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Nata per difendere l’uomo libero, la democrazia finisce per ridurlo a suddito

Nata sullo scorcio del XVIII secolo, specialmente ad opere di Rousseau, l’ideologia democratica ha realizzato la galoppata più fantastica che mai un pensiero politico abbia compiuto nella storia, con la sola eccezione del marxismo, del fascismo e del nazionalsocialismo: ma gli ultimi due sono duranti appena una ventina d’anni, prima di essere schiacciati con la forza e il primo è crollato da se stesso in maniera talmente rovinosa, che ben difficilmente se ne potrebbe immaginare una futura resurrezione.

Scrive Massimo Fini nel suo saggio «Sudditi», che, ormai, è un piccolo classico della saggistica politica (Venezia, Marsilio Editori, 2004, pp. 89-96):

«La democrazia un metodo, una serie di regole e di procedure per determinare, attraverso elezioni rete dal criteri di maggioranza, chi devono essere i governanti cui spetta prendere decisioni valide per l’intera collettività. […] La democrazia è quindi un contenitore privo, in sé, di contenuti che vengono determinati di volta in volta dai governanti legittimamente eletti. […] Poiché non ha contenuti, fini, valori in sé, nemmeno quelli della libertà o dell’uguaglianza, preoccupandosi solo che il maggior numero di cittadini partecipi alle decisioni collettive, il rispetto delle procedure diventa per la liberaldemocrazia fondamentale. . […]

Su quali debbano essere queste "regole del gioco" gli studiosi non concordano e c’è una gran confusione (lo stesso Bobbio ne indica a volte tre, altre sei, altre ancora nove), quel che è certo è che ci devono essere e che devono essere predeterminate. Ogni Costituzione democratica predetermina le sue.

Naturalmente, nel tempo, queste procedure possono essere cambiate, ma sempre seguendo le procedure formali e costituzionali vigenti in quel momento. Le regole cioè non possono essere cambiate "in corso d’opera". Altrimenti si precipita nell’arbitrio e crolla tutta l’impalcatura liberaldemocratica. Il rispetto delle procedure è "l’ultima Thule" della democrazia, senza non c’è democrazia. Nemmeno quella pallida ombra cui, di "fictio iuris" in "fictio iuris", si è ridotta.

Ma le oligarchie sono riuscite a sfondare anche questo muro del suono. "Altro è la costituzione formale scrive Norberto Bobbio – altro la costituzione reale e materiale. Che cos’è questa "costituzione materiale" che salta fuori improvvisamente, dopo tanto parlare di leggi, di norme, di procedure, di "regole del gioco" sacre e inviolabili? La "costituzione materiale" è quella che le oligarchie si creano violando giorno dopo giorno la Costituzione formale, cioè proprio le famose "regole del gioco". E quando si viola la Costituzione formale per sostituirla con una "fai da te", creata dalle oligarchie senza il consenso dei cittadini, senza che nemmeno siano stati messi in condizione di esprimerlo, ponendoli di fronte al fatto compiuto, la democrazia non è più la democrazia. È una frode. […]

Che cosa rimane, allora, alla fine di tutto, della democrazia? Rimane lo stanco rito delle elezioni ripetute ogni quattro cinque anni, dove ci vengono imposti dei candidati che non scegliamo e rappresentanti che non ci rappresentano. Scrive Kelsen: "Si potrebbe credere che la particolare funzione dell’ideologia democratica sia quella di mantenere l’illusione della libertà" e si chiede "come una tale straordinaria scissione fra ideologia e realtà sia possibile a lungo andare". Ce lo chiediamo anche noi.

Ma le elezioni non hanno la funzione di eleggere rappresentanti scelti altrove. Ne hanno altre, ben più importanti. La prima è di legittimare il potere delle oligarchie, perpetuandolo. È la stessa funzione che, nel Medioevo, aveva l’unzione del re, per consacrarlo e quindi legittimarlo.

La seconda è quella di apparecchiare un apparente ricambio delle classi dirigenti con metodi pacifici e di garantire così la pace sociale. C’è infatti un unico aspetto in cui la democrazia "reale", la democrazia delle oligarchie, è coerente con le premesse di quella ideale: il rifiuto della violenza come metodo per comporre i conflitti politici, sociali e individuali. […]

Se le oligarchie democratiche non fanno uso della forza bruta per esercitare il potere è perché non ne hanno alcun bisogno. Hanno infatti il monopolio della violenza legale, attraverso lo Stato che hanno arbitrariamente occupato. È quindi tutto loro interesse che la situazione resti pacifica in m odo da non turbare il sereno godimento dei loro privilegi.

Di fronte agli abusi e ai soprusi delle oligarchie (fra i più consueti c’è di favorire, in ogni settore e modo, i propri adepti a danno degli altri, premiando la fedeltà di gruppo sul merito) il cittadino singolo è inerme. È la prima volta che l’individuo si trova in una situazione di così totale impotenza di fronte alle oligarchie. In epoca premoderna e predemocratica ognuno faceva parte naturalmente di un gruppo, della famiglia allargata, di un clan, di un ordine, di una corporazione, di una comunità, che costituivano un qualche deterrente , argine e difesa contro i vari abusi e soprusi dei vari poteri,l legittimi e arbitrari. In quei tempi il monopolio della violenza da parte dello Stato non era ancora assoluto, il diritto era largamente consuetudinario (la codificazione, la regolamentazione della vita dell’individuo in ogni suo aspetto è un’ossessione borghese e democratica) ed esistevano ampi margini di legittima autodifesa privata che era tanto più efficace perché l’individuo non era isolato(è in questo senso, credo, che Tocqueville parla d’una libertà che permetteva quasi di sfidare tanto la legge quanto l’arbitrio"). Anche il nobile sapeva di non poter superare certi limiti col suo contadino (tantomeno con quello altrui), col quale viveva, oltretutto, a contatto di gomito (in fondo nei "Promessi Sposi" Don Rodrigo finisce per perdere la partita).

In democrazia invece il cittadino "single", imbrigliato dalle leggi, e reso inoffensivo, e isolato, è compitamente senza difese di fronte alle prepotenze delle oligarchie, che non si sostanziano più – a meno che non si tratti di organizzazioni criminali – nella violenza o nella minaccia fisica, ma agiscono sul vasto terreno, non legale ma nemmeno apertamente illegale, e quindi inafferrabile e non contrastabile dell’abuso e del sopruso, mantenendolo in una condizione di perenne inferiorità, paria invece che pari.

E così la democrazia realizza il suo estremo paradosso. Nata nel solco del pensiero liberale, inteso a difendere i "diritti naturali" dell’individuo, a valorizzare capacità, meriti, potenzialità, finisce per mortificare proprio il singolo, l’uomo libero, che rifiuta appartenenze feudali, colui che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e che ne diventa invece la vittima designata.

Ma mentre conculca la libertà del singolo, facendogli credere di averne più di quanta ne abbia mai avuta in passato solo perché può scegliere fra diverse marche di frigorifero, la democrazia n on realizza nemmeno la volontà della maggioranza. Fra l’una e l’altra si inseriscono le oligarchie, le vere detentrici del potere, annullandole entrambe. Non siamo che sudditi.»

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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