La Resistenza è l’erede legittima del Risorgimento?
28 Luglio 2015
Alexander Dalrymple fu l’ultimo geografo ad abbandonare il mito della Terra Australe
28 Luglio 2015
La Resistenza è l’erede legittima del Risorgimento?
28 Luglio 2015
Alexander Dalrymple fu l’ultimo geografo ad abbandonare il mito della Terra Australe
28 Luglio 2015
Mostra tutto

Il futuro non è nella mani dell’uomo, ma di Dio

Quanto meno a partire da Machiavelli, il pensiero occidentale ha pensato la storia, e continua a pensarla ancora oggi, in termini esclusivamente antropocentrici: altro non vede, in essa, che il dispiegarsi dei disegni umani, dei fattori umani, delle umane strategie; di conseguenza, ritiene improprio, scorretto, e addirittura delirante, introdurre categorie extra-umane per tentar di spiegare il divenire storico.

Questa idea presuppone una grande fiducia nell’uomo, che, infatti, è stata la molla fondamentale del Rinascimento; dopo di che la fiducia è diventata qualcosa di più, è diventata auto-glorificazione e assolutizzazione dell’umano ed esclusione del divino; e l’uomo è diventato, ai propri occhi, la sola realtà significativa nel contesto dell’esistente, anzi, per dirla tutta, la sola realtà pensabile — pensare qualcosa d’altro, significava cadere nell’alienazione. Marxismo e psicanalisi freudiana hanno dato un contributo decisivo a questa rigorosa esclusione del soprannaturale e a questa assolutizzazione dell’umano; e, benché entrambi abbiano infine rivelato la loro natura ideologica e pseudo-scientifica, i loro cadaveri continuano ad ingombrare il paesaggio della cultura moderna, a snaturare i giudizi, a falsare le prospettive. Insomma, anche se è difficile dirsi ancora marxisti e freudiani, i pregiudizi antropocentrici, materialisti e anti-spirituali di queste due correnti continuano a pesare, per pura e semplice forza d’inerzia.

Già a partire dall’Illuminismo, del resto, l’uomo è arrivato a definire la sola maniera possibile di pensare la storia: quella del Progresso. La storia è la lunga marcia del Progresso per affermare se stesso, contro le forze "oscure" che tentano, peraltro invano, e solo temporaneamente, di ostacolarlo. Questo ottimismo eretto a sistema è passato nell’idealismo hegeliano, con il glorioso dispiegarsi dello Spirito nella storia universale, e, naturalmente, nel marxismo, con la marcia trionfale del proletariato verso l’emancipazione dallo sfruttamento borghese. Esito scontato (tanto da rendere problematico il concetto della necessità di un immediato impegno rivoluzionario): è fatale che così debba essere, perché tale è la linea del Progresso: la borghesia cederà al proletariato, così come l’aristocrazia feudale ha ceduto alla borghesia. È la legge dialettica di Hegel trasportata nel materialismo storico di Marx e, ovviamente, capovolta, ossia — come avrebbe detto quest’ultimo – «rimessa sui piedi anziché sulla testa».

Ora, se la storia è interamente, totalmente nelle mani dell’uomo, allora anche il futuro lo è: il futuro diventa l’esito inevitabile della progettualità umana, garantita dalla razionalità intrinseca dell’evoluzione storica. Ma chi lo dice che la storia umana sia una realtà in evoluzione, ossia diretta da una condizione meno perfetta ad una condizione più perfetta? E chi può garantire, sul piano logico, oltre che sul piano pratico, che si dia un Progresso illimitato, che si giustifica da se stesso, come se fosse un fatto auto-evidente? Se progredire significa andare avanti, allora si va avanti verso che cosa? «Andare avanti» è un progresso, sempre e comunque, indipendentemente dalla direzione che si prende e dal luogo in cui si finisce per giungere? Se così fosse davvero, che ben misera cosa sarebbe la filosofia del Progresso; quale meschina adorazione dell’esistente, quale che esso sia, buono o cattivo, giusto o sbagliato, vero oppure falso! Per pensare la storia in questi termini, non c’è davvero bisogno della filosofia: basta essere dei volonterosi lustrascarpe, e precipitarsi in "soccorso" del vincitore di turno…

Eppure, a ben guardare, le filosofie del progresso – tutte, dalla prima all’ultima – hanno questo in comune, appunto: l’attitudine a farsi mosche cocchiere del nuovo che avanza; perché, se il nuovo è sempre meglio dell’antico; se la rivoluzione è il valore positivo, che si oppone a quello negativo della conservazione; se i giovani hanno sempre e comunque ragione, mentre gli anziani hanno torto, per il fatto di essere anziani, cioè di rappresentare il passato: ebbene, allora non c’è altro da fare che sedersi sulla groppa di questo elefante inarrestabile, chiamato Progresso, e lasciarsi portare da lui: ovunque vada, si sarà sempre nel giusto; l’importante è non restare fermi, e soprattutto non guardare mai indietro, per nessuna ragione.

Invano Kierkegaard insegnava che il movimento esistenziale "giusto" è la ripresa, vale a dire il procedere ricordando: gli araldi del Progresso illimitato non vogliono ricordare nulla, vorrebbero perfino negare che il passato sia mai esistito, squalificarne la legittimità ontologica: se dipendesse da loro, lo abolirebbero per decreto, e lascerebbero sussistere solo il futuro. Neppure il presente sfuggirebbe alla loro furia iconoclasta: perché dietro ogni adoratore del Progresso non c’è un innamorato della vita, cioè del presente, ma un odiatore della vita, cioè uno che preferisce il non essere all’essere, l’eterno non-ancora.

Solo lì, infatti, nei paradisi artificiali dell’Utopia, il perfetto progressista può rimanere eternamente giovane, appunto perché non deve darsi il disturbo di confrontarsi con la realtà delle cose; solamente lì può giocare a essere l’eterno bambino, e fare una virtù di quella che è una patologia cronica: la sindrome di Peter Pan nell’Isola che non c’è. E quanti disastri, quanti orrori sono stati originati da un siffatto atteggiamento mentale; quante pagine mostruose della storia, grondanti lacrime e sangue, ne sono scaturite. In nome dell’Isola che non c’è, legioni di Robespierre-Peter Pan hanno indottrinato, inquisito, processato, ghigliottinato, rinchiuso nei gulag e nei lager, deportato, sterminato, annientato intere classi sociali e intere popolazioni: tutti coloro che, in un modo o nell’altro, attivamente o passivamente, hanno fatto resistenza alle «magnifiche sorti e progressive», ponendosi, così, "oggettivamente" — come era uso dire qualche anno fa — nel campo della reazione, dell’oscurantismo, dei "nemici del popolo".

In nome dei diritti del popolo, si sono perseguitati i popoli; in nome dei diritti dell’uomo, si sono perseguitati gli uomini. E come è stato possibile tutto questo, se non a partire dal fatto che Dio era stato cancellato dall’orizzonte intellettuale, spirituale ed esistenziale degli esseri umani, e goffamente sostituito da idoli posticci, primo dei quali il Progresso illimitato e assolutizzato, il Progresso come sinonimo di Luce, di Civiltà, di Amore, di Bene? Eppure, una seria e approfondita riflessione su tutto questo non è ancora stata fatta; neppure dopo gli orrori del XX secolo – orrori quali mai la storia umana aveva visto e conosciuto, se non negli incubi più deliranti di qualche fantasia apocalittica -, la cultura dominante e politicamente corretta ha avuto l’onestà, e soprattutto l’umiltà, di raccogliersi in pensosa meditazione sul perché tali cose siano accadute e cosa le abbia evocate, favorite, rese possibili.

Ha scritto Charles Gerber, un biblista di fede avventista, nato nel 1904 e morto nel 1978, nel suo libro «Dal tempo all’eternità» (titolo originale: «Les sentiers de la foi»; traduzione dal francese di Maria Teresa Cesario, Impruneta – Firenze, Edizioni ADV, 1983, pp. 72-73):

«Le misure della Grande Piramide di Cheope hanno interessato i vari ricercatori. Tenendo conto di quelle del secondo passaggio, che conduce alla camera del Re, Davidson — per non citare che lui — fece dei calcoli, indicati nella sua opera "La Grande Tribulation". Secondo lui, la guerra più grande, accompagnata da alcune catastrofi, doveva scoppiare la notte dal 28 al 29 marzo 1928 e terminare la notte dal 15 al 16 settembre 1936. Le sue numerose predizioni si sono aggiunte, nel museo degli errori umani, alle migliaia che nel corso dei secoli sino state date in pasto alla umana credulità.

Ben differenti e piuttosto scientifiche appaiono le teorie poco conosciute di Nicola Rémi Bruck (1818-1870), esposte nella sua opera "L’Humanité, son développement et sa durée" (1866), secondo la quale esiste una pretesa legge dei popoli che implica un secolare spostamento della civiltà da oriente verso occidente ("termine di precessione") e quindi un termine periodico quinquasecolare (esattamente 516 anni). Carlo Lagrange si sforzò, in una grande opera: "La mathématique de l’Histoire" ("La matematica della storia") e in un suggestivo libretto: "Sur la Concordance qui existe entre la Loi historique de Bruck, la Chronologie de la Bible et celle de la Grande Pyramide de Chéops" ("La concordanza esistente fra la legge storica di Bruck, la Cronologia della Bibbia e quella della Grande Piramide di Cheope") di far concordare le conclusioni di Bruck con i dati della Bibbia e le figure geometriche della Grande Piramide. I suoi calcoli prevedono un grandioso avvenimento nel 2180: la fine del mondo e la seconda venuta di Cristo. […]

A chi studia l’insieme delle predizioni umane, s’impone in modo irresistibile una conclusione e cioè che gli uomini non sono in grado di conoscer e di predire il futuro. Le loro predizioni, in genere errate, non reggono la prova del tempo, non ci sono di nessun aiuto e vengono continuamente smentite da rapidi ed inattesi avvenimenti. Si dimostra sempre più vera l’affermazione di sir J. Chamberlain: "Ogni uomo di stato che cerca di prevedere oltre i quindici giorni che seguono è un pazzo".

Le parole scritte dall’eminente storico John Clark Ridpack, nel dicembre del 1894, dovrebbero indurre gli uomini ad una maggiore modestia: "Per quanto riguarda l’avvenire, la storia è totalmente cieca. In questo mondo nessun filosofo è capace di prevedere lo svolgimento della storia fosse pure per un solo giorno. Lo storico muto sugli eventi del 1895, come dovrebbe esserlo il ciarlatano che si vanta di predire le condizioni atmosferiche della prossima stagione. L’anno nuovo nascerà e trascorrerà per compier e il suo destino nel grande calendario della vita umana. I suoi avvenimenti si susseguiranno con rigore scientifico come conseguenza di condizioni anteriori, ma nessun essere umano può esattamente predire quel che accadrà".

Il Savio lo aveva detto già molto tempo prima: "Non ti vantare del domani, poiché non sai quel che un giorno possa produrre" (Proverbi 27:1). Victor Hugo aveva ragione di scrivere: "No, l’avvenire non è di nessuno", e di aggiungere: "Sire, l’avvenire è di Dio!". […]

Sì, solo Dio conosce perfettamente l’avvenire. Egli tiene nella sua mano la sorte dei popoli e degli individui: nulla gli è celato. Gli avvenimenti futuri gli appaiono già come in un libro aperto. Egli regna al di sopra di tutti i monarchi della terra e lo stesso Principe di questo mondo, da millenni ribelle, dovrà riconoscere, prima di sprofondare definitivamente, la sovranità di Dio.

Nella Bibbia, che è la sua Rivelazione per eccellenza, Dio paragona le sue predizioni con quelle fallibili degli uomini: "Le vostre predizioni di prima quali sono? Ditecele, perché possiamo porvi mente e riconoscerne il compimento; ovvero fateci udire le cose avvenire.. Annunziateci quel che succederà più tardi e sapremo che siete degli dèi… Ecco, voi siete niente, e l’opera vostra è da nulla" (Isaia 41: 22-24). "Chi, come me, proclama l’avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? Ch’ei lo dichiari e me lo provi! Lo annunzino essi l’avvenire e quel che avverrà" (Isaia, 44: 7). "Chi ha annunziato queste cose fino dai tempi antichi e le ha predette da lungo tempo? Non sono forse io, l’Eterno? E non v’è altro Dio fuori di me" (Isaia, 45: 21). "Io sono Dio e non ve n’è alcun altro; sono Dio e niuno è simile a me; che annuncio la fine sin dal principio, e molto tempo prima predìco le cose non ancora avvenute; che dico: Il mio piano sussisterà e metterò ad effetto tutta la mia volontà" (Isaia, 46: 9,10).»

Il concetto che il futuro si trova nelle mani di Dio, e non in quelle dell’uomo, è stato chiaro ed evidente agli uomini per diverse centinaia e migliaia d’anni; è solo con la modernità che gli Europei, inebriati della propria intelligenza, se ne sono sbarazzati con disdegno, quasi con vergogna, e si sono inoltrati verso il futuro con l’orgogliosa sicurezza di possedere le chiavi per l’infallibile realizzazione del bene comune.

Eppure, basta poco per rendersi conto di quanto tale sicurezza sia gratuita e infondata. Basta pensare alla vita del singolo: quale essere umano può dire di sapere che cosa gli accadrà domani? Abbiamo smarrito la saggezza elementare della Bibbia, che era anche la stessa cosa della saggezza istintiva dei nostri nonni. Noi non possiamo dire "nostro" nemmeno il futuro più prossimo, non possiamo conoscere nemmeno quello che accadrà entro i prossimi cinque minuti. Pertanto, come possiamo immaginare di essere, collettivamente, padroni del nostro futuro a medio e lungo termine?

Troppe cose diciamo e pensiamo "nostre", che non lo sono: la Terra, per esempio, non è affatto "nostra", eppure ci comportiamo come se lo fosse. Ma ritenersi padroni del futuro, o, comunque, capaci di prevederlo, è una pazzia ancora più grande. Bisogna proprio che la filosofia moderna sia stata una lunga sequela di farneticazioni, per averci assuefatti a un’idea così balorda — e così puerile. Forse sarebbe tempo di rinsavire, di maturare, e di liberarci dalla funesta sindrome di Peter Pan…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.