
Il mondo vuol essere visto: ma da chi?
28 Luglio 2015
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28 Luglio 2015«Come la cerva assetata anela ai rivi delle acque, così l’anima mia anela a te, o Dio. Ha sete di Te l’anima mia; ha sete del Dio vivente»: così inizia il famosissimo Salmo 41, che ha offerto lo spunto a innumerevoli rappresentazioni pittoriche, musive, scultoree nelle chiese cristiane e specialmente presso le fonti battesimali; una delle più conosciute è quella che si può ammirare sul soffitto del battistero di Galla Placidia, a Ravenna, risalente alla metà del V secolo.
Veramente, il testo masoretico (ebraico) non parla di una cerva, ma di un cervo, animale che viene volto al femminile nella versione greca dei LXX, probabilmente sulla base del fatto che il verbo è, chi sa perché, al femminile Bisogna tuttavia ammettere che il traduttore che si è preso questa piccola libertà, si è dimostrato molto abile nel modificare un particolare che aggiunge drammaticità e patetismo al quadro, già potentemente pittorico, dell’animale stremato dalla sete, che avanza incerto nel deserto, sulle zampe sempre più stanche, alla affannosa ricerca di una fonte o di un ruscello che possa spegnerla; e, per analogia, dell’anima umana (altro sostantivo di genere femminile) che, torturata dal silenzio di Dio nello sterile deserto della vita, vaga alla ostinata, indomita ricerca di Quello che solo potrebbe colmare la sua solitudine, placare la sua angoscia, restituire speranza ai suoi giorni.
Nella Bibbia ebraica i Salmi 41 e 42 compaiono come due composizione distinte; tuttavia si tratta, con ogni evidenza, di un unico testo, che è stato poi suddiviso per ragioni estrinseche. Lo dimostra, fra l’altro, il ritornello che conclude le tre parti di cui il salmo è costituito, e che si trova, attualmente, a metà e alla fine del Salmo 41 e, di uovo, a conclusione del Salmo 42: «Perché dunque stai desolata, anima mia? / e gemi su di me? / Spera in Dio! Di nuovo renderò grazie: / egli è il mio salvatore e il mio Dio!»
Molto belle le riflessioni svolte dal biblista Noël Quesson nel suo libro «Il messaggio dei Salmi» (titolo originale: «50 psaumes pour tous les jours», Droguet, Ardant, Limoges; traduzione dal francese di Lorenzo Bacchiarello, Roma, Edizioni Borla, 1980, vol. 2, pp. 61-3:
«…Tema della preghiera è il "desiderio di vedere Dio", incontrarlo nel suo Tempio". E per drammatizzare il tema Israele si dipinge come un levita, servo del Tempio, esiliato lontano dalla Casa di Dio, privato delle belle cerimonie del passato, sommerso dai flutti della disperazione, circondato dai nemici pagani che lo irridono dicendogli: "Dov’è il tuo Dio?".
Dev’essere un’epoca ben difficile, l’ateismo dev’essere trionfante se si è potuto arrivare a un tale "rovesciamento", a una simile domanda, da togliere il fiato. Eppure l’uomo (il popolo) che qui prega coraggiosamente si raddrizza,m pur sotto il dubbio che lo amareggia: in fondo è una specie di volontà di reagire ciò che tutto domina e in modo particolare vien fuori nel ritornello: "Perché dunque gemi, anima mia? Spera in Dio! Di nuovo renderò grazie.". […]
"Come un cervo assetato anela all’acqua viva… così ha sete di Dio l’anima mia… ". Gesù si è esplicitamente presentato come colui che veniva a calmare quella sete. "In piedi nel Tempio,m Gesù cominciò a proclamare a piena voce: ‘Se qualcuno ha sete venga a me e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Fiumi d’ACQUA VIVA scorreranno dal suo seno. Indicava così lo SPIRITO che avrebbero ricevuto quanti avessero creduto in lui; lo Spirito infatti non era ancora stato dato, perché Gesù non ancora era stato glorificato" (Gv 7, 37-39).
Il desiderio ardente di "ritrovare la Casa di Dio", la "nostalgia della Presenza", la "sofferenza dell’esilio…" Gesù ha intensamente vissuto tutti questi sentimenti, osando esprimerli in pubblico ai suoi apostoli: "Generazione incredula e perversa, fino a quando resterò con voi? Fino a quando potrò sopportarvi?" (Mt 17, 17). Questo salmo ci aiuta a comprendere che Gesù, innamorato del Padre, ha dovuto veramente soffrire d’essere "lontano da Lui", "circondato da increduli". Addirittura questo significato dà alla propria morte: "Se mi amaste sareste contenti perché torno al Padre" (Gv 14, 28).
I primi commentatori cristiani, i Padri della Chiesa, applicarono questo salmo a Gesù perseguitato perché si proclamava "Figlio di Dio". "Oltraggiato dai miei avversari, sono straziato fino all’osso, io che ogni giorno sento dire: dov’è il tuo Dio?"Co queste parole i suoi nemici schernivano Gesù in croce: "Se Dio lo ama, lo salvi Lui!" (Mt27, 43).
Una volta di più, il miglior modo di pregare questo salmo è pregarlo "con Gesù". […]
"Dov’è il vostro Dio?". Quanto è moderno questo interrogativo. Qualsiasi credente d’oggi si trova attorno persone che non credono. Nella maggior parte degli ambienti scolastici i giovani che credono in Dio sono una minoranza, spiritualmente isolati. Lo stesso avviene in gran parte degli ambienti di lavoro. Padre Low nel suo libro "Testimoni dell’invisibile" descrive questo deserto spirituale in cui siamo tutti costretti a vivere: "Tutto viene pensato, organizzato fuori di Dio, il socialmente assente. Non si tratta poi neanche di anticlericalismo, ma di indifferenza cortese e fredda: "Dio? Cosa volete che me ne faccia?" Perché Dio è diventato come quelle lettere che la posta restituisce con la dicitura: "sconosciuto, trasferito. Sì, chi crede veramente in Dio non può non venire ferito nel suo amore nel vederlo continuamente sbeffeggiato, relegato nel magazzino degli accessori inutili, dimenticato… catalogato come un ricordo ei tempi andati!". In un contesto del genere, l’uomo che prega veramente appare come una specie di originale. […]
"Essere preso da Dio, in una generazione che non conosce Dio". "Per secoli gli uomini hanno tratto motivo di stupore dalla presenza di questo o quello spirito caparbio il quale osava affermare che ‘Dio non gli diceva niente’. Oggi invece ci si stupisce che esistano persone inesplicabilmente prese dalla passione di Dio. Se una società che si definiva credente disprezzava i primi, l’odierna società non credente tratta con commiserazione gli altri… Se sei uno di loro, non la finirai più di dover spiegare perché a te "Dio dice qualcosa". Dirai magari: è così, se non hai voglia di difenderti… se la sua presenza non cessa di importisi giorno e notte… se ti senti intimamente costretto a dire: eppure c’è, ed è il mio Amore… Saprai che porti un segreto che non è cosa tua soltanto, ma dalle dimensioni più vaste dell’universo… gli altri se ne accorgano o no! Saprai che sei l’infimo obiettante che per la sua sola esistenza, per la sua preghiera, impedisce alle filosofie, alle scienze, alle società di chiudere una volta per sempre il loro sistema" (A. M. Besnard, "Propos intempestifs sur la prière").
Dovè il tuo Dio? Io non posso fartelo vedere, ma ti do appuntamento per il giorno della manifestazione gloriosa del Signore… Quando anche tu Lo vedrai. Nell’attesa, per me è così: sapessi quanto sono felice di conoscerlo, e amarlo di già!
"Di nuovo renderò grazie! A Dio, che è tutta la mia gioia!" "La mia gioia nessuno può rapirmela", diceva Gesù. E lo diceva quel giovedì, vigilia della sua morte, annunciando il dono del "suo Spirito".»
Per l’uomo senza Dio, senza fede nella bellezza e nell’armonia del mondo, senza senso del mistero né senso del limite, la vita si riduce, realmente, ad un vagare affannoso, spossante, disperato, nelle sterili lande d’un deserto senza fine. I nostri antenati avevano ben chiara questa verità e stentavano a credere che qualcuno potesse essere così pazzo da volersi privare, con le sue stesse mani, del bene prezioso, insostituibile, della fede in Dio. I peccatori c’erano, eccome; ci sono sempre stati e sempre ci saranno: ma un conto è allontanarsi da Dio, un altro conto è negare che Dio esista, smettere di cercarlo, smettere di sentirne la presenza — e, con ciò, negare anche la realtà del peccato.
Poi è venuta la stagione del razionalismo: prima i libertini, poi gli illuministi, hanno proclamato che credere in Dio è solo una forma di debolezza, e che non di Dio ha sete l’anima umana, ma di piaceri; anzi, hanno proclamato che l’anima non esiste, che esistono solo i sensi e la felicità coincide con la soddisfazione dei desideri sensibili. Loro, gli uomini forti, hanno trovato nell’uso libero e spregiudicato della ragione uno scopo più che valido per la vita umana, bandendo ogni forma di metafisica e ogni credenza nel soprannaturale. Hanno lasciato queste cose alle plebi e alle vecchine e si sono inorgogliti di poter bastare a se stessi.
A dare man forte a costoro, dopo un paio di secoli di razionalismo edonista e relativista, si sono aggiunti, buoni ultimo, ma sempre in tempo per coprirsi di ridicolo, quei sedicenti teologi che han proclamato la necessità e quasi il dovere, per l’uomo, di fare come se Dio non esistesse; hanno affermato che Dio vuole che l’uomo diventi adulto e che la smetta di ricorrere a lui come ad un "tappabuchi"; insomma, che l’uomo deve sbrigarsela perfettamente da solo, con le sue forze, senza aspettarsi alcunché da Lui.
Che cosa rimanga da fare, a un Dio siffatto, non è ben chiaro; sarebbe press’a poco come dire che il bravo genitore è quello che vuol rendere autonomi i suoi figli — e questo va benissimo; e che, per raggiungere un tale obiettivo, scompare, si nasconde, si rende introvabile, costi quello che costi, accada quel che deve accadere: anche se il bambino stesse per precipitare nel pozzo, quel padre non correrebbe in suo aiuto, perché, se lo facesse, non lo aiuterebbe a diventare adulto, ma si comporterebbe da padre invadente e iper-protettivo. I figli, insomma, è meglio vederseli morire davanti agli occhi, piuttosto che accettare lo scorno di non riuscire a vederli diventare autonomi e bastanti a se stessi.
Bella pedagogia, non c’è che dire: non fa una grinza. E bellissima teologia: l’hanno chiamata, questi luminari del pensiero, "teologia negativa", come se l’ossimoro potesse far passare in ombra il fatto che si tratta di una pura e semplice assurdità. Parlare di teologia negativa è, più o meno, la stessa cosa che parlare delle calende greche, o dell’ottavo giorno della settimana: il fatto che si tratti di un’espressione ingegnosa non toglie il fatto che sia sommamente ridicola. Ma tant’è: in una società dove tutti vogliono fare a gara per mostrarsi sempre e comunque "moderni", qualunque cosa ciò voglia dire (in genere, significa in linea con l’ultimo grido del progresso), i teologi non hanno voluto essere da meno. Dimenticandosi, o facendo finta di non vedere, che se Dio si nasconde, non è perché gli uomini non lo trovino, ma perché lo trovino, dopo averlo cercato con tutte le loro forze. Altrimenti, che senso ha dirsi "teologo"? Tanto varrebbe che un siffatto teologo si chiamasse, molto più onestamente, "illusionista": spacciatore di quello che non c’è.
Ma torniamo alla cerva che anela ai rivi delle acque. L’abbiamo paragonata all’anima umana che si trascina in un deserto, alla ricerca di ciò che può spegnare la sua sete; anche Gesù, nell’episodio della Samaritana, ricorre a una metafora del genere: la parola di Dio è simile all’acqua viva, che spegne per sempre la sete ardente dell’anima. L’acqua fresca, zampillante, l’acqua che scorre, è, da sempre, simbolo di vita: simbolo potente, immediato, tanto più in un ambiente geografico segnato dall’aridità, come l’antica Giudea; simbolo che ricorre nella liturgia sacramentale del Battesimo, indicando la nascita dell’anima dall’amore vivificante di Dio. Gesù stesso si fece battezzare nell’acqua del Giordano, un fiume dal corso placido, ma che trae la sua origine dalle nevi del poderoso Monte Hermon, che alimentano numerosi ruscelli e torrenti.
La cerva ha un sesto senso, che la guida nel deserto assolato alla ricerca dell’acqua; anche l’anima possiede un senso interno, misterioso, preziosissimo, che la guida nella ricerca di Dio. Bisogna imparare ad ascoltarlo, a servirsene, a fidarsene: la ragione non basta, occorre — a un certo punto — qualche cosa di più grande, di più ampio: la fede; ma la fede non viene, se non è concessa dall’alto, mediante la Grazia: occorre chiederla e chiederla, senza stancarsi mai; bussare e bussare, come il visitatore molesto, che vuole farsi aprire in qualunque momento, fosse pure nel cuore della notte. Perché è stato detto che la porta verrà aperta a chi non si stanca di bussare, e che chi non si stanca di cercare, troverà quello che cerca. Questo è ciò che hanno sempre saputo, e fermamente creduto, le persone semplici, i bambini, le vecchiette; così hanno saputo e creduto anche alcuni dei più grandi spiriti di ogni tempo, alcune delle intelligenze più raffinate, alcuni degli ingegni più eletti. Gli uni e gli altri hanno trovato di che spegnere la loro sete, cercando Dio con cuore umile e mansueto: perché nella ricerca di Dio non è favorito chi ha letto più libri o fatto ragionamenti più sottili. Davanti al mistero di Dio, anche i ragionamenti più sottili si riducono a poco più del balbettio d’un bimbo di pochi mesi.
Dio è un mistero d’amore, che si nega ai cuori orgogliosi e alle menti superbe. Chi non è capace di farsi piccolo e docile, non lo troverà; né lo troverà chi vorrebbe avere tutto e subito, senza sforzo, senza attesa, né sacrificio. Però chi ha sete non si stanchi di cercare, non si scoraggi, non s’arrenda…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash