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La personificazione come fenomeno parapsicologico

Sindrome della personalità alternante, sindrome della personalità multipla: la psicologia poco si occupa di questo genere di fenomeni, e sempre con un certo disagio. Anteponendovi, poi, la parola "sindrome", si sforza di farli rientrare in un quadro clinico ‘normale’ e, in definitiva, di averli ‘sotto controllo’.

Ma è solo un’illusione, perché i fenomeni in questione sono tali da poter mettere seriamente in crisi, almeno a certi livelli, l’intero paradigma materialistico della scienza moderna, psicologia in primis. È come se uno speleologo, dopo aver esplorato centinaia di caverne di ogni tipo e averne studiato i fenomeni geologici, sino ad essersi fatto un’idea abbastanza precisa di che cosa siano le grotte in generale, giungesse a un certo punto sull’orlo di un pozzo naturale completamente diverso da tutti quelli che ha visto finora. Immaginiamo che, da quel pozzo, escano suoni impressionanti, sospiri, voci incomprensibili, e bagliori di origine ignota guizzino in lingue impressionanti fuori dalla profondissima oscurità del sottosuolo.

Se quello speleologo avesse appena qualche minima nozione di mitologia e storia delle religioni, oppure se avesse letto anche solo poche terzine della Divina Commedia, non potrebbe dubitare di esser giunto presso l’imbocco del regno dell’eterna dannazione, dell’Inferno. Tuttavia, se egli fosse un seguace convinto di dottrine rigidamente materialistiche, non potrebbe ammettere un’ipotesi del genere, nemmeno per un istante. La scarterebbe a priori, come inaccettabile; non sarebbe disposto a prenderla in considerazione neanche come semplice ipotesi di lavorio, bisognosa di ulteriori verifiche.

Allora, e senza darsi la pena di scendere con la scaletta avvolgibile lungo quel pozzo inquietante, comincerebbe a fare ipotesi su ipotesi, tutte sulla base dei ristretti confini che le sue convinzioni ideologiche gli consentono. Dopo di che, scartatene alcune, giungerebbe a formulare una interpretazione complessiva di quei fenomeni misteriosi, mediante la quale arriverebbe anche a descrivere la parte più profonda di quella caverna, una parte che egli non ha mai visto e dove non si è mai spinto.

Ebbene, è proprio così che procede la psicologia accademica di fronte ai fenomeni delle personalità alternanti o della personalità multipla. In primo luogo, scarta a priori tutte le possibili spiegazioni non materialistiche, dall’emergere di vite anteriori del soggetto, alla possessione da parte di spiriti o demoni. Poi, di quelle restanti, si limita a indicare come accettabili quelle meno lontane da una scienza materialisticamente intesa, riducendo al minimo anche la sfera di mistero all’interno dell’Io individuale. Se, ad esempio, l’Io è stato in grado di predire con successo eventi futuri che lo riguardano – come fece il pittore Victor Brauner che, nell’Autoritratto del 1931, si rappresentò con l’occhio destro squarciato, esattamente come sarebbe accaduto sette ani più tardi, in seguito a un grave incidente (1) – gli esponenti della psicologia accademica parlano con disinvoltura di "coincidenze", e non indagano oltre. Si comportano, perciò, un poco come quegli astronomi della corte medicea che si rifiutavano di guardare nel cannocchiale di Galilei, perché non potevano ammettere – in base ai loro pregiudizi – ciò che vi avrebbero visto.

Ed ecco il risultato: una scienza dell’uomo sempre più bloccata e invischiata nelle mille remore dei pregiudizi positivistici, mentre le scienze fisiche, biologiche, chimiche e astronomiche galoppano a velocità impressionante. Esiti significativi del dogma materialistico: mentre scopriamo sempre più cose sul mondo esterno, le nostre conoscenze sulle profondità dell’essere umano sono ferme a più di cento anni fa. Allora, per lo meno, si trovavano alcuni scienziati accademici disposti a confrontarsi con i fenomeni parapsicologici con mente sgombra da pregiudizi: Crookes, Flammarion, lo stesso Lombroso. Oggi, se a qualche professore universitario venisse la voglia di avventurarsi su questo terreno – almeno in Italia, perché in altri Paesi le cose vanno un po’ diversamente -, questi potrebbe dire addio alla sua cattedra in men che non si dica.

Ma torniamo al fenomeno della personificazione, ossia alla comparsa di una o più personalità secondarie all’interno di un determinato Io; fenomeno che, talvolta, si sviluppa in maniera così rapida e impressionante, da lasciare profondamente turbati coloro che ne sono testimoni.

Scriveva una trentina d’anni fa Ugo Dèttore, uno degli studiosi italiani del paranormale più seri e qualificati, nel suo bel libro Le due facce della realtà (2), che meriterebbe di essere riletto e, possibilmente, ristampato:

Una delle manifestazioni più complesse della fenomenologia cosiddetta paranormale, ma che si ricollega a fenomeni perfettamente normali, è la personificazione, il fatto cioè che un individuo, spontaneamente o sperimentalmente, in stato di trance o in stato di veglia, si comporti come se fosse stato trasformato in una personalità diversa dalla sua consueta. Tale personalità po’ essere anonima, può darsi un none sconosciuto al soggetto stesso e a chiunque altro, può identificarsi con una personalità vivente, o infine, e più spesso, può identificarsi con una personalità defunta; inoltre, in molti casi, può manifestare capacità telepatiche, chiaroveggenti retrocognitive, precognitive e creative.

Numerosi sono stati i tentativi per spiegare questo fenomeno, ma non si è mai raggiunta un’ipotesi unitaria: quello che sembra dar ragione di alcuni casi viene regolarmente contraddetto da altri, così da far pensare, talora, che il fenomeno, apparentemente identico in tutte le sue espressioni, dipenda in realtà da processi diversi.

Dobbiamo notare, anzitutto, che la personificazione, in se stessa, è un fenomeno del tutto normale: il bambino che giuoca a guardie e ladri o alla guerra si personifica di volta in volta con un carabiniere, con un ladro, con un generale, con un soldato, con un vinto o con un vincitore. L’adulto, nelle sue fantasticherie e in molti stati affettivi, fa altrettanto: diventa a seconda dei casi un capufficio, un grande industriale, un ministro, un operaio, il suo rivale, l’oggetto amato o detestato anche se questi oggetti non sono esseri umani ma cose o animali. Personificazioni sono sostanzialmente le arti.

Nella nostra concezione abbiamo messo alla base delle attività psichiche la intuizione immedesimatrice, la capacità dell’Io di far proprio il diverso da sé identificandosi in esso e, insieme, identificandolo a se stesso; e abbiamo considerato tale immedesimazione non già come un fatto unilaterale e soggettivo, una illusione del soggetto il quale, consciamente o inconsciamente, immagina di immedesimarsi in un oggetto vivente o non vivente, diverso da lui, ma come un contatto effettivo fra due soggetti egualmente reali che si incontrano in processi a materializzazione minima e partecipano ognuno, in vari modi, alla realtà dell’altro.

L’intuizione immedesimatrice sembrerebbe dunque molto diversa dall’immedesimazione del bambino in una guardia o in un ladro, ossia in una personalità che non esiste., Pensiamo invece che sia dello stesso genere, che cioè il bambino che giuoca, l’adulto che fantastica, l’artista che crea derivino effettivamente le loro creazioni da contati con insiemi di realtà strutturati a materializzazione minima nel pensiero del gruppo, della specie o della psiche universale, così che le loro immedesimazioni, o personificazioni, hanno una loro consistenza oggettiva, si presentano come simboli di una universale realtà. Ogni immedesimazione, abbiamo detto, consiste in un atto chiaroveggente verso insiemi di realtà la cui storia passata rimane viva accanto all’attualità presente e alle finalità future, così come ogni chiaroveggenza è una immedesimazione: entrambe sono gli aspetti di una stessa attività che può incentrarsi formalmente nell’una o nell’altra o accoglierle insieme.

Da questi punto di vista potremmo considerare l’intuizione immedesimatrice come fattore fondamentale di tutti, o almeno di gran parte dei casi di personificazione. Abbiamo visto infatti che i fenomeni telepatico-chiarveggenti molto spesso si presentano in forme personificate: la signora Denton si identificava al mastodonte o al minerale di cui narrava la storia per psicoscopia; e nei colloqui telepatici che il giornalista Dean teneva con la sua collega appare egualmente una personificazione: personificazione, in questo caso, con un vivente il quale scriveva le sue risposte per mano di Dean stesso. In altre parole il fenomeno telepatico-chiaroveggente è sempre imperniato su una immedesimazione che può manifestarsi sia nella forma esteriorizzata secondo lo schema «X pensa questo, o «fa questo», o «è nel dato luogo» ecc., sia in forma interiorizzata secondo lo schema «Io, X, faccio questo, penso questo», sono nel dato luogo, ecc.

Per personificazione dovremmo allora intendere una immedesimazione intuitiva interiorizzata, e le sue espressioni quanto mai varie dipenderebbero sostanzialmente dalla varietà del diverso-da-sé personificato e dai conseguenti modi con cui la personificazione stessa può avvenire. Tuttavia un esame di questa complessa fenomenologia ci porta a dover ipotizzare anche l’eventuale intervento di altri fattori. (…)

Consideriamo a esempio un caso che, nelle sue forme più semplici, viene giudicato, piuttosto che paranormale, al limite della paranormalità e di cui si valgono anche alcuni psicologi per l’esame del profondo: la scrittura automatica. Chiunque si metta con una matita in mano davanti a un figlio di carta e si rilassi cercando di non concentrare su alcun oggetto il proprio pensiero, finisce, dopo qualche tentativo, con o scrivere qualche cosa: dapprima, in genere, dei semplici segni ripetuti, poi delle lettere, delle parole che possono rispondere a sue domande o costituire un messaggio. Si può ottenere lo stesso fenomeno con le vecchie pratiche della plachette o dell’ouija. Di norma queste scritture si esprimono in prima persona e danno del tu al soggetto. Se si domanda alla ‘personalità’ che così comunica chi sia, essa può rifiutarsi di rispondere, o dare un nome sconosciuto, o presentarsi come la personalità di un vivente o di un defunto:; ma, per ora, soffermiamoci solo sul fatto d uno psichismo, quale che sia, il quale comunica con il nostro psichismo.

Gli psicologi spiegano il fenomeno con l’ipotesi, universalmente accettata, della dissociazione psichica In seguito a processi, la cui meccanica non è stata ancora compiutamente chiarita, la personalità di un individuo non riuscirebbe mai a integrare in sé il molteplice dei valori psichici che dovrebbero strutturarsi nell’Io: ne rimarrebbe fuori un residuo più o meno abbondante, capace di formare una o più personalità dissociate e tali da potere agire con una certa autonomia. Nell’uomo normale la dissociazione psichica non porterebbe disturbi apprezzabili, ma, nei casi più gravi a carattere patologico, queste personalità dissociate entrerebbero addirittura in contrasto con l’Io, provocando il quadro ben conosciuto delle nevrosi., Una dissociazione psichica sarebbe così alla base dei fenomeni di personificazione, e questa ipotesi è stata accolta anche dalla maggioranza dei parapsicologi.

Evidentemente una concezione di questo genere è di carattere meccanicistico: l’Io cosciente viene praticamente considerato un epifenomeno meccanicamente derivato da processi psichici egualmente meccanici, dai quali deriverebbe con la stessa meccanicità un certo numero di personalità dissociate. La responsabilità morale dell’Io nel suo agire viene fatalmente distrutta.

Tuttavia la presenza di personalità secondarie accanto a una personalità dominante è innegabile: la scrittura automatica rivela indubbiamente allo psicologo un molteplice psichico che si presenta come Io e dice ‘io’, e che spesso è in palese contrasto con l’Io cosciente del soggetto. Vi è poi un fenomeno ancora più imponente, anch’esso non considerato paranormale, che rivela in modo indubbio la presenza d questo molteplice: le cosiddette personalità alternanti.

Il caso non è aro: può avvenire che il soggetto cambi più o meno improvvisamente di personalità, dandosi un altro nome, palesando un carattere del tutto diverso da quello consueto e comportandosi in conseguenza. La nuova personalità può sussistere in lui per giorni e mesi prima di cedere nuovamente il posto alla personalità nomale o, talora a una terza e a una quarta personalità che si alternano continuamente con la prima. A volte non è possibile stabilire quale di queste personalità debba essere considerata la principale: vi sono stati casi in cui si è stabilita fino alla morte del soggetto una personalità diversa da quella che s era presentata in lui nell’infanzia e nella giovinezza. Talora le varie personalità sono inconsapevoli le une delle altre; altre volte una o più di esse sono consapevoli delle altre rivelando in genere una certa ostilità contro di esse, che ignorano la loro presenza.

Noi siamo portati a pensare che queste personalità secondarie siano originarie e che abbiamo collaborato fin dagli inizi con l’Io dominante alla formazione del suo organismo. I biologi sono concordi nell’affermare che le programmazioni del genoma devono essere molto più numerose di quelle che vengono effettivamente attuate di norma, e che una buona parte di esse rimane inattiva, pronto solo a entrare eventualmente in giuoco in circostanze eccezionali in cui appaiono particolari problemi come nei cosiddetti processi di feed-back. Ipotizziamo che tali programmazioni in soprannumero dipendano appunto da Io secondari che gravitano, per così dire, attorno all’Io dominante e si attuano nel suo stesso organismo alla cui creazione hanno preso parte, d’intesa o anche in contrasto con esso.

Perché le relazioni fra l’Io dominante e gli Io secondari, al pari di quelle che abbiamo considerato fra esso e gli Io inferiori, non sempre sarebbero di pacifico accordo: spesso si avrebbe un vero e proprio antagonismo per il quale gli Io secondari tenderebbero a sostituirsi all’Io dominante o a costringerlo nella direzione dei propri orientamenti. L’Io individuale dominante mira sempre a strutturare gli orientamenti degli altri con i propri per costituire con essi una personalità consapevole e coerente sul proprio piano di coscienza, ossia nel suo Io personale, tale strutturazione dovrebbe avvenire per immedesimazione dell’Io nelle personalità secondarie e di queste nell’Io, in un sostanziale accordo che non mancherebbe tuttavia di compromessi, come non manca di compromessi il sostanziale accordo dell’Io con gli Io inferiori che si attuano nell’organismo. Naturalmente, a seconda delle varie esperienze di vita, dei vari problemi che si presentano, dovrebbero avvenire reciproche concessioni, pur rimanendo continuo e attivo il piano di coscienza dell’Io personale dominante. Questo spiegherebbe quelle oscillazioni di carattere che tutti abbiamo sperimentato e sperimentiamo e che infirmano tanto spesso la rigorosa coerenza della nostra personalità: un artista o un funzionario, avvicinati nel loro studio o nel loro ufficio, ci appaiono come personalità del tutto diverse da quelle con cui ci si presentano in un salotto o in un caffè: l’artista, che nel suo studio sembra tutto dedito ai valori dello spirito, al caffè parla di donne; il funzionario rigido e serioso nel suo ufficio, in un salotto racconta barzellette. E l’uomo d genio può manifestare nella vita di ogni giorno una personalità mediocre o addirittura inferiore. La normalità è piena di questi bruschi passaggi che tutti trovano perfettamente normali, ma che in realtà dovrebbero stupirci,

La presenza di Io individuali-secondari accanto all’Io individuale-personale dominante non ne menoma l’unità né la responsabilità morale, così come queste non sono menomate dalla presenza di Io inferiori senza numero. L’Io dominante, infatti, è il vero responsabile dell’insieme potendo virtualmente accettare, respingere o modificare gli orientamenti volitivi degli altri, i quali, a loro volta, rimarrebbero, nei loro limiti, responsabili del loro agire. Può avvenire addirittura che un Io secondario riesca a prevalere momentaneamente sull’Io dominante, il quale si comporterà allora, secondo l’espressione comune, «come non vorrebbe» pur rendendosi conto di quanto avviene: riprova, questa, che la sua unità e la sua responsabilità morale , anche se possono cedere, mantengono la loro continuità criticando l’azione compiuta.

Ma, se i contrasti sono ancora più profondi, l’Io dominane e gli Io secondari verrebbero a lottare sullo stesso piano in modo da rendere impossibile dire quale di essi effettivamente prevalga, e si avrebbero allora gli stati angosciosi e nevrotici, i comportamenti incoercibili che speso si esprimono con atti assurdamente simbolici in cui due o più personalità inconciliabili cercano di trovare egualmente soddisfazione, fino, nei casi estremi, alla completa sostituzione di una personalità secondaria e del suo piano di coscienza, all’Io personale dominante e alla sua coscienza come avviene nelle personalità alternanti e, probabilmente, in modo meno stabile ma più drammatico, nei raptus.

È vero che spesso lo psicologo riconosce in due personalità alternanti due parti di una stessa personalità che si innestano l’una nell’altra come le due metà di un biscotto spezzato, e, con procedimenti adatti, riesce a ricostituirne l’unità. Ma questo non significa necessariamente la ricostituzione di una personalità che si è dissociata: potrebbe essere interpretato più verosimilmente come la riconciliazione di due personalità che avevano perso il loro accordo i un’unica espressione.

Il punto veramente notevole, in questa interessante interpretazione avanzata da Ugo Dèttore, è quello in cui egli ipotizza che, così come i biologi ritengono che le programmazioni del genoma devono essere molto più numerose di quelle che vengono effettivamente attuate di norma, e che una buona parte di esse rimane inattiva, pronta a entrare eventualmente in azione qualora si presentino circostanze eccezionali, in cui appaiono particolari problemi; allo stesso modo esisterebbero delle personalità programmate in soprannumero, che dipendono da Io secondari gravitanti attorno all’Io dominante.

In altre parole, le personalità secondarie, o Io secondari, non emergerebbero, a un dato momento, come reazione a una linea di condotta dell’Io principale che non "convince" la totalità della coscienza, bensì sarebbero un esplicitarsi di programmi potenziali che erano rimasti allo stato latente, ma esistevano già, nelle regioni più profonde del sub-conscio.

Se questo fosse vero, parafrasando Pirandello si potrebbe affermare che ciascuno di noi è uno, nessuno e centomila, per il semplice fatto che noi siamo già, potenzialmente, centomila, fin dall’inizio della nostra umana avventura: come un giardino che possiede infiniti sentieri, i quali continuano ad esistere e ad essere transitabili, anche se – di norma – ciascuno di noi ne percorre uno solo nel corso propria vita.

Un’altra osservazione vorremmo fare, relativamente al tema – a noi caro – della subordinazione della psiche femminile, nelle condizioni date della società contemporanea, al mito maschile della forza e del dominio. (3) Il legame tra questo tema e la personificazione è dato dall’insorgenza di una personalità di strega all’interno dell’Io femminile, insorgenza che può aver luogo come affermazione graduale di una personalità secondaria rispetto a quella principale, ma anche in maniera brusca e repentina, come apparente metamorfosi dell’Io.

A parlare di trasformazione in strega non è il Malleus maleficarum o qualche anacronistico grimorio medievale, come gli psicologi neopositivisti potrebbero pensare, ma uno psichiatra e psicanalista del livello di Alexander Lowen., discepolo di Wilhelm Reich e uno dei più apprezzati specialisti, oggi, negli Stati Uniti d’America.

Nel suo celebre saggio Il tradimento del corpo, basato sulla convinzione che solo un corretto rapporto fra corpo e mente può condurre alla coscienza del proprio Io, egli scrive testualmente (4):

L’incorporazione dell’Io maschile da parte di una femmina genera una strega. La strega sostiene l’opinione dell’Io maschile che il corpo femminile è un oggetto sessuale. In tal modo la strega si rivolta contro il proprio corpo e prova un maligno piacere a sacrificarlo, perché rappresenta l’aspetto abbietto della sua personalità. Nello stesso tempo compensa l’abiezione impersonando l’immagine della non-conformista superiore che rifiuta il vecchio moralismo.

L’impulso demoniaco della strega mira anche a distruggere l’ego maschile. Rivoltandosi contro la propria femminilità, la strega nega la funzione dell’amore nel sesso e schernisce il maschio che la cerca…

È facile, per chi ci abbia seguiti nelle nostre precedenti riflessioni, riconoscere il carattere di strega, nel senso sopra indicato, nella madre di Peer Gynt, Aase.

E ancora non abbiamo preso in considerazione le personificazioni nell’Io di una strega a carattere volontiario: come quelle che si verificano nel corso di appositi cerimoniali, ad es. nel Voodoo haitiano…

Davvero, sono ancora molte le cose che la psicologia accademica non sa e non vuole spiegare.

Molte di esse riguardano, appunto, la cosiddetta personificazione, ossia quel misterioso fenomeno parapsicologico in cui una persona, sia in stato di veglia che in stato di trance, prende a comportarsi come se in lei fosse emersa una seconda, e magari una terza (o una quarta, e così via) personalità nuova e insospettata. Tale nuova personalità può alternarsi alla "vecchia" con un ritmo vario e imprevedibile; può comparire per alcuni anni, e poi recedere; oppure, al contrario, può finire per "usurpare" in maniera definitiva l’Io del soggetto in questione, permanendovi fino alla sua morte. È facile immaginare come i colleghi di lavoro, gli amici e perfino i parenti stretti di un tale soggetto si vengano a trovare uno in uno stato di grande confusione e sconcerto, trattandosi di un mutamento tale da far pensare che ci si trova in presenza di un individuo totalmente diverso da quello finora conosciuto.

Sulla scorta di alcune teorie dello studioso Ugo Dèttore, scrittore e parapsicologo molto serio – autore di libri importanti come L’altro regno, L’uomo e l’ignoto, I fenomeni parapsicologici dalle origini ai giorni nostri, Storia della parapsicologia -, abbiamo preso in considerazione l’ipotesi che, così come i biologi ritengono che le programmazioni del genoma devono essere molto più numerose di quelle che vengono effettivamente attuate di norma, e che una buona parte di esse rimane inattiva, pronta a entrare eventualmente in azione qualora si presentino circostanze eccezionali, in cui appaiono particolari problemi; allo stesso modo esisterebbero in ciascun individuo delle personalità programmate in soprannumero, che dipendono da Io secondari gravitanti attorno all’Io dominante.

Vogliamo ora approfondire il fenomeno della personificazione, prendendo in esame le due grandi sottoclassi – se così possiamo chiamarle – di tale fenomenologia, ossia quella della personificazione per immedesimazione e quella della personificazione per sostituzione. Parliamo, naturalmente, di individui dalle spiccate caratteristiche di sensitivi, quali medium e altre persone dotate di particolari poteri psichici, a volte coltivati appositamente, a volte, invece, posseduti in maniera più o meno inconsapevole. Nel primo tipo di immedesimazione, si verifica l’incorporazione temporanea di un Io diverso dal proprio, nel soggetto medianico; nel secondo tipo, l’Io del soggetto scompare completamente, e viene sostituito da un Io diverso ed estraneo.

In effetti, le due tipologie non sono sempre così nettamente distinte (nulla lo è, nell’ambito della parapsicologia), e i confini dell’una possono sfumare quasi insensibilmente nella sfera dell’altra, creando incertezza nello studioso e una oggettiva difficoltà di classificazione del fenomeno in questione.

Anche questa volta ci serviremo di alcuni passaggi del libro di Ugo Dèttore Le due facce della realtà (5). Infatti, anche se questo autore era convinto che i fenomeni "normali", studiati dalla scienza classica, e quelli "insoliti", studiati dalla parapsicologia, sono sostanzialmente identici (cosa che lo portava a trascurare fenomenologie come quelle della possessione diabolica e, in genere, a escludere il soprannaturale), il suo rigore e la sua chiarezza concettuali e la sua originalità interpretativa sono fuori discussione.

E ciò in un campo d’indagine, come la parapsicologia, sin tropo affollato di "esperti" fai-da-te che spuntano come funghi dopo la pioggia e, al tempo stesso, snobbato dagli studiosi di formazione accademica, non ci sembra davvero cosa da poco.

Scrive, dunque, il Déttore nel libro citato:

Secondo quanto si è detto, la personificazione potrebbe avere due origini molto diverse costituendo addirittura due fenomeni distinti: l’immedesimazione reciproca e conciliatrice dell’Io individuale- personale del sensitivo e Io diversi da esso, e la sostituzione di un Io diverso all’Io del sensitivo. Ma, a ben guardare, la differenza fra le due manifestazioni è piuttosto di grado che essenziale. Abbiamo considerato infatti l’immedesimazione non già come un fatto soggettivo ma come un atto reciproco fra un soggetto e un oggetto (meglio dovremmo dire «fra due soggetti»; intendiamo qui per soggetto quello dei due che prende l’iniziativa) egualmente reali, nel quale il soggetto raggiunge intuitivamente la realtà dell’oggetto e questo, a sua volta, viene per così dire a far parte della realtà del soggetto. Anche nell’immedesimazione, dunque, vi è una sostituzione parziale di un Io a un Io: vi è cioè uno spostamento del piano di coscienza del soggetto grazie a una carica ipnotica indotta o autoindotta per far luogo, più o meno parzialmente, a un altro piano di coscienza. La differenza fra i due fenomeni consisterebbe allora nel fatto che, nell’immedesimazione, la presenza dell’Io straniero nello psichismo del soggetto è sempre più o meno controllata dall’Io indivduale-personale del soggetto stesso, il quale riesce, in maggiore o minor misura. A strutturarla nella propria unità; nella sostituzione, invece, questo controllo scompare totalmente o quasi totalmente e l’Io straniero si insedia completamente o quasi completamente nello psichismo del soggetto spostandone affatto il piano di coscienza.

Una sostituzione di questo genere avviene, si è visto, nel caso delle personalità alternanti, e nelle espressioni più elementari della scrittura automatica, che possono essere considerati casi molto semplici di personalità alternanti, veri e propri colloqui fra la personalità dominante del soggetto e una sua personalità secondaria.

Appunto questa constatazione ha indotto psicologi e parapsicologi a a cercare nelle personalità secondarie, considerate come dissociate, il fondamento della personificazione in genere, che verrebbe così ridotta a un semplice fenomeno di dissociazione. Ma l’ipotesi è ben lungi dal rispondere all’insieme della casistica. In realtà l’esame di moltissimi casi di personificazione ci dimostra che in essi le personalità secondarie non intervengono affatto o intervengono in modo molto relativo, e che la dissociazione psichica , anche ammessa come tale, non può assolutamente essere invocata come base del fenomeno.

Nel caso, a esempio, del dialogo telepatico per scrittura automatica fra il giornalista Dean e la sua collega non c’è alcun bisogno di ricorrere a personalità secondarie sebbene il fenomeno sia consistito in un vero alternarsi di personalità l’una delle quali faceva domande e l’altra dava risposte. Questo significa che il meccanismo della scrittura automatica può funzionare tanto se attraverso di essa si manifesta una personalità secondaria, quanto se si manifesta un’altra personalità, così come l’organo visivo funziona sia di fronte a un vivente quanto di fronte a un qualsiasi oggetto. Ci si può domandare invece se il fenomeno consisteva in una immedesimazione prevalente o in una completa sostituzione di una personalità all’altra. A questo proposito dobbiamo notare che, mentre il Dean era consapevole delle domande che inviava, la collega non lo era affatto delle risposte che dava: si dovrebbe dunque escludere una sostituzione completa e ipotizzare piuttosto una intensa immedesimazione, nella quale il Dean, per ipnosi autoindotta spostava in parte il proprio piano di coscienza per far luogo allo psichismo dell’altra parte, e lo personificava poi per propria iniziativa attribuendogli un Io consapevole derivati dalla sua propria coscienza: in altre parole sostituiva il pronome ‘io’, immedesimandosi in esso, al pronome ‘ella’, che sarebbe meglio corrisposto alla realtà del fenomeno,

Una immedesimazione di questo genere può essere ipotizzata anche in molti casi in cui la personalità personificata si presenta come quella di un defunto: valga il celebre caso di Gordon Davis, di cui fu sperimentatore uno dei più noti metapsichisti, il matematico S. G. Soal, nel 1922, durante una serie di sedute tenute con la medium Cooper, questa personificò, a voce diretta, la voce di un antico compagno di scuola del Soal stesso, Godon Davis, che al Soal risultava caduto in guerra, il quale gli confermò la propria morte, ricordò molti particolari della loro giovinezza alcuni dei quali ignoti al Soal e poi risultati esatti, manifestò anche un singolare fenomeno di precognizione. Ma, tre anni dopo, il matematico incontrò il vecchio amico in carne ed ossa, del tutto ignaro di aver palrato con lui per il tramite di una medium e di essersi dichiarato defunto. Sembra evidente che la Cooper ,m si immedesimò telepaticamente nello psichismo del Davis e, in egual tempo, anche con quello del Soal, che lo credeva morto, e, con un parziale intervento della propria coscienza, personificò il tutto in un ‘io’ defunto invece che in un ‘egli’ vivente.

Questi fenomeni hanno suggerito un’altra spiegazione, oggi ascoltata da molti parapsicologi. Secondo la quale la personificazione si ridurrebbe a un complesso di fenomeni telepatico-chiaroveggenti: il medium, personificando un defunto o un vivente, non farebbe che accogliere telepaticamente notizie su di esso traendola dai consultanti che avevano conosciuto il vivente in vita, o dal vivente stesso e integrandole eventualmente con visioni chiaroveggenti nel passato, nel presente o nello spazio, ed esprimerebbe il tutto personificandolo in una personalità fittizia che dice ‘io’.

Un simile processo non solo non si può escludere, ma appare in molti casi come del tutto probabile. La personificazione di viventi e di defunti si presenterebbe allora come un processo di immedesimazione più o meno profonda nel quale il sensitivo darebbe forma, strutturandolo sotto il pronome ‘io’, a un molteplice di realtà presenti, passate e future, nel quale verrebbero e rientrare, intrecciandosi in vario modo e in varia misura, la personalità del sentivo stesso, quelle di altre persone presenti o lontane e visioni retrocognitive o precognitive. Si potrebbe anche ammettere che, talora, intervengano nel fenomeno anche personalità secondarie del sensitivo o di altri, comunque considerate: in alcuni casi, infatti, la personalità del defunto rievocato ha rivelato evidenti deformazioni così da poter essere considerata, almeno in parte, una personalità secondaria integrabile con la personalità del medium. Una vera e propria sostituzione di personalità avverrebbe solo nei casi di personalità alternanti, nei quali l’intervento di personalità secondarie sarebbe esclusiva e unica causa del fenomeno.

Dobbiamo riconoscere tuttavia che nemmeno questa interpretazione copre tutto l’insieme della casistica. Qualora infatti la personificazione consista in una immedesimazione, l’iniziativa del fenomeno dovrebbe provenire dal complesso sensitivo-consultanti, ossia dagli insiemi che i consultanti conoscono o vogliono conoscere e da quelli cin cui il sensitivo, attraverso di essi viene a contatto per via telepatico-chiaroveggente personificando poi il tutto in un ‘io’ puramente fittizio. Se invece la personificazione consiste in una sostituzione, l’iniziativa proverebbe da una o più personalità secondarie del sensitivo stesso. Ma la casistica ci presenta numerosi fenomeni in cui in modo evidente l’iniziativa non può partire né dal complesso sensitivo-consultante né da una o più personalità secondarie. Dobbiamo ora soffermarci su questi casi che, oggi, vengono generalmente trascurati dalla parapsicologia. (…)

Consideriamo ora un episodio esemplare. In una seduta si presenta, per automatismo parlante, attraverso il cosiddetto controllo del medium, (la personalità, cioè, che servirebbe da intermediario tra il medium stesso e altre personalità, per lo più defunte, da essa aiutate a manifestarsi ),una personalità femminile, che viene minutamente descritta dal controllo stesso senza che alcuno la riconosca, e che prega i partecipanti di recarsi immediatamente a un dato indirizzo e di cercare una data persona a tutti sconosciuta: si tratta di salvare una vita. I partecipanti interrompono la seduta per soddisfare questa invocazione, si recano all’indirizzo indicato e suonano a un campanello di una vecchia Casa: viene ad aprire un tale che li guarda stupito e si svolge un breve dialogo ovviamente incerto e confuso. Ma in quel momento si ode un fragore nell’interno dell’appartamento: è franato il pavimento di una stanza, la stessa in cui, fino a poco prima, l’uomo richiamato dallo squillo del campanello stava tranquillamente intento alla lettura di un libro. Avvengono delle spiegazioni e l’uomo riconosce nella descrizione della personalità che aveva lanciato il messaggio di soccorso, la propria madre defunta.

In un caso simile, che è tutt’altro che unico, è molto difficile ipotizzare da dove sia partita l’iniziativa del fenomeno. Non dal sensitivo né dagli astanti, i quali ignoravano totalmente l’esistenza del pericolante; non da loro personalità secondarie, le quali si trovavano nelle loro stesse condizioni; non dallo psichismo del pericolante stesso, il quale nulla sapeva del pericolo che lo minacciava. Potremmo supporre un processo alquanto complicato ma non da escludersi: il pericolante ha avuto la precognizione dell’imminente disastro, precognizione non affiorata sul suo piano di coscienza, ma tuttavia tale da raggiungere un grado di intensità sufficiente per estendersi, a materializzazione minima oltre i limiti del suo organismo e raggiungere, con una sua carica ipnotica orientata, un sensitivo che casualmente era in trance. Stabilito così il contatto, una serie di processi di andata e ritorno avrebbero permesso al sensitivo la cognizione del nome e dell’indirizzo dell’uomo in pericolo e dell’immagine della madre defunta descritta dal controllo, il quale potrebbe essere la personificazione per immedesimazione profonda o per momentanea sostituzione di una personalità secondaria del sensitivo stesso. Riconosciamo che un’ipotesi del genere è alquanto macchinosa e si fonda su processi, quali la precognizione inconscia, ma in certo modo attiva, che non sono stati affatto dimostrati; ma non abbiamo elementi per dichiararla inaccettabile. Vi sono tuttavia altri casi che sembrano rifiutarla.

Ci riferiamo particolare ai fenomeni di produzione letteraria, artistica o scientifica in stato di trance, da parte di soggetti che non hanno normalmente né le attitudini né le conoscenze richieste da una tale produzione. Gli esempi sono numerosi; tra i più noto la continuazione di un romanzo di Dickens, dopo la sua morte, da parte di un semplice meccanici, T. P. James; le poesie victorughiane di Juliette Hervy e della signora Laval, entrambe incolte; i romanzi storici di David Deguild e di Hermance Dufeaux, che nulla sapevano di storia, ricchi di particolari riconosciuti esatti dagli storici; le opere scientifiche di Hudson Tuttle e di A. J. Davis, pure incolti, prese in considerazione da scienziati autentici, ecc. E numerosi, infine, sono i caso di opere d’arte, per lo più pitture, realizzate da sensitivi in trance, sia in un proprio stile, sia nello stile di un artista defunto di cui non conoscevano l’opera, lavorando talora al buio più completo e dipingendo il quadro alla rovescia. In molti casi si può ipotizzare che il vero autore dell’opera sia una personalità secondaria; ma quando il dipinto è nello stile di un pittore non più vivente, che il sensitivo non ha mai conosciuto e del quale non ha mai visto la produzione, o quando appaino nozioni storiche o scientifiche che il sensitivo non ha mai appreso, è molto difficile supporre l’intervento di una personalità secondaria e ci si domanda perplessi quale può essere la personalità che ha preso l’iniziativa.

La nostra ipotesi degli insiemi potrebbe offrire una spiegazione. Lo stile di uno scrittore o di un pittore è un insieme di realtà che perdura non solo nelle loro opere, ma anche fuori di esse come coordinamento di valori a materializzazione minima: un sensitivo che venga a contatto con esso grazie a una carica ipnotica indotta o autoindotta particolarmente orientata, può farlo proprio, direttamente o per il tramite di un a personalità secondaria, per intuizione immedesimatrice. I fattori storici sono pure insiemi di realtà che perdurano nel tempo, percepibili da un sensitivo nei casi di psicoscopia e da lui coordinabili in forma narrativa. E insiemi sono anche le nozioni scientifiche, percepibili dunque per chiaroveggenza.. La cosiddetta produzione medianica, letteraria, artistica o scientifica, si ridurrebbe allora a fenomeni di chiaroveggenza strutturati in una personificazione immedesimatrice per iniziativa del sensitivo sesso, nel quale si formerebbero cariche ipnotiche particolarmente orientate. Difficile dire, comunque, perché il contatto chiaroveggente sia avvenuto proprio con quei dati insiemi, stile artistico o nozioni storiche o scientifiche, in mancanza di in oggetto induttore o di qualsiasi altro tramite.

L’ipotesi potrebbe valere anche per i casi ancora più complessi in cui la personalità personificata parla in lingue straniere ignote al sensitivo e, non di rado, a tutti i presenti; la cosiddetta xenoglossia. Nephentes, un fantasma prodotto dalla celebre medium D’Espérance, lasciò un messaggio scritto in greco antico, lingua che nessuno dei presenti conosceva, che fu tradotto il giorno dopo da un grecista. Il medium americano Valiantine produsse voci dirette che parlavano in giapponese in cinese. Talora la xenoglossia ha addirittura espressioni letterarie: lo stesso Valiantine per voce diretta, fece dettare al sinologo Whymant l’esatta lezione di una poesia di Confucio giunta a noi in un testo corrotto; la medium Curan scrisse, sotto dettatura di una personalità che diceva di chiamarsi Patience Worth, un poemetto idillico, Telka, in perfetto inglese arcaico.

La xenoglossia è considerata dagli spiritisti come una conferma imponente delle loro concezioni: quando un medium produce una personalità defunta che parla una lingua ignota a lui e a tutti i presenti non si può pensare ad altro che alla realtà oggettiva di tale personalità. Vi sono però casi rarissimi in cui il fenomeno si presenta in modo da escludere l’intervento di personalità sopravvissute. Abbiamo già ricordato l’episodio del maggiore W. Tudor Pole, il quale, senza quasi accorgersene, parlò con un profeta persiano nella sua lingua che non conosceva affatto. Lo stesso avvenne più volte, e in varie lingue, a Laura Edmonds, figlia del giudice Edmonds famoso metapsichista americano. Così la xenoglossia può essere interpretata come una forma di chiaroveggenza e spiegata con l’ipotesi degli insiemi. Un linguaggio, infatti, è un insieme di realtà che, secondo la nostra concezione, ha una sua esistenza oggettiva come complesso strutturato di valori psichici: il sensitivo che possa stabilire un contatto con tale insieme può valersene sia per manifestare il proprio pensiero consapevole, sia per esprimere suoi contenuti inconsci o contenuti delle sue personalità secondarie, sia infine per rivelare contenuti di insiemi a lui estranei quale può essere l’esatta lezione di una poesia cinese composta più di duemila anni fa e sempre reale nel tempo come realtà indistruggibile.

Ma, pur ammettendo tutto questo, dobbiamo considerare che il problema dell’iniziativa non ci appare del tutto risolto. Da quanto abbiamo detto risulterebbe che in molti casi il contatto fra il sensitivo e gli insiemi di realtà che alimentano le sue personificazioni e le sue iniziative dovrebbe essere del tutto casuale, dovuto a cariche ipnotiche orientate per puro caso verso determinate direzioni. E, in una concezione psichica della realtà, non vi è posto per il caso, poiché la psiche è volontà e finalità. Nella maggior parte di questi casi in cui l’iniziativa appare incerta e solo supponendo processi molto complicati può essere attribuita al sensitivo stesso, il fenomeno non ha alcuna caratteristica di casualità: talora viene addirittura annunciato in una seduta precedente, altre volte rivela una intenzione precisa e addirittura tormentosa da parte della personalità defunta, come nel caso del giudice Reggio, in cui il presidente di Corte d’Appello Vincenzo Reggio , morto a Genova il 27 ottobre del 1900, si presentò per scrittura automatica, il 2 marzo del 1901, a Parigi, al medium José Borgazzi e a un giornalista brasiliano che fingeva da sperimentatore – i quali non lo avevano mai conosciuto né mai ne avevano sentito parlare – pregandoli di trasmettere un messaggio, per lui importante, al proprio fratello, Tomaso Reggio, arcivescovo di Genova, a loro egualmente sconosciuto, il quale confermò la realtà dei fati. Luisa E, Rhine , moglie del fondatore della scuola quantitativa, ha raccolto recentemente alcune migliaia di casi di personificazione spontanea di personalità defunte e, dopo averli esaminati con estremo rigore, è giunta alla conclusione che, almeno per alcuni di essi, del genere di quelli che abbiamo ricordato, l’iniziativa della persona defunta sembra la sola spiegazione possibile.

Dovremo tornare ancora su questo problema quando parleremo della personificazione materializzata. Per ora ci limiteremo a notare che, in questi casi, se mettiamo in dubbio la possibilità di contatti chiaroveggenti puramente casuali con insiemi di realtà con cui né il sensitivo né i presenti alla seduta hanno il minimo legame, seguiti da personificazioni egualmente casuali, rimangono solo due ipotesi. Secondo la prima, una psiche universale -o della specie o del gruppo – sempre in contatto con gli Io individuali, prenderebbe in certe occasioni, per suoi particolari fini, una propria iniziativa provocando nel sensitivo fenomeni chiaroveggenti molto vasti e vere attività creative di cui, di per sé, egli sarebbe incapace, e gli suggerirebbe inoltre personificazioni che avverrebbero grazie a contatti – da essa favoriti nel sensitivo stesso mediante cariche ipnotiche orientate – con tutto ciò (atti, emozioni, idee) che di un defunto è rimasto attuale come insieme di realtà (attualità che non ha nulla a che fare con la sopravvivenza perché è dello stesso ordine di quella dell’esplosione di un vulcano o di un terremoto avvenuti secoli fa). La seconda ipotesi sarebbe invece quella che il fenomeno dipenda invece dall’iniziativa da una personalità realmente vissuta, la quale si sostituirebbe più o meno completamente, al pari di una personalità vivente, alla personalità del medium.

Molti sono gli spunti di riflessioni che le ardite ipotesi di Ugo Dèttore ci offrono a proposito del fenomeno della personificazione.

La prima è che molto di quanto sopra è detto sembra condurre all’ipotesi di un grande deposito psichico, del quale abbiamo altrove parlato (6), in cui si troverebbe traccia di ogni cosa, ogni pensiero e ogni azioni passata, presente e (dal nostro punto di vista) futura; deposito al quale potrebbero accedere casualmente i soggetti medianici e, volontariamente, alcuni rarissimi individui in possesso di una particolare preparazione. I cultori della Tradizione parlano, a questo proposito, dell’Akasa, una realtà dimensionale diversa dalla nostra, ma in qualche modo parallela e, a determinate condizioni, comunicante con essa, alla quale possono accedere appunto le persone dotate di particolari poteri. Si tratterebbe di una sorta di grande "deposito cosmico" ove sussistono, in una condizione intermedia tra la fisica e la psichica, tutti gli enti che sono stati, che sono e che saranno, tutti i mondi possibili che la mente può evocare.

Questo potrebbe spiegare non solo i casi di personificazione in cui il medium rivela il possesso di conoscenze lontane nello spazio e nel tempo, alcune delle quali né egli né i presenti hanno mai posseduto (come la xenoglossia), ma anche i casi di interferenza del piano della realtà ordinaria con piani di realtà lontani nello spazio e nel tempo. Tra questi ultimi, potremmo ricordare il notevole caso della cosiddetta "legione scomparsa", ossia quello in cui lo scrittore A. C. McKerracher, nel 1974, udì sfilare di notte, per le vie della cittadina di Dunblane, in Scozia, la IX legione spagnola, che nel 117 d. C. era stata inviata per schiacciare una rivolta tribale e di cui non si seppe mai più nulla. (7) Ed è noto che il veneziano padre Ernetti riteneva di aver realizzato uno speciale apparecchio, denominato cronovisore, capace di mostrare le immagini di fatti accaduti in qualunque epoca passata, compresa la passione di Cristo. Alla base di tale invenzione c’è l’idea che gli eventi passati non precipitano nel nulla, ma permangono a livello di "registrazioni cosmiche", come direbbe Ugo Dèttore, a livello di materializzazione minima.

Una seconda osservazione riguarda la teoria seconda la quale le opere d’arte tendono a sopravvivere in una dimensione trans-personale e possono, pertanto, essere recepite e riprodotte da soggetti dotati di facoltà medianiche, nello stile proprio degli scrittori o dei pittori che le crearono. Non solo: può anche avvenire, come si è visto, che il medium (magari involontario) completi un’opera rimasta incompiuta, come il romanzo di Dickens, o produca nuove opere, come se l’artista defunto continuasse a lavorare attraverso di lui.

Potremmo spingere ancora oltre le ipotesi di Ugo Déttore e ipotizzare che, nei casi di questo tipo, non si tratti di recuperare o proseguire le opere prodotte dalla personalità di un artista defunto, bensì di accedere a un grande deposito psichico universale, ove si troverebbero contemporaneamente tutte le opere presenti, passate e future, e non solo quelle effettivamente realizzate, ma anche quelle solamente possibili. Se un tale deposito esistesse, ne conseguirebbe che l’Iliade esisteva prima di Omero e la Divina Commedia prima di Dante. Ogni opera d’arte, insomma (e la stessa cosa potrebbe valere per le scoperte scientifiche, nonché, in generale, per ogni possibile conoscenza, emozione o creazione), esisterebbe prima di essere materialmente espressa per mezzo della scrittura, o delle note musicali, dei colori, dello scalpello, ecc. Di più: esisterebbero ogni singolo personaggio e ogni singola situazione, e vivrebbero di vita propria, fino a quando un artista non desse loro una forma esplicita.

Pirandello si era avvicinato a tale concezione, allorché aveva supposto che il personaggio vive indipendentemente dal suo autore e che quest’ultimo non lo crea dal nulla, ma si limita a dargli una realtà esteriore. Pertanto Don Chisciotte esisteva ben prima che Miguel de Cervantes lo "inventasse", così come continua ad esistere molto tempo dopo che lo scrittore è scomparso dal mondo fisico. Nei Sei personaggi in cerca d’autore (ma anche nella novella Nebbia di Miguel de Unamuno) noi vediamo, appunto, la rivolta dei personaggi contro il loro autore e la loro volontà di uscire dalla pagina scritta, per vivere la loro vita sino in fondo, anche senza il "consenso" del loro autore, e perfino contro le sue intenzioni.

Ammettendo questa ipotesi, dovremmo trarne la conclusione che gli artisti non fanno altro che dare un volto e una voce a dei complessi psichici che non sono essi a creare, ma che si presentano loro mediante la particolare sensibilità di cui, in genere, sono dotati. In questo senso, non vi sarebbe una differenza qualitativa fra l’artista vero e proprio e la persona incolta che, mediante un fenomeno di personificazione, improvvisamente scrive ottimi romanzi, compone della musica eccellente o dipinge quadri di valore, il tutto nello stile di qualche artista defunto. In effetti, sia l’artista che il semplice medium non farebbero altro che attingere a un deposito di emozioni, pensieri e creazioni che esisterebbe già fuori di loro, in attesa di essere utilizzato.

In tutto questo, però, a noi sembra di scorgere non solo una potenziale ricchezza, ma anche un potenziale pericolo.

Oggi va molto di moda la pratica del cosiddetto channeling e si odono dappertutto persone, in genere seguaci entusiasti delle dottrine New Age, che sostengono di possedere uno spirito-guida che li ispira nelle loro creazioni pittoriche o letterarie. Oltre a ciò, di solito lo spirito-guida trasmette lunghi messaggi filosofici per "aprire il livello coscienziale" del soggetto e per predisporlo ad accettare nuove, imminenti rivelazioni, che possono giungere fino allo sbarco di esseri extraterrestri dalle loro astronavi: evento al quale il soggetto dovrebbe, appunto, predisporre l’umanità nell’attuale fase evolutiva del cosmo. Sono anche stati scritti numerosi libri su questo argomento, e qualcuno è arrivato al punto di esaltare, come proprio spirito-guida, niente meno che il diavolo, visto, ovviamente, non come il signore del Male, ma come il signore (incompreso) della libertà e della creatività. (8)

Ebbene, tutto questo ci sembra francamente un po’ folle, se non anche, come dicevamo, francamente pericoloso. Bisognerebbe essere molto cauti sia nella pratica della scrittura automatica, sia nel "gioco" delle tavolette oujia, sia, e a maggior ragione, nelle sedute spiritiche, nella tecnica del cosiddetto "viaggio astrale" e, ovviamente, nelle pratiche di magia basate sulla evocazione di entità non umane. In tutti queste operazioni, dalle più innocenti alle più spettacolari e drammatiche, la personalità di colui che vi si assoggetta si espone a un grave rischio, in quanto lascia temporaneamente la sua sede naturale e invita, volontariamente o meno, a penetrarvi delle forze ignote, che possono essere di tutt’altra natura da quella che egli crede, o che loro stesse dicono di rappresentare.

Quando la dimensione cosciente dell’Io si allontana dal proprio corpo e, nello stesso tempo, invita altre forze coscienti a mettersi in contatto con lei, può succedere che si presentino delle entità maligne e invasive, le quali non chiedono di meglio che poter occupare la soglia rimasta vuota di un Io incarnato, e servirsi del suo corpo per muoverlo secondo la loro volontà e i loro scopi. Senza giungere fino all’ipotesi più grave di tutte, quella dell’infestazione e della possessione demoniaca, ricordiamo che secondo numerose scuole di pensiero, sia occidentali che orientali, la dimensione invisibile è addirittura pullulante di entità disincarnate che si aggirano senza pace, desiderose di trovare un corpo in cui entrare o un luogo in cui insediarsi. Può trattarsi di semplici residui psichici, simili a gusci vuoti di un Io defunto che si sta lentamente disgregando, almeno nei suoi livelli più elementari (il cosiddetto corpo astrale, per esempio); ma può trattarsi anche di personalità disincarnate perfettamente coese e ansiose di ritrovare una possibilità di esistenza sul piano fisico, parassitando qualche essere vivente.

Quello che è certo è che noi non sappiamo quasi nulla circa la natura delle forze che vengono evocate nella pratica del channelling e, tanto più, nelle sedute spiritiche o nei cerimoniali di magia nera; e che, forse, sarebbe bene osservare una maggiore prudenza, perché né il channelling è così innocente come comunemente si crede, né lo sono, tanto meno, lo spiritismo e la magia. Il primo equivale, puramente e semplicemente, a una pratica di necromanzia o evocazione dei morti; la seconda tende ad aprire una finestra spazio-temporale su dimensioni assolutamente sconosciute. Chi si dedica a simili attività, deve sapere che sta scherzando col fuoco, e che lo fa a proprio rischio e pericolo.

Da ultimo – anche se le cose da dire sarebbero ancora moltissime – ci sembra che Ugo Déttore abbia bene sintetizzato il quadro conclusivo, prospettando due interpretazioni globali circa il fenomeno della personificazione.

La prima è quella che postula l’esistenza di una psiche universale, o della specie o del gruppo, che sarebbe sempre in contatto con gli Io individuali e che prenderebbe in certe occasioni, per suoi particolari fini, una propria iniziativa, provocando nel medium fenomeni chiaroveggenti e vere attività creative, di cui egli sarebbe incapace. La seconda, invece, suppone che il fenomeno dipenda dall’iniziativa da una personalità realmente vissuta, la quale si sostituirebbe, più o meno integralmente, alla personalità del medium.

Aderire all’una o all’altra delle due teorie è – ci sembra -, alla luce della complessa casistica esistente, questione di gusti, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze.

Esiste, tuttavia, una terza possibilità, che Dèttore non prospetta perché egli preferisce limitare la prospettiva della sua ricerca in senso rigorosamente fisico e immanentistico: e cioè che una parte almeno dei fenomeni di personificazione traggano origine, come sopra abbiamo prospettato, da una vera e propria irruzione di entità non umane nella sfera dell’umano. Tutti i fenomeni collaterali, dalla precognizione alla retrocognizione, per non parlare dei fenomeni fisici che, sovente, accompagnano la personificazione improvvisa da parte di un sensitivo (apporto od asporto di oggetti, anche pesanti; fenomeni di poltergeist, e via dicendo) si possono spiegare altrettanto bene ricorrendo a questa terza ipotesi. E lo stesso vale per la xenoglossia e per tutte quelle conoscenze che nessuno dei presenti possiede, compreso il medium, ma che la personalità "emersa" possiede benissimo.

Che altro dire?

Qui, più che mai, ci sembra appropriata la riflessione di Shakespeare nell’atto primo dell’Amleto: che, cioè, esistono molte più cose, fra la terra e il cielo, di quante non arrivi ad immaginarne tutta la nostra presuntuosa filosofia.

NOTE:

1) Cit. in Parapsicologia, a cura di Emilio Servadio, nella Enciclpoedia della Psicologia diretta da Denis Huisman (titolo originale: Autour de la Psychologie, Nathan, Paris, 1973), Trento Procaccianti Editore, Milano, 1975, p. 371.

2) Ugo Dèttore, Le due facce della realtà (prima edizione con il titolo Normalità e paranormalità), Armenia Editore, Milano, 1977, pp. 307-312.

3) Cfr. Francesco Lamendola, Mitologia maschile della forza e psicopatia nel «Peer Gynt» di Henryk Ibsen, sul sito di Arianna Editrice.

4) Alexander Lowen, Il tradimento del corpo, edizione originale americana, 1967; traduzione italiana di Licia Mingione, 1982, 1997, p. 22.

5) Ugo Dèttore, Le due facce della realtà (prima edizione con il titolo Normalità e paranormalità), Armenia Editore, Milano, 1977, pp. 312-320.

6) Cfr. Francesco Lamendola, da dove vengono le materializzazioni del pensiero?, consultabile sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice.

7) L’episodio è riportato in Charles Berlitz, Il libro dei fatti incredibili ma veri, Rizzoli, Milano, 1989, pp. 191-193.

8) Cfr. Igor Sibaldi, Il frutto proibito della conoscenza, Frassinelli Editore, Milano, 2002.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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