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La filosofia della natura di Girolamo Fracastoro parte dalla psicologia della conoscenza

Nella sua opera «Turris sive de intellectione dialogus», stampato a Venezia nel 1555, il padovano Girolamo Fracastoro (nato intorno al 1478 e morto nel 1553) delinea una teoria della conoscenza come processo psicologico che fornisce le basi teoriche per la sua speculazione intorno alla filosofia della natura.

Così Ernst Cassirer ha messo in rilevo il significato del pensiero di Girolamo Fracastoro nella elaborazione del moderno concetto di natura nella filosofia europea (in: E. Cassirer, «Storia della filosofia moderna»; titolo originale: «Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit», traduzione italiana di Luciano Tosti, Newton Compton Editori, Roma, 1976, vol. 1, pp. 218-23):

«… Il dialogo di Fracastoro sulla conoscenza ("De intellectione") è, a quanto pare, completamente dimenticato dalla storia della filosofia; eppure esso costituisce un importante membro di collegamento e un confine tra la scolastica e il pensiero moderno. La mutata concezione vi emerge, certo, solo a poco a poco e sulle prime ancora rivestita del linguaggio concettuale medievale. È in particolare la teoria della "specie" che viene accettata da Fracastoro per spiegare i processi percettivi senza ulteriori indagini. Che gli oggetti i quali non toccano direttamente la nostra anima, possano restarci inconsci, che, una volta svanita la loro diretta impressione, siamo in grado di ricrearli con il ricordo, è un fatto secondo lui non altrimenti spiegabile se n on inserendo un essere mediano che dalle cose passa in noi, rimanendovi come elemento stabile. Ogni conoscenza, quindi, è non un prender possesso dell’oggetto, bensì l’indiretta rappresentazione che di questo ci dà un simbolo sensibile. Che in tale rappresentazione l’anima rappresenta un’attività propria e autonoma, viene contestato esplicitamente: in tal caso, infatti, ci si dovrebbe comportare con il medesimo contenuto in un modo che fosse insieme creativo e ricettivo, attivo e passivo. Ma dal problema, così posto, tuttavia, risulta immediatamente un’intrinseca difficoltà.. Come la realtà esterna d’ora in poi è determinata da una somma di stabili cose singole e dalle condizioni in cui esse si trovano, così l’anima è diventata un punto di raccolta d’immagini rappresentate, ciascuna delle quali rimanda ad un proprio originale oggettivo. Che tutto questo, però, non esaurisca il concetto di coscienza, va chiarito immediatamente: infatti tutti i processi e le operazioni dell’anima, e inoltre tutti i concetti relazionali e i rapporti astratti difettano, d’ora innanzi, di una sufficiente rappresentazione psicologica. Nessuno di essi può essere portato a piena espressione né da un’immagine singola né da una somma d’immagini singole; si pone quindi l’esigenza di renderne comprensibili contenuti, nella misura in cui se ne ammettano e se ne riconoscano, almeno indirettamente, introducendo nuovi "organi" e attività dell’anima.

Tutta la psicologia della conoscenza svolta da Fracastoro si appunta su questa difficoltà: come è possibile che dalla massa dei singoli contenuti sensibili che riempiono il nostro io, si distacchi e diventi autonomo il concetto universale? Per rispondere per gradi a questo interrogativo, viene introdotta una sequenza graduale di facoltà e forme di attività dell’anima. Al gradi infimo, contrassegnato dalla mera ricezione d’impressioni e dall’unificarsi delle sensazioni dei diversi tempi, tiene dietro un’attività grazie alla quale scomponiamo nei suoi elementi parziali, l’uno dopo l’altro, un contenuto che sulle prime ci è dato come un tutto complesso, ancora non chiarito. All’io è connaturale un peculiare movimento diremmo quasi un istinto interiore, che tende ad aprirsi un varco attraverso la barriera della prima impressione , per sviluppare, ordire e chiarire il confuso quadro d’insieme che gli è stato dato al’inizio. Dalla ricettività sensibile questa facoltà compositiva ed analitica della coscienza (per la quale il Fracastoro conia un nuovo termine apposito, quello di"subnotio") si distingue per il suo presupporre una partecipazione attiva dell’io; dalle modalità superiori di collegamento intellettivo si distingue per il suo attendere non alla verità o erroneità, quindi non ad un giudizio logico, bensì esclusivamente ad un semplice e diremmo quasi istintivo passaggio dall’uno all’altro contenuto. In questa posizione mediana la nuova funzione psicologica introdotta da Fracastoro si rivela imparentata con la nozione moderna di associazione: va notato, però, che non le compete la riproduzione di sensazioni avutesi in precedenza, ma che la sua azione concomitante è presupposta già nel primo realizzarsi dei contenuti percettivi. Senza la facoltà di separare, senza l’appercezione e la successiva elaborazione dei singoli elementi d’u complesso, non si può cogliere nemmeno la prima materia greggia della "rappresentazione". Il connettere e il separare costituiscono universalmente i tratti fondamentali ed essenziali del pensiero, la cui esistenza è accertabile e dimostrabile fin nelle forme e attività supreme di esso. È qui, dunque, che dovrà trovare la sua spiegazione anche l’origine dei concetti universali. Trovando un determinato contenuto singolo in successivi, molteplici e mutevoli legami, apprendiamo a poco a poco a isolarlo come elemento autonomo, attribuendogli un’entità separata, indipendente dai casuali elementi secondari con i quali appare sempre commisto. Il concetto, dunque non è niente altro che la "somiglianza" tra diversi complessi affini di percezioni: una somiglianza che viene così isolata dalla mente di chi esamina, ma che non può essere immaginata come un qualche cosa di concreto per sé stante. Ecco quindi spiegato il suo rapporto con la singola impressione sensibile. La singola "species" non è capace di riprodurre direttamente i contenuti del concetto, ma tuttavia è capace di rappresentarli simbolicamente, poiché in essa implicito un rapporto con tutte le altre percezioni dello stesso genere. In sé e per sé, e per la sua peculiare qualità psichica, ogni contenuto di coscienza è singolare: può diventare "universale" solo grazie al punto di vista soggettivo di chi esamina, non appena vi scorgiamo un segno di tutta la classe di contenuti a cui esso appartiene»

Fonte dell'immagine in evidenza: Francescoch - iStock

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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