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Il mistero della “bussola interna” nelle grandi migrazioni degli uccelli marini

Scriveva lo zoologo Otto von Frisch nel suo «Animali nomadi e migratori» (titolo originale: «Über Länder und Meere», Verlag J. F. Schreiber, Esslingen, 1969; traduzione italiana di Francesco Saba Sardi, Rizzoli, Milano, 1969, pp. 70-71):

«Le rondini di mare artiche sono probabilmente gli uccelli che compiono i più lunghi tratti migratori. Una rondine di mare, munita di anellino di riconoscimento sulle coste del Labrador quand’era ancora così piccola da non saper volare, fu recuperata novanta giorni più tardi nell’Africa sudorientale, vale a dire a 14.500 chilometri di distanza. Un’altra, munita di anellino sulla costa artica della Russia, fu ritrovata nei pressi dell’Australia, a una distanza di 22.400 chilometri. Si sa di rondini di mare, le quali si riproducono nell’Artico e nel Nordamerica, che ogni anno migrano fino all’Antartico, per poi tornare al luogo d’origine, volando per quasi 30.000 chilometri.

Il piviere dorato d’America e l’"Actitis macularia", affine alla pettegola, si riproducono nella tundra artica e, per raggiungere le zone di svernamento, percorrono il continente americano, fino a raggiungerne l’estremità meridionale. I pivieri dorati trascorrono l’inverno per lo più nelle pampas argentine.

Quanto all’"Actitis macularia", essa ha esteso la propria area riproduttiva fino a comprendere la Siberia. Gli esemplari siberiani, prima di prendere la rotta per il sud, volano fino all’America, anziché scegliere quella più breve attraverso l’Asia. L’intero tragitto si svolge sopra la terraferma, e gli uccelli attraversano le grandi pianure degli Stati Uniti e raggiungono il Sudamerica sorvolando l’America Centrale e l’istmo di Panama.

È chiaro che il fatto di volare sempre sopra la terraferma impone alle "Actitis macularia" numerose deviazioni. Non così accade con il "Dolichonyx oryzivorus" che si riproduce nelle pianure e praterie degli Stati Uniti e durante la stagione invernale migra verso il Sudamerica passando direttamente sopra il Mar dei Caraibi e servendosi delle molte isole che vi si trovano come di tappe intermedie.

La questione tuttora irrisolta è sempre la stessa: come fanno gli uccelli a trovare la strada? È chiaro che sono all’opera fenomeni ben più complessi che non il semplice riconoscimento di caratteristiche fisiche del paesaggio. Molti autori parlano di una "bussola interna", e ciò richiederebbe la capacità di orientarsi su corpi celesti, quali ad esempio il sole. Si devono al noto ornitologo Gustav Kramer interessanti esperimenti in merito.

Kramer aveva notato che gli storni abituati a vivere in cattività, a partire dai primi di ottobre si ostinavano a rimanere nell’angolo sud-occidentale delle loro gabbie, dando le normali manifestazioni degli uccelli in cattività che provano l’impulso alla migrazione. All’inizio di ottobre, non va dimenticato, gli storni liberi iniziano infatti la migrazione, e quelli prigionieri, andando a rifugiarsi nell’angolo sud-occidentale della gabbia, si spostavano verso la direzione in cui volavano quelli liberi. Si comportavano così, qualunque fosse la posizione in cui era messa la gabbia e anche quando non vedessero null’altro, a eccezione del cielo.

Come se non bastasse, gli uccelli continuavano a restare con il capo rivolto in direzione sudovest anche se nei pressi della gabbia venivano posti pezzi di ferro, ciò che dimostra come il loro senso dell’orientamento non dipendesse dal magnetismo terrestre.

al naturalista tedesco sembrava ovvio che gli uccelli trovassero i propri punti di orientamento nel cielo, e quindi ricorse all’espediente di una grossa gabbia circolare, munita unicamente di sei aperture, ognuna delle quali poteva essere chiusa mediante un’imposta mobile: al di sopra di ciascuna era inoltre posto uno specchio, in posizione tale da permettere ai raggi di luce di penetrare all’interno della gabbia secondo un determinato angolo. Quando tutte le finestre erano aperte, gli storni puntavano, nei loro brevi voli, in direzione sudovest. Quando, inclinando uno degli specchi, si defletteva la luce che entrava dalle finestre di 90° a destra o a sinistra, gli storni spostavano di altrettanto la direzione del volo.

L’esperimento comprovò che il sole e il cielo visibile costituiscono i punti di riferimento degli storni. Quando infatti Kramer chiudeva tutte e finestre da cui la luce del sole entrava direttamente, e con gli specchi ne defletteva i raggi, gli uccelli mutavano sempre il proprio orientamento a seconda della deviazione dei raggi stessi. Qualora il cielo fosse annuvolato, essi svolazzavamo qua e là per la gabbia, come fanno anche gli storni liberi, ma ritrovavano l’orientamento non appena apparisse un raggio di sole.

Kramer dimostrò inoltre che lo storno è in grado di tener conto della posizione del sole in ogni ora del giorno, operando le necessarie correzioni. In seguito poté accertare che anche altre specie fanno lo stesso. È chiaro quindi che uccelli come gli storni possiedono un mezzo che permette loro di misurare l’altezza del sole sull’orizzonte.

Le passere scopaiole migratori notturni, si orientano sulle stelle fisse, e la cosa è stata sperimentata e dimostrata. Se gli uccelli sono posti in un planetario, cioè sotto una volta celeste artificiale, si orientano sulle stelle che vi compaiono e, alterando la posizione della volta, possono essere indotti a prendere la direzione sbagliata.

Tuttavia non sempre questo accade. Così ad esempio la berta dell’isola di Man, una procellaria che durane la stagione riproduttiva ha abitudini notturne, dovrebbe "navigare" orientandosi sulla luna e sulle stelle. Invece, sembra che le cose non stiano così, e a dimostrarlo vale l’esperimento compito da Matthews il quale, catturate alcune berte sull’isola di Skokholm, le liberò nell’entroterra due ore dopo il tramonto. Nonostante la distanza rispetto al nido fosse molto breve, neppure una vi fece ritorno durante la notte né al mattino successivo. Tuttavia, è di notte che le berte si recano al nido, e infatti gran parte degli uccelli portati nell’entroterra tornarono sull’isola e ai nidi la notte successiva; è da presumere dunque che avessero trovato dei punti di riferimento alla luce del sole.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Vidar Nordli-Mathisen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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