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La bellezza d’una persona vera non fa naufragio con il trascorrere degli anni

Ha osservato, con eccezionale finezza, il critico e scrittore Ferruccio Mazzariol nel suo pregevole saggio "Nicola Lisi, viaggiatore incantato" (Forlì, Editrice Forum, 1977, pp. 161-62):

 

«"Amore e desolazione" è, perciò, un libro ispirato dalla teologia della Resurrezione della carne : "Noi portiamo, visibile, ciò che del corpo è eterno: la profonda sembianza che non muta col passare dell’età. Così è dato riconoscere nel vecchio chi avevamo visto fanciullo. Forse essa meglio si adegua alla realtà fisica durante il passaggio della giovinezza; poi sempre più si precisa in se medesima" (p. 9). A ben vedere, si tratta di una concezione teologica tributaria della divinizzazione della persona,  così come è concepita dalla teologia del cristianesimo orientale, grazie soprattutto allo Spirito Santo.  La posizione teologica di Lisi è, per lo meno, singolare: in un’epoca cattolica, in cui la "carne" era vista essenzialmente come ossessione e peccato, quale impedimento che ostacola la Grazia ed agevola la colpa, Lisi esalta il corpo, ancorché nella sua immutabilità, e la bellezza.

La visione platonica e anche tomistica, penetrata nel cattolicesimo post-medievale, conseguendo una netta frattura fra la realtà del corpo e dell’anima,  esagerando la spiritualità dell’anima a scapito dell’integralità della persona, che sarà poi il beato nel Regno alla fine dei tempi dopo il giudizio universale, viene superata in Lisi da una teologia pienamente ortodossa, che valorizza, accanto all’anima, anche il "corpo" come "tempio dello Spirito Santo", come "vaso di grazia".

Il corpo per Lisi deve essere distinto, al fine di coglierne le reali connessioni con l’anima, in "materialità" e "forma".La "materialità" è il carattere provvisorio dell’aspetto fisico di una persona, ossia il modello cangiante che non risorgerà, in cui passano, si alternano e si rendono evidenti le diverse età della vita di un uomo; la "forma" è invece la sostanza che si mantiene inalterata attraverso i diversi passaggi dell’età e che si rivelerà pienamente nella resurrezione dei corpi, essendo una presenza "immutabile, spesso ascosa, ma non troppo": "E il paragonare il nostro corpo al carcere dell’anima non apparirà erroneo, solo che se ne consideri la materialità, e non già la forma che di esso corpo è il principio eterno,. Né s’intenda quale forma la presenza corporea temporanea e accidentale, bensì quella immutabile, spesso ascosa, ma non troppo. Ed è mia convinzione che essa al momento della morte se ne vada con l’anima quale immutabile sua veste" (ib., p. 90). Viene così prospettata, più ancora che il dogma della resurrezione dei corpi, la dottrina dell’uomo fatto a somiglianza di Dio, cioè il carattere indelebile e divino della nostra natura.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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