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28 Luglio 2015Si dice e si ripete, ed è esatto, che la Lieta Novella cristiana è annunciata a tutti gli uomini, ma specialmente ai poveri: ma chi sono codesti "poveri"? A quale categoria umana appartengono: economica, sociale, spirituale, morale?
Cerchiamo lumi nel Catechismo degli adulti, compilato a cura della Commissione Episcopale per la dottrina della fede («Signore, da chi andremo?» (Roma, Edizioni Conferenza Episcopale Italiana, 1981, pp. 29-36), si dice, fra l’altro:
«Agli ascoltatori Gesù rivela che è arrivata l’ora del grande intervento di Dio per gli uomini: viene il suo Regno. Egli dichiara, in modo preciso, in favore di chi esso è inaugurato e come entra nella storia: il regno di Dio, attuandosi, porta la salvezza ai poveri, la libertà ai prigionieri, e agli oppressi, la guarigione ai malati. Può essere facile capire chi sono i prigionieri, gli oppressi e i malati, ma i poveri a cui si riferisce Gesù, chi sono? Molti chiamano poveri soltanto coloro che sono privi di mezzi di sussistenza; c’è al contrario chi dà alla parola un significato talmente spirituale, da ritenere che qualsiasi ricco possa tranquillamente essere uno di loro. […] I poveri che la tradizione biblica descrive particolarmente nei Salmi e nei profeti, sono le persone di umile condizione sociale, facile preda dei potenti, incapaci di potersi fare o di ottenere giustizia. Essi sentono fortemente il bisogno di affidare a uno più potente dei potenti, a Dio, la loro causa, e da lui aspettano fiduciosi la giustizia. Infatti, secondo la concezione dei popoli dell’oriente e di Israele, la giustizia di un re non consiste prima di tutto nella imparzialità delle sentenze giudiziarie, ma nella difesa ch’egli prepara per i deboli, le vedove e gli orfani. È quindi un "lieto" annunzio quello di Gesù, perché proclama: Dio ha deciso, "oggi", di intervenire in favore dei poveri, per capovolgere la loro condizione. Gesù anzi insiste dicendo che l’intervento di Dio è già in atto. […] Quel cambiamento radicale che Dio compirà alla fine dei tempi — quando asciugherà ogni lacrima, e allontanerà ogni lutto, lamento e affanno — già si vede nelle guarigioni dei malati. In esse i "poveri" possono scorgere che la lieta notizia dell’intervento di Dio è veramente in loro favore. Acquista così certezza la prima consolante beatitudine di Gesù: "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio" (Lc 6,20). […] I poveri di Gesù sono le folle stanche, scoraggiate, senza una guida, che egli sfama di pane e di parola di Dio. Sono malati che s’affollano intorno a lui, coloro che suscitano la sua compassione e sollecitano il suo intervento: come la vedova alla quale risuscita il figlio, la straniera che implora la guarigione della figlia. Sono tutti quelli che la gente è solita emarginare o evitare: i bambini chiassosi; il cieco che invoca ai bordi della strada la luce degli occhi; i lebbrosi che la legge ebraica voleva isolati nel deserto; una donna sofferente di perdite di sangue anch’essa costretta a una separazione mortificante…Gesù li accoglie di preferenza, li guarisce e ne esalta la fede. […] Anche tra i ricchi Gesù annunzia il Regno che viene. Ma condanna i mali che la ricchezza trascina con sé: vede il ricco prigioniero dei suoi beni portato a escludere ogni altro valore, a considerare i suoi simili strumento della sua avidità. […] Il Regno dunque è pere tutti, a condizione che l’uomo non rimanga schiavo» di sé e delle cose e decida di seguire Cristo. Seguire Cristo significa incontrare i poveri. Sulla propria strada. L’aver dato da mangiare all’affamato, vestito l’ignudo, visitato il malato o il carcerato, sarà titolo determinante al momento del giudizio definitivo. E quel giudizio finale è già in atto oggi su ogni nostra giornata. […] Ma decidersi per i poveri non basta. Gesù chiede di più, e cioè, che ciascuno di noi sui faccia volontariamente "povero". È il programma di vita proposti da lui e che i suoi seguaci dovranno vivere nello spirito delle beatitudini. […] Un’altra immagine evangelica della povertà che Matteo mette in particolare rilievo è l’invito di Gesù a "farsi piccoli". Diventare come bambini: cin questa immagine Gesù non indica un cammino all’indietro, un ritorno al’innocenza inconsapevole e ignara. La fanciullezza evangelica è invece la piena maturità dell’uomo che, libero da tutti gli idoli, lascia che solo Dio operi in lui e attraverso di lui. Anche il peccatore che nel pentimento umilia a Dio la propria miseria è un povero "in spirito", perché poveri, secondo il messaggio di Gesù, sono tutti quelli che aprono il cuore al dono di Dio e ripongono in lui solo la loro forza. Al contrario, Dio rifiuta la presunzione di quanti si credono giusti, ricchi cioè della loro esteriore onestà, e si ritengono meritevoli di incondizionata approvazione. Per loro Gesù pronunzia parole molto dure e un giudizio senza appello.[…] Gesù ama i poveri e i piccoli e vuole dimostrare loro tutto il suo apprezzamento. È sempre il "povero" che conquista Gesù. Così, in uno dei momenti più significativi della sua missione, esclama: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché che ai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (Lc 10, 21). È sullo sfondo di questo atteggiamento che si colloca la pagina delle beatitudini. Esse rispecchiano il giudizio profetico della preferenza che Dio riserva ai poveri, cioè ai non potenti, agli afflitti senza rancore, ai desiderosi più di giustizia che di pane, ai comprensivi del dolore altrui, a coloro che sono operatori di pace, ai perseguitati.»
"Povero", dunque, in senso evangelico, non è semplicemente, e non è soprattutto, chi è povero in senso economico, ma chi è capace di farsi piccolo, di ridimensionare il proprio ego, di accogliere con umiltà e con fede la Lieta Novella; in secondo luogo, chi è bisognoso di tutto, in senso morale specialmente, ma, nello stesso tempo, desideroso, assetato e bramoso di qualcosa che possa saziare la sua sete di giustizia, bontà e verità.
Di conseguenza, viene a cadere la sostenibilità di tutto il vuoto cicaleccio dei cattolici che si autodefiniscono "progressisti", e che s’immaginano di essere i "veri" cristiani, solo perché hanno fatto indigestione di marxismo, e non hanno il fegato di ammettere che il loro Dio è miseramente crollato dal piedistallo; viene a cadere la legittimità della cosiddetta "teologia della liberazione", che, avendo mutuato dal marxismo, più o meno sotto mentite spoglie (e, pertanto, con cattiva coscienza), le categorie marxiste della lotta di classe e della contrapposizione irriducibile fra proletariato e borghesia, ha creato confusione e disorientamento, fin troppo a lungo, tra le file dei cattolici socialmente impegnati.
Del resto, che cosa vuol dire essere un cattolico impegnato nel sociale? Il cattolico è un cattolico e basta, oppure non è; ed essere cattolici vuol dire credere nel Vangelo e nella Tradizione, secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica. È molto semplice. Se il cattolico sceglie la strada dell’impegno sociale, compie una scelta legittima, ma la compie a titolo personale; e se una quota di cattolici compie quella scelta collettivamente, compie anch’essa una scelta legittima, ma autonoma, che non impegna in modo prioritario il loro essere cattolici, ma il loro essere uomini.
Ora, è chiaro che un cattolico è anche, evidentemente, un essere umano, e dunque, come tale, portatore di bisogni ed istanze specificamente umani, uno dei quali è, senza ombra di dubbio, l’ansia di giustizia sociale. Bisogna sempre tener presente, tuttavia, che la "giustizia sociale" è parte di un’ansia molto più vasta, che qualifica il cristiano cattolico in quanto tale: l’ansia di giustizia, senz’altra specificazione. È ansia di giustizia anche quella che deve contraddistinguere i rapporti del marito con la moglie e della moglie col marito, del genitore con il figlio e del figlio con il genitore, del vicino col vicino e del lavoratore con i suoi compagni, con i suoi datori di lavoro, con i destinatari dell’opera delle sue mani (o della sua mente, nel caso del lavoratore intellettuale): insomma, quella che contraddistingue tutte le relazioni umane, quelle private non meno di quelle pubbliche, e perfino le relazioni degli esseri umani con le creature non umane, con le cose, con l’ambiente, con la Terra, con l’Universo. Non è cristiano, ad esempio, né cattolico, ingannare l’amico, maltrattare il coniuge, opprimere il figlio, sfruttare il dipendente, odiare il datore di lavoro, essere crudeli con gli animali, inquinare l’ambiente, avvelenare la terra su cui viviamo, rendere inabitabile il nostro pianeta.
Ecco, allora, che la cosiddetta "opzione preferenziale per i poveri", di cui parla la Chiesa cattolica, e di cui parlano sovente i teologi e gli scrittori cattolici, non è in alcun modo, né potrebbe esserlo, una opzione di tipo politico-sociale: i poveri di cui si parla, infatti, non sono i poveri tout-court, e, inoltre – ciò che più conta -, i poveri non hanno sempre ragione per il fatto di essere poveri, ma hanno ragione per il fatto di essere affamati e assetati di verità, di giustizia e di bontà. E questo, speriamo, è un concetto che dovrebbe sgombrare il campo da molti, troppi equivoci, e mettere ciascuno di fronte alle proprie responsabilità: se il marxista vuole odiare i ricchi e predicare la rivoluzione dei poveri contro di essi, lo faccia pure, ma per carità, che non pretenda di farlo con il Vangelo alla mano, lasci perdere Gesù Cristo e si astenga dal confondere il Vangelo di Karl Marx con quello del Figlio di Dio.
Ora, la Chiesa cattolica, e tutti i cattolici con essa, sacerdoti e laici, fanno benissimo a sentirsi più vicini ai poveri che ai ricchi: perché nel Vangelo si dice chiaramente che, per farsi discepoli di Gesù, bisogna lasciare le proprie ricchezze materiali, e mettersi, sotto la Sua guida, alla ricerca di quelle spirituali; e questo per il fatto – che è una pura e semplice constatazione, e non un giudizio – che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (concetto che non cambia di sicuro se, al posto del cammello, si mette, come taluni esegeti pensano, una gomena da marinaio: quel che conta, è l’estrema difficoltà, per non dire la palese impossibilità, della cosa).
Però, attenzione: Gesù non ha mai condannato il ricco in quanto ricco, ma in quanto incapace, nella stragrande maggioranza dei casi, di non divenire schiavo delle proprie ricchezze, perché «dove c’è il vostro tesoro, lì ci sarà il vostro cuore», ed, evidentemente, non è possibile seguire due padroni: Dio e Mammona, cioè la cupidigia di ricchezze. Ne consegue che, per Gesù, la vera povertà e la vera ricchezza sono quelle dell’anima; e, se è vero che «da questo vi riconosceranno come miei discepoli: se avrete amore scambievole gli uni per gli altri», cioè se sarete concretamente solleciti dei bisogni altrui, è altrettanto vero che il "bisogno" umano, in termini cristiani, non è esclusivamente, e nemmeno principalmente, quello di ordine economico e sociale, ma qualcosa di molto più vasto, che investe la nostra umanità nella maniera più ampia e profonda possibile: e cioè, torniamo a dirlo, quella sete totale, assoluta, inestinguibile, di Verità, Bontà e Giustizia, che fa del seguace di Cristo un pellegrino di questo mondo, in cerca della sua Patria eterna.
Ebbene, vi sono due maniere di tradire il messaggio cristiano, apparentemente opposte, in realtà complementari: una è quella di minimizzare il monito di Cristo conto l’avidità di ricchezze; l’altra è quella di assolutizzare le ragioni del povero, che è tale in senso puramente materiale. Fare della battaglia per la giustizia sociale una ragione di vita è cosa legittima e, in effetti — a nostro giudizio — perfino lodevole; purché non si perda di vista il rapporto fra mezzi e fini: perché il fine, per il cristiano, è sempre la sequela di Cristo, che non potrà mai esplicarsi nella contrapposizione sociale e nell’odio di classe. In altre parole, la battaglia per la giustizia sociale sarà una battaglia legittima e coerente, per il cristiano, se sarà coerente con l’insegnamento generale della Buona Novella: l’amore verso Dio e verso gli uomini, e la capacità illimitata di perdonare, per poter essere perdonati da Colui che, solo, è capace di farlo, anche in presenza delle colpe più gravi (a patto, beninteso, che vi siano vero pentimento e immediata disponibilità ad espiare).
Non è un vero cristiano colui che fa della lotta per la giustizia sociale il fulcro del Vangelo; e non lo è, a maggior ragione, se persegue quella finalità mediante gli strumenti della lotta di classe, ossia dell’odio e del rancore, nonché della volontà di annientamento del "nemico": perché, per il cristiano, non vi sono nemici, ma solo fratelli che stanno sbagliando, e che meritano compassione, mai odio, e rispetto ai quali è lecito difendersi, in caso di grave minaccia, ma senza eccedere, e senza restituire gratuitamente, cioè ingiustamente, male per male. Altrimenti si ricadrebbe nella legge del taglione: che è precisamente ciò che Cristo ha inteso superare e abolire per sempre. Chi non ha compreso questo non è un seguace di Cristo, ma dell’antico Giudaismo: si è dimenticato, puramente e semplicemente, del Nuovo Testamento, cioè del cuore della Buona Novella. Dio è Padre: questo è venuto ad annunciare Gesù; ed è Padre paziente e misericordioso, sempre pronto a perdonare il figlio prodigo che si pente. Come potrebbero, i suoi seguaci, non saper fare altrettanto?
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash