umano, per poter socchiudere uno spiraglio sulla dimensione del divino. Le due cose vanno di pari passo. Troppo a lungo ci è stato insegnato, da cattivi maestri, che tutto ciò che serve Dio, rappresenta una alienazione ed un regresso per l’umanità: ma è vero l’esatto contrario. Nella ricerca del divino, l’uomo si ritrova e si realizza in ciò che possiede di più specificamente umano: la dimensione spirituale. Non siamo stati fatti per vivere come bruti, ammoniva Dante, ma per seguire la virtù e la conoscenza.
Virtù e conoscenza ci portano verso Dio, perché devono ancorarsi in qualcosa che non sia effimero, che non sia transitorio, né opinabile: in qualcosa di saldo e certo, fuori dalle paludi di ogni specie di relativismo. Il relativismo è inumano, come lo è il secolarismo, perché entrambi negano e vorrebbero sopprimere alla radice ciò che fa dell’uomo, l’uomo: la sete ardente di Dio.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash