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Conversazioni filosofiche – Seconda parte: ordine e disordine

(Questo articolo è stato pubblicato sui "Quaderni" dell’Associazione Filosofica Trevigiana, ora Associazione Eco-Filosofica, sul numero 5 del 2003 (anno XXIV), pp. 29-38. La prima parte era stata pubblicata sul numero 4 del 2003, pp. 21-40; la seconda puntata della seconda parte sul numero 7, pp. 6-17 (col titolo "Tempo e irreversibilità"). La terza parte, "La matematica e la natura", sarà pubblicata in uno dei prossimi numeri).

SOMMARIO CONVERSAZIONI FILOSOFICHE:

Parte prima: Primo giorno: Caso e destino;

Secondo giorno: Necessità e libertà;

Parte seconda: Terzo giorno: Ordine e disordine;

Quarto giorno: Tempo e irreversibilità;

Parte terza: Appendice: la matematica e la natura.

TERZO GIORNO: ORDINE E DISORDINE

SANDRA: – Hai sentito che razza di temporale, stanotte? Non ho potuto chiudere occhio.

GIULIANO: – Credo sia stato uno dei più violenti cui ho mai assistito, Sandra.

SANDRA: – A volte la natura si trasforma, quasi di colpo, in qualcosa di pauroso e irriconoscibile. Davvero, stanotte mi sono chiesta se la casa avrebbe resistito alla violenza del vento: e mi sono sentita piccola, veramente piccola e insignificante, in balìa di forze spaventose. Ecco, questo potrebbe fare da introduzione alla riflessione che desidero sviluppare questa mattina: se la realtà, cioè, sia espressione di ordine o di disordine. Ne abbiamo accennato, del resto, due giorni fa: ricordi? Tu parlavi dell’entropia…

GIULIANO: – Sì, ricordo molto bene. E ho l’impressione che ci troveremo, anche questa volta, schierati sui due versanti opposti dell’ipotesi di lavoro: tu a sostenere che la realtà è ordine; io, il contrario. Ho indovinato?

SANDRA: – Anche stavolta, da parte mia non si tratta di una certezza, ma di una sensazione; forse di una semplice speranza. Comunque, ti va di affrontare questo tema? Confronteremo le noste opinioni, le nostre provvisorie "credenze" , come dici tu; e forse, unendo le nostre forze, potremo aiutarci a trovare una nostra verità, che ci dia una mano a vivere meglio.

GIULIANO: – Sono d’accordo con quest’ultima affermazione. O la filosofia deve poterci aiutare a vivere meglio, oppure è qualcosa che non m’interessa affatto.

SANDRA: – Sarebbe come gli dèi di Epicuro: a che servono, se non badano minimamente a noi?

GIULIANO: – Appunto, a niente. Allora, da dove vuoi che cominciamo?

SANDRA: – Anzitutto, vedo una difficoltà preliminare che vorrei affrontare subito. Quando mi pongo il problema se la realtà sia ordine o disordine, forse intendo qualche cosa di diverso da ciò che hai in mente tu. Dobbiamo prima sgombrare il terreno dalle ambiguità del linguaggio.

GIULIANO: – Che cosa vuoi dire?

SANDRA: – Se ho ben capito il tuo punto di vista, tu avresti posto la domanda in questi termini: la natura è ordine o disordine? Poiché hai sostenuto che tutta la realtà è riducibile a materia ed energia; anzi, probabilmente, alla sola energia. Giusto?

GIULIANO: Giusto. Mentre tu, col termine più ampio ma anche più vago di "realtà"…

SANDRA: – … intendo non solo ciò che appare, ma anche ciò che è. E forse, al di là della realtà osservabile e misurabile (peraltro, non sempre: ricordi il discorso sui neutrini e sui tachioni?), c’è una realtà molto più grande, che non cade sotto i nostri sensi…

GIULIANO: – Nell’accezione di infinito, o in quella di soprannaturale?

SANDRA: – Non lo so. In quello classico della metafisica, suppongo. Comunque, propongo di non confrontarci sull’esistenza, o meno, di una realtà più vasta di quella naturale, almeno per oggi, perché la cosa ci porterebbe decisamente troppo lontano. Propongo di limitarci a vedere se questa diversità di approccio possa ostacolare la costruzione di una ricerca intelligibile a entrambi, sul problema complessivo dell’ordine e del disordine.

GIULIANO: – No; credo di no. Anche perché questa realtà extra-naturale, di cui tu sospetti l’esistenza e io no, cadrebbe comunque fuori dei nostri sensi e quindi, evidentemente, di essa non potremo mai dire nulla di positivo.

SANDRA: – Molti filosofi classici, a partire da Platone, non la pensavano così. Il fatto di porre una realtà metafisica non impediva loro di ipotizzarne le caratteristiche ontologiche. È il tuo approccio materialistico che ti fa scambiare il tuo punto di vista quantitativo con l’unico possibile e razionalmente giustificato. Non pensi che sia così?

GIULIANO: – È vero, lo riconosco. Ma allora, siamo giunti ad un vicolo cieco? Perché se non superiamo l’ostacolo delle nostre diverse premesse conoscitive, non potremo fare molta strada insieme.

SANDRA: – Credo non ci resti altro da fare che suddividere la nosta ricerca in due segmenti ben distinti. Dapprima ci porremo il problema dell’ordine e del disordine; poi ci fermeremo, anzi, tu ti fermerai, perché a tuo giudizio non c’è altro su cui indagare; mentre io mi riserverò di fare i conti con la metafisica, sviluppando ulteriormente quanto avremo discusso fino ad allora.

GIULIANO: – D’accordo, ci sto. Sarai tu ad avere l’ultima parola: com’è giusto per chi crede alla metafisica.

SANDRA: – C’è per caso una sfumatura ironica nelle tue parole?

GIULIANO: – No, davvero. Scherzavo, non avertene a male. E comincia pure: io ti seguo.

SANDRA: – Bene. Comincerò dal fatto che tu, l’altro giorno, hai sostenuto che l’universo è un luogo terribilmente ostile e sgradevole. L’argomento è antico. Già Lucrezio diceva che il mondo non è fatto per l’uomo, come dimostrano le avversità del clima e del terreno. (13) Leopardi, poi, nelle Operette morali, afferma che, se l’intero genere umano scomparisse da un giorno all’altro, con tutta la sua boria e presunzione, pure le altre specie viventi, sulle prime, non se ne accorgerebbero nemmeno, e tutto continuerebbe come prima, se non meglio di prima, essendo sparito un insopportabile seccatore. (14) Da tutto questo, o da considerazioni simili, deducevi che la natura è disordine ed è male. Ora, io mi domando: male per chi? Rispetto a che cosa? Evidentemene, per l’uomo e rispetto alle sue esigenze…

GIULIANO: – Non solo per l’uomo. Per tutti gli esseri viventi: piante e animali. Per lo stesso regno minerale, posto ch’esso sia suscettibile di sensazioni: il gelo e il calore torrido, il ghiaccio e l’ardore del sole fanno una guerra eterna alle montagne più imponenti, e lentamente le riducono in polvere. Le stelle collassano e muoiono, oppure esplodono, sotto forma di novae o supernovae; le nebulose si smembrano, si dissolvono. Lo scrittore Nikolaj Nekrasov si chiedeva, nel titolo di una sua celebre opera, Chi vive bene in Russia?. Ora, io trasformerei così la domanda: chi vive bene nell’Universo? E la risposta, dall’organismo unicellulare al più grande filosofo di tutti i tempi, sarebbe, necessariamente, sempre la stessa: nessuno, assolutamente nessuno.

SANDRA: – E sia pure. Te lo concedo in via ipotetica, benchè forse non tutti i viventi siano così disperatamente inelici, come tu sostieni. Tu e molti altri, d’acordo; in questo sei in buona compagnia: basti pensare a Buddha, uno dei più grandi uomini mai vissuti in tutti i tempi. Dunque, te lo concedo: almeno per adesso. Ma il fatto che la vita sia dolore, non significa automaticamente che la natura sia disordinata. Per sostenere ciò, bisognerebbe prima dimostrare che la qualità fondamentale dell’ordine sia quella di produrre felicità o, quantomeno, benessere; il che non è affatto scontato.

GIULIANO: – Vedo che urge dare una definizione filosofica di "ordine" e "disordine". Vuoi provare tu, dato che oggi giochiamo, per così dire, in casa tua?

SANDRA: – Proviamo. Ritengo che "ordine" si possa definire uno stato di funzionalità, armonico sviluppo ed efficace coordinamento all’interno di un sistema, derivante dalla perfetta integrazione di tutte le sue componenti. "Disordine", al contrario, sarà lo stato di conflittualità, disorganizzazione e cattivo funzionamento delle varie parti di un sistema, tale da portare quest’ultimo verso una crescente dispersione, un prevalere delle forze centrifughe e, in ultima analisi, al collasso totale e all’autodistruzione. Che te ne sembra? Puoi accettare queste definizioni?

GIULIANO: – Forse sì. Però temo che si ripresenti la difficoltà di prima. Quando diciamo "funzionalità, armonico siluppo ed efficace coordinamento all’interno di un sistema", quale punto di vista assumiamo? Quello della gazzella o quello del leone?

SANDRA: – Che cosa vuoi dire?

GIULIANO: -Che il leone e la gazzella, il cacciatore e la preda, l’uccisore e l’ucciso, verosimilmente avrebbero punti di vista non proprio collimanti circa l’armonia e la funzionalità del sistema di cui fanno parte.

SANDRA: – Credo proprio di no.

GIULIANO: – Quale punto di vista assumere? Un terzo, e super-partes? Ma questo, se mai esiste, non potrà mai essere quello dell’uomo. Anche noi siamo entro il sistema della natura; anche noi siamo parte in causa. Inoltre, difficilmente troveremo due esseri umani disposti a sottoscrivere un medesimo punto di vista in proposito. E allora?

SANDRA:- Un momento: qui, forse, c’è un malinteso da chiarire. Il disordine può produrre sofferenza, ma non ne è un semplice sinonimo. Anche l’ordine, del resto, può produrre dolore…

GIULIANO: – Fammi un esempio.

SANDRA: – Auschwitz. Pensa alla perfetta efficienza e funzionalità della macchina di sterminio…

GIULIANO: – D’accordo, mi hai convinto. E riprendi pure il tuo ragionamento.

SANDRA: – Allora, vogliamo porre il quesito: la natura è ordinata o disordinata? Certo, mi rendo conto che si tratta di una questione enorme. Quando nasce un vitellino con due teste, qualcuno dirà: "Disordine, per Giove!". Ma poi, considerando la perfetta geometria di una tela di ragno, un altro salterà su a dire: "Più ordine di così…". Dunque, forse la cosa migliore è considerare la natura nel suo complesso, per quanto possibile. È un insieme ordinato, in cui, cioè, le singole parti concorrono al buon funzionamento del tutto?

GIULIANO: – Temo che ci troviamo nella condizione di una formica che voglia giudicare il monte Everest nel suo insieme, e anche peggio…

SANDRA: – Sì, certo. Dobbiamo tentare una valutazione molto, molto approssimata. Quel che gli astronomi e i fisici stanno scoprendo sull’età dell’Universo, sulla velocità di espansione delle galassie e tutto il resto, comunque, mi sembra che autorizzi una risposta più o meno del seguente tenore: l’Universo è un insieme che, a partire dalla massima semplicità, ha raggiunto un notevole grado di complessità e continua ad evolversi con un crescente aumento dell’entropia, ossia della quantità misurabile di disordine. Cioè, la la natura procede verso livelli sempre maggiori di disordine: non esistono l’ordine e il disordine in quanto realtà separate e contrapposte, bensì vi è un passaggio graduale dall’uno all’altro; e, forse, viceversa.

GIULIANO: – Dal disordine all’ordine, dal Big Bang al Big Crunch?

SANDRA: – Esatamente. Quando tutta la materia e l’energia dell’Universo torneranno alle dimensioni di una palla da tennis, e meno ancora: fino a quelle di un punto.

GIULIANO: – In onclusione, tu affermi che è semplicistico e fuorviante chiedersi se la materia sia ordinata o disordinata. Bisogna vedere in quale sequenza temporale ci troviamo ora, di dispersione o contrazione, per esempio; oppure, su scala terrestre, di fase glaciale o interglaciale, per prima cosa. Per giungere alla prospettiva da cui ordine e disodine si svelano come due poli di una stessa evoluzione, e in cui l’uno sarebbe impensabile senza l’altro.

SANDRA: – Hai colto perfettamente il senso del mio ragionamento. Del resto, credo che anche il tuo Anassimandro intendesse qualcosa el genere, quando affermava che "tutti gli esseri devono, secondo l’ordine del tempo, pagare gli uni agli altri il fio della loro ingiustizia". (15) Laddove "ingiustizia" era, probabilmente, la nascita degli enti, che si manifesta come rottura dell’unità originaria del tutto (16); oppure la tendenza propria di ciascun elemento (terra, acqua, aria, fuoco) a estendere il suo dominio a scapito degli altri, turbando i limiti fissati dalla natura stessa. (17) Così, noi potremmo dire che l’"ingiustizia" del disordine deve pagare il fio all’ordine, e viceversa." (18)

GIULIANO: – Bene, Sandra: fin qui ti seguo e sono d’accordo col tuo ragionamento.

SANDRA: – Ordine e disordine, concludendo, sono punti di vista parziali e perciò insufficienti: in realtà, è inconcepibile un mondo totalmente ordinato o totalmente disordinato, così come è inconcepibile il caldo senza il freddo, o il buio senza la luce. Quindi, alla domanda: "La natura è ordine o disordine?", risponderemo: l’uno e l’altro, necessariamente; altrimenti, non potrebbero nemmeno sussistere.

GIULIANO: – Ora, però, ci resta l’altra questione da affrontare, quella della metafisica. Ed è tutta tua.

SANDRA: – D’accordo, ci proverò. Innanzitutto, vorrei chiarire che io non postulo l’esistenza di una realtà soprannaturale per mero amore della simmetria. Può essere, come tu dici, che la natura sia tutto: molti filosofi lo hanno sostenuto. Spinoza, per esempio; ma anche Bruno e Campanella; per non parlare dei tuoi adorati milesii (19); e, naturalmente, di Democrito. (20)

GIULIANO: – Che cos’è, allora, che ti spinge a pensare che vi sia qualche cosa d’altro, oltre la natura?

SANDRA: – Il fatto che siamo così piccoli e limitati. Alcuni pensano che vi siano infiniti universi: infiniti, capisci? Infiniti non solo nel numero, ma anche nelle qualità: dei quali nulla sappiamo e nulla sapremo. Universi fatti di antimateria, per esempio…

GIULIANO: – Scusa, ma se di essi nulla sapremo, come dici: non ti pare che la loro esistenza sia per noi del tutto indifferente? Possiamo sbizzarrirci con la fantasia e immaginare un mondo identico a questo, ma dove tu hai gli occhi verdi anziché azzurri; un altro dove li hai nocciola; e così via. Ma a che serve? Essi sono nulla per noi, dal momento che mai sfioreranno la nostra esistenza, le nostre cognizioni; neanche per sapere se essi esistono veramente…

SANDRA: – No, non sono d’accordo. È qui che il materialismo mostra i suoi limiti, l’insufficienza del suo approccio alla realtà. Ammettere che quest’ultima è infinitamente più grande di noi, significa anche attrezzarci psicologicamente nei confronti di questo infinito, essere disponibili ad accoglierlo almeno concettualmente. Cambia la nostra visione del mondo, ma cambia anche il nostro approccio alle cose. Non tutto si può sottomettere alle nostre abituali categorie conoscitive…

GIULIANO: – Sicché, dovremmo permettere che l’esistenza (puramente ipotetica) di una sovra-natura, o anche solo di una natura inconoscibile, modifichi la percezione che abbiamo di noi stessi e del mondo… Non è un po’ azzardato?

SANDRA: – E voi, che vorreste pensare tutta la realtà con le limitate categorie mentali di un piccolo essere che abita (incidentalmente, direte voi) un minuscolo, sperduto pianeta di una insignificante galassia, non somigliate un po’ a quel bambino che voleva travasare in una buca sulla spiaggia, l’intera acqua del mare?

GIULIANO: – Anche sant’Agostino, adesso… (21)

SANDRA: – Certo, ma per avere questo senso del limite, del mistero, non è necessario abbracciare una determinata fede religiosa. È sufficiente sentire la piccolezza dell’uomo e la maestà del tutto

GIULIANO: – Il mistero è ciò che non si sa ancora razionalmente spiegare. Altro è cercar di chiarirlo, altro è genuflettersi e adorarlo come fosse una realtà in sé, addirittura la realtà ultima e vera…

SANDRA: – Sicché, la scienza non deve porsi alcun limite?

GIULIANO: – Non dal punto di vista concettuale. Deve cercar di spiegare la realtà, sempre, fin dove può; e dove non può, deve provare e riprovare, costruendo i materiali per la conoscenza di domani. Dal punto di vista pratico, naturalmente, non tutto quel che la scienza può fare dev’essere fatto. Clonare gli esseri umani, per esempio, è una follia, e non porterà nulla di buono. Ma porre dei limiti al suo campo di ricerca, che è aperto a trecentosessanta gradi, non può; a meno di tradire sé stessa.

SANDRA: – Cosa intendi quando dici che il suo campo di ricerca è aperto a trecentosessanta gradi?

GIULIANO: – Limitatamente alla natura, si capisce. Che è fatta di materia ed energia.

SANDRA: – E al di fuori della quale non c’è null’altro, vero?

GIULIANO: – A rigor di termini, non lo so. Nessuno può saperlo, con gli strumenti della scienza. Preferisco dichiararmi agnostico piuttosto che venir tacciato di sconsiderata presunzione.

SANDRA: – Bene. E dove il tuo agnosticismo si ferma, posso continuare io, per altre strade?

GIULIANO: – Certo. Come pensi di procedere?

SANDRA: – In primo luogo, rinunciando agli strumenti della scienza. Quel che cerco non lo troverò mai col telescopio, e neppure al microscopio. Ma non rinunciando alla ragione. Appellandomi alla totalità della coscienza, che è fatta anche di un’anima razionale, ma non solo. Be’, arrivati a questo punto forse ti aspetterai qualche grande rivelazione: spiacente di di deluderti. Non sono una mistica, né una logica (anche con la logica, infatti, si può inferire l’esistenza di una realtà metafisica). Mi limito a una semplice esprienza psicologica: "sento" che la natura, la natura visibile e sperimentabile con i cinque sensi (e anche quella invisibile, ma deducibile razionalmente) è una parte della realtà, ma non il tutto. Deluso?

GIULIANO: – No, continua pure.

SANDRA: – Ora, mi chiedo: la realtà dell’Essere, la realtà nella sua interezza, è ordine o disordine? Perché è qui che volevamo arrivare; che volevo arrivare, anzi.

GIULIANO: – Non ti sarà facile rispondere, se tu stessa dici che questa realtà "ulteriore" non è percepibile né verificabile con i cinque sensi…

SANDRA: – Ma non è detto che i cinque sensi esauriscano il nosro "io" percipiente: a meno di tornare al sensismo, a Condillac, secondo il quale noi siamo come delle statue di marmo che si aprono alla realtà mediante le finestre dei nostri cinque sensi. Visione che a me, scusa, sembra un pochino rozza, per non dire antiquata…

GIULIANO: – Te lo concedo: questo è l’aspetto grossolano dell’Illuminismo.

SANDRA: – Ora, se la natura è solo una parte della realtà; e se quest’altra parte, supposta ma non dimostrata, si sottrae all’esperienza sensibile, ne consegue che la realtà intera dell’io è una relazione tra ciò che possiamo sperimentare e ciò che sta oltre la soglia, la meta-fisica. Il mio io individuale è questa relazione: vi sono, in esso, delle stanze chiuse e disabitate, delle quali vari indizi mi suggeriscono tuttavia l’esistenza… Vi sono intuizioni, emozioni che stento a spiegare con i soli cinque sensi e con la facoltà raziocinante. E sento che mi mutilerei ingiustamente, se negassi a me stessa questa consapevolezza. "Vi sono più cose fra la terrae il cielo, Orazio, di quante ne possa immaginare tutta la vostra filosofia", dice Shakespeare. (22) Vedo che scuoti la testa, che non ce la fai a seguirmi. Ma io non ti ciedo di sentire come me: ti invito solo a non chiudere le porte su questa possibilità.

GIULIANO: – Ah, questo no: perché chiudere le porte? Solo i fanatici lo fanno. Lasciamole pure socchiuse.

SANDRA: – Ora, per avviarmi a concludere, questa realtà "altra" che talvolta s’intravede (scusa, che alcuni intravedono) oltre la soglia dei cinque sensi e del pensiero razionale, penso che debba necessariamente porsi in un rapporto dialettico con la realtà sensibile. E, di conseguenza, che non si tratti – anche qui – di stabilire se la realtà, tutta la realtà (naturale e metafisica) sia ordine o disordine, ma semplicemente di prendere atto che entrambi gli aspetti sono presenti, complementari e necessari. Anche se l’ordine, in ultima analisi, non può che essere la relazione armoniosa fra i due diversi piani della realtà, tanto nell’esperienza intima e soggettiva dell’io, quanto nell’infinita complessità del tutto…

GIULIANO: – Mi fai venire in mente quei versi di Ungaretti: "Il mio supplizio è quando non mi credo in armonia"… (23) Senti, vorrei farti una domanda impertinente: non può essere, semplicemente, che ti secchi l’idea di dover affrontare una vita casuale e senza scopo, incomprensibile, del tutto abbandonata a sé stessa?

SANDRA: – Certo che quest’idea mi secca. Ma, quando dico che "sento" la presenza di una realtà extra-naturale, non sto barando con me stessa. Non cerco consolazioni, sebbene – credenza per credenza – non mi pare ci siano motivi per affidarsi a una visione del mondo cupa e disperata, piuttosto che ad una aperta alla speranza. Del resto, posso benissimo sbagliarmi; chi lo sa? Ma tu, permettimi una domanda altrettanto impertinente: perché ci tieni tanto a negare qualunque trascendenza, qualunque spiritualità, qualunque respiro di armonia?

GIULIANO: – Non ci tengo affatto, Sandra. Penso che sia così in base a quel che mi è dato di capire. Se qualcuno mi dimostrasse il contrario, ne sarei lieto. Senza voler negare che si possano trovare delle risposte nella trascendenza, come accade a te e a tante persone come te, a me questo non è possibile, e rifiuto le favole consolatorie. Penso che la vita sia male, che sia un tragico errore. Che, però, dobbiamo affrontarla onestamente e coraggiosamente, guardando in faccia la realtà: e non solo quella esterna, ma anche la realtà dei nostri sentimenti più profondi, quelli che le persone "perbene" nascondono perfino a sé stesse. Penso che abbiamo il dovere di non tradire la verità che è in noi, e che molte sofferenze potremmo evitare, a noi stessi e agli altri, se cercassimo di essere più leali in proposito.

SANDRA: – Su quest’ultima affermazione mi trovo pienamente d’accordo. Solo che non è sempre facile avere il coraggio della propria intima verità, e penso che si debba essere indulgenti con coloro che non ce la fanno. A chi credi non sia mai capitato di fuggire gettando il proprio scudo, come fece il poeta Archiloco?

Il giardino respirava, vivo, nell’aria rinfrescata dal temporale. (24)

NOTE

13) De rerum natura, V, 195-235. Cfr. spec. i vv. 198-99: "… il mondo non venne proprio creato per volontà superiore, a nostro comodo; tanto ci si rivela imperfetto" (trad. B. Pinchetti).

14) Precisamente, nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo (composto al 2 al 6 marzo 1824). Il motivo centrale dell’operetta è l’indifferenza del cosmo ai destini umani. Alcuni dei motivi ispiratori pervennero certamente al Leopardi attraverso la mediazione di Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757), Entretiens sur la pluralitén des mondes (Conversazione sulla pluralità dei mondi), 1686. Cfr. G. Leopardi, Operette morali, Milano, 1976, a cura di Saverio Orlando, p. 100.

15) Anassimandro, fr. 1 Diels.

16) È la tesi di N. Abbagnano- G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, 1992, vol. 1, p. 36.

17) È la tesi di B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, 1970, vol. 1, pp. 55-56.

18) Sull’intera questione, restano fondamentali R. Laurenti, Introduzionea Talete, Anassimandro e Anassimene, Bari, 1971; A. Covotti, I presocratici, Napoli, 1934; E. Paci, Storia del pensiero presocratico, Torino, 1957.

19) Talete, Anassimandro, Anassimene, i quali erano tutti nati e vissuti a Mileto, colonia ionica sulla costa dell’Asia Minore, fra VII e VI secolo a. C. La cronologia approssimativa è dal 640 al 585 per Talete, dal 610/9 al 547/6 per Anassimandro, dal 585/80 al 528/4 per Anassimene. Cfr. F. Adorno – T. Gregory – V. Verra, Storia della filosofia, Bari, 1979, pp. 18-21.

20) "Verità sono solo gli atomi e il vuoto", afferma Democrito (cfr. F. Adorno, cit., p. 46), tutto il resto è "dòxa", opinione. A rigore, il sistema della natura di Democrito è ateistico, mentre quello di Spinoza, Bruno e Campanella è panteistico.

21) Si tratta di una leggenda popolare molto antica, che ha ispirato artisti come Rubens (Galleria nazionale di Praga) e Benozzo Gozzoli (San Gimignano), che nel bambino portatore d’acqua ha raffigurato lo stesso Bambino Gesù. Ancora oggi si mostra, lungo il litorale tirrenico tra Civitavecchia e Orbetello, presso il promontorio di Ansedonia, la cosiddetta "spiaggia di sant’Agostino" (ma quest’ultimo, durante la sua permanenza in Italia, aveva soggiornato a Ostia, molto più a sud). Su questa leggenda cfr. C. Cremona, Agostino d’Ippona, Milano, 1986, pp. 308-09.

22) Shakesperare, Amleto, Atto I, scena V.

23) G. Ungaretti, I fiumi (da L’Allegria) , vv. 32-35.

24) Sul giardino come "paradiso" cfr. P. Porcinai- A. Mordini, Giardini d’Occidente e d’Oriente, Milano, 1966, spec. p. 20 sgg. Ved. anche R. Baschera- W. Tagliabue, Lo spazio magico, Milano, 1990.

QUARTO GIORNO: TEMPO E IRREVERSIBILITA’

SANDRA: – Tra pochi giorni sarà il solstizio d’estate.

GIULIANO: – Sì. Ma tu mi sembri un po’ pensosa, un po’ malinconica, Sandra.

SANDRA: – Stavo pensando alla dolcezza meravigliosa di queste lunghe giornate di giugno, e a come, fra poco, incominceranno irreversibilmentead accorciarsi…

GIULIANO: – Ma abbiamo ancora davanti tutta l’estate!

SANDRA: – Per me, no. Per me, psicologicamente, volgio dire, l’estate non comincia, ma in un certo senso fnisce il 21giugno. Ora la sento in questo crescere della luce, in questo dilatarsi delle ore di sole, in questi lunghissimi tramonti che sembrano non finire mai; tra poco, però, il corso delle cose comincerà a invertirsi, secondo le inesorabili leggi di natura…

GIULIANO: – E questa idea della irreversibilità, ti rende malinconica?

SANDRA: – Un poco. Ha a che fare con l’idea della fine. Inoltre, mi ricorda che ogni cosa è parte di un grandioso meccanismo il quale, a sua volta, è indifferente al destino delle singole parti…

GIULIANO: – Ma è inevitabile che sia così. Le cose sono immerse nel tempo, e il tempo significa possibilità. Dove non c’è lo scorrere del tempo, non c’è nemmeno la categoria della possibilità. La possibilità realizzata, d’altra parte, è un evento irreversibile: niente e nessuno potrà farla tornare indietro.

SANDRA: – Non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua, vero?, come diceva Eraclito.

GIULIANO: – Infatti.

SANDRA: – Tu, però, sostenevi che il destino è semplicemente la logica intrinseca delle leggi naturali. Ora, come puoi conciliare il concetto di legge naturale, e cioè di necessità, con quello di possibilità?

GIULIANO: – La contraddizione è solo apparente. Infiniti sono gli eventi possibili, ma uno soltanto effettivamente si verifica: quello che pienamente risponde alle leggi naturali.

SANDRA: – Mi pare che il filosofo Nicolai Hartmann dicesse qualcosa di simile.

GIULIANO: – Infatti. Sosteneva, cito un po’ a memoria, che "sul piano dell’essere reale, la possibilità consiste nell’insieme delle condizioni che debbono essere soddisfatte perché esso esista di fatto. Essa coincide perciò con la necessità. (1)

SANDRA: – E tuttavia, proprio questo determinismo radicale mi mette a disagio. Il possibile, e quindi l’ideale, è sempre sottoposto al dominio della realtà effettuale. Non lo so, mi par di soffocare, di essere in prigione se penso a una tal visione del mondo.

GIULIANO: – Tu, invece, come definiresti la possibilità?

SANDRA: – La possibilità è l’infinito, perché è sempre la possibilità di qualcosa; e infinite essendo le cose, infinite sono le possibilità…

GIULIANO: – La possibilità, così concepita, è sempre un infinito teorico. In pratica, quando una determinata possibilità si realizza, ecco che cessa di essere una porta per l’infinito e si mostra nella sua vera veste, molto più modesta, di semplice realtà effettuale: una fra le tante.

SANDRA: – Sì, in fondo lo sento anch’io che è così. Da bambina, per esempio, avevo la sensazione (come tutti i bambini, credo, del resto) di avere il mondo in pugno perché davanti a me si aprivano infinite possibilità: come un lunghissimo corridoio con infinte porte sui due lati… Ma poi, poco a poco, il futuro è diventato passato, e le possibilità si sono enormemente ristrette: sono ancora parecchie, ma non più infinite; e un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro, continueranno a ridursi sempre più. Finché, da ultimo, ne resterà una sola: quella di morire.

GIULIANO: Ecco, appunto quell’ultima chiarisce concettualmente il "mistero" del conflitto tra necessità e possibilità.

SANDRA: – In che senso?

GIULIANO: – Nel senso che quell’ultima possibilità, sfrondata di tutte le altre che ormai hanno cessato di esistere, mostra perfettamente l’assoluta coincidenza di quel che è possibile e di quel che deve accadere. Accade quello che è necessario; quello che è conforme alle leggi di natura.

SANDRA: – Vorrei che tornassimo a parlare del tempo. Tu, prima, hai affermato che il tempo significa possibilità, perché solo dove il tempo scorre, le cose possono accadere. Giusto?

GIULIANO: – Giusto.

SANDRA: – E poi hai detto che la possibilità realizzata fonda la categoria della irreversibilità. Quindi, tempo e irreversibilità sono profondamente correlati.

GIULIANO: – Sì, è così.

SANDRA: – Ma chi ha detto che il tempo deve scorrere in avanti? Perché, se potesse muoversi liberamente anche all’indietro (come avviene per le tre dimensioni dello spazio) ecco che ci si potrebbe bagnare due volte nella stessa acqua, a dispetto di Eraclito; e nulla sarebbe più irreversibile…

GIULIANO: – D’accordo, cerchiamo di chiarire questo punto. Ma dimmi, prima che incominciamo: sbaglio, o c’è una specie di fatto personale, fra te e il concetto di irreversibilità?

SANDRA: – Non sbagli. È qualcosa di personale, ma tu sai di cosa si tratta. C’è, nel mio passato, una cosa che vorrei non aver mai fatto, e che condiziona l’intera mia vita. Oh, come vorrei non averla fatta! Ma poiché l’ho fatta, ho bisogno di credere che non sia davvero irreversibile… intendiamoci, razionalmente so bene che non è possibile. Pure, per sopravvivere, accade che ci si aggrappi a pensieri, a speranze extra-razionali… o, almeno, per me è così.

GIULIANO: – Questa è una esigenza psicologica, contro la quale non possono esistere obiezioni di principio. Ma la filosofia, come esigenza della ragione, non può sottomettersi alla psicologia.

SANDRA: – Eppure, la conoscenza è sempre conoscenza di qualcosa. Ciò significa che noi conosciamo non già le cose in sé, ma quel che di esse può cogliere il nostro io… che è come dire che la psicologia, in fin dei conti, è l’unica forma possibile della conoscenza.

GIULIANO: – Ma gli enti della matematica, il numero per esempio, esistono indipendentemente dal nostro percepirli… checché ne dica Berkeley col suo "esse est percipi". La somma degli angoli di qualunque triangolo (almeno nella geometria euclidea) sarà sempre di centottanta gradi, che a noi piaccia o no. Diceva Max Scheler: " Niente è visto che non sia dato e niente è dato al di fuori di quel che è visto." (2)

SANDRA: – Si potrebbe, però, rovesciare la frase: se niente è dato al di fuori di ciò che è visto, significa che le cose, in realtà, sono per così dire nel nostro occhio, e non altrove…

GIULIANO: – Va bene, la questione è troppo complessa e ci allontanerebbe eccessivamente dal nostro assunto. Torniamo al problema del tempo e dell’irreversibilità, che ti stava maggiormente a cuore.

SANDRA: – D’accordo.

GIULIANO: – Tu chiedevi perché la feccia del tempo non potrebbe scorrere nelle due direzioni. E se lo sono chiesto anche i più grandi fisici dell’epoca moderna.

SANDRA: – E qual è il punto dell’attuale discussione, in proposito?

GIULIANO: – Aspetta, voglio leggertelo. Vieni dentro con me. Ecco qui il mio vecchio, caro testo di fisica.Lascia che ti legga questa pagina: "Un principio di invarianza afferma che le leggi della natura debbono rimanere invariate quando mutano le coordinate spaziali o temporali che compaiono direttamente o indirettamente nelle leggi. In particolare, il principio di invarianza temporale (…) asserisce che ogni processo fisico possibile è altresì possibile anche se si evolve nell’ordine cronologico opposto. A seguito dell’inversione delle coordinate temporali, le leggi della fisica debbono risultare concettualmente valide." Mi segui, Sandra?

SANDRA: – Sì, certo. Direi che è una delle conseguenze del secondo principio della termodinamica. Ma vai avanti, ti ascolto.

GIULIANO: – "Poiché, per quanto finora sappiamo, l’invarianza per inversione temporale è una legge quasi sempr verificata, ogni fenomeno reale dev’essere perfettamente simmetrico rispetto alle due dimensioni del tempo, in altre parole dev’essere reversibile. Il guaio è che, nel complicato mondo macroscopico ed in particolare nei processi tipicamente termodinamici, ciò non avviene." (4) Eh, che te ne pare?

SANDRA: – Come disse Renzo al dottor Azzecca-garbugli: "è il mio caso." (5)

GIULIANO: – Vado avanti: "La soluzione di questo apparente paradosso consiste nel fatto che possibilità non significa probabilità. Mentre, in linea di principio, tutti i processi invertiti nel tempo sono possibili, in pratica esiste una marcata preferenza, espressa in termini di probabilità, a differenziare il processo diretto da quello inverso. Ora, quando un evento è molto semplice, per esempio l’urto fra due molecole, il processo diretto e quello invertito nel tempo (sequenza dell’evento proiettata all’indietro) presentano, in genere, la stessa probabilità. (…) Quando invece la successione degli eventi è estremamente complessa, nel senso che interessa un numero enormemente grande di molecole e di semplici processi elementari, lo svolgersi spontaneo del fenomeno si manifesta solo nella direzione di massima probabilità, direzione che noi assumiamo come la vera direzione del tempo." (6)

SANDRA: – "Questa grida sembra fatta apposta per me." (7)

GIULIANO: – Dài, piantala di recitare la parte del "povero figliuolo" di manzoniana memoria.

SANDRA: – Va bene. E ti dirò subito che, da un punto di vista filosofico, noi possiamo spingerci anche più in là dello scienziato. E là dove questi afferma che, nei processi molecolari semplicissimi (come l’urto e il rimbalzo simmetrico fra due singole molecole) esiste ed è sperimentabile la reversibilità temporale di un fenomeno, il filosofo deve invece sempre e comunque negare una tale possibilità.

GIULIANO: – Che cosa vuoi dire?

SANDRA: – Che anche se due molecole, urtandosi e rimbalzando, riproducono esattamente una sequenza temporale proiettata all’indietro, non vi è autentica reversibilità neanche in tal caso, perché riprodurre un fenomeno all’indietro nel tempo non significa riprodurlo nelle stesse identiche condizioni di prima. Vi è stata una sequenza temporale, uno scorrere del tempo, che il semplice "rovesciamento" del fenomeno non potrà mai annullare.

GIULIANO: – Aspetta, fammi capire. Tu dici che, quand’anche si potesse dare reversibilità fisica di un evento, non si avebbe reversibilità filosofica, perché il tempo è comunque passato e la situazione A1 non sarà mai la stessa di A?

SANDRA: – Esatto. Il tempo implica sempre una relazione tra gli eventi e, più precisamente, una modificazione. Io non sono più quella di un anno fa, di un minuto fa: dunque, se anche potessi tornare indietro con una "macchina del tempo", non sarei comunque la stessa persona di allora.

GIULIANO: – Sì, è vero. Ricordo che il filosofo Enzo Paci, in un suo libro, sosteneva più o meno la stessa cosa per mezzo di un esempio del tutto analogo. (8)

SANDRA: – Insomma, non si sfugge al secondo principio della termodinamica: noi non potremo mai, mai bagnarci due volte nelle stesse acque.

GIULIANO: – O nello stesso fiume. Anche il fiume è cambiato, con lo scorere del tempo: non è più lo stesso di prima (fosse pure un istante fa), allorché vi ci immergemmo la prima volta. Il principio di irreversibilità, in pratica, non ammette deroghe. Nemmeno nel caso che la freccia del tempo si invertisse.

SANDRA: – Ed è questo pensiero che mi opprime. Vorrei che mi aiutassi a esaminare meglio la questione.

GIULIANO: – … per vedere se un certo evento della tua vita può considerarsi davvero irreversibile?

SANDRA: – Sì.

GIULIANO: – Guarda che non chiedi poco. Vuoi sapere, né più né meno, se non esista il modo di sfuggire alle leggi dello spazio-tempo. È questa, infatti, la prigione che ti fa paura…

SANDRA: – Va bene. Ma tu cerca di aiutarmi a trovare questa uscita di sicurezza. Oppue persuadimi, al di là di ogni dubbio, che essa non esiste, in modo che io possa mettermi l’anima in pace.

GIULIANO: – Cominciamo dalla freccia del tempo. Il rimbalzo tra due molecole riproduce un fenomeno all’indietro, nel senso che ci dà una sequenza temporale invertita del loro urto. Ma questo, si può considerare veramente una inversione della freccia del tempo? Secondo me, no. Proiettare un film al contrario non vuol dire capovolgere il tempo, ma parafrasare all’indietro la sequenza temporale "esatta".

SANDRA: – E qual è la differenza?

GIULIANO: – La differenza è che invertire la freccia del tempo dovrebbe "cancellare" l’evento precedente, perché il tempo capovolto divora, per così dire, il presente tornando indietro, così come il tempo normale divora il presente andando avanti. Altra cosa è mimare lo scorrere retrogrado del tempo, con una serie di eventi che rovesciano la sequenza temporale ma non cancellano l’irreversibilità di quanto è accaduto.

SANDRA: – Ti prego, fammi un esempio concreto perché possa seguirti.

GIULIANO: – Immagina di avere una macchina da presa e di riprendere la seguente scena.: la mia mano che spinge una tazzina di caffè oltre il bordo del tavolo. La tazzina che cade verso il basso. La tazzina che si frantuma in cento pezzi. Ecco, e adesso immagina di proiettare il filmato prima normalmente, e poi all’incontrario. I cento pezzi in terra della tazzina che si ricostituiscono perfettamente; la tazzina che risale verso l’alto; la tazzina che si posa sul tavolo mentre la mia mano si allontana da essa. Ci siamo?

SANDRA: – Perfettamente.

GIULIANO: – Bene. Ora immagina che quanto abbiamo visto nel film sia realmente accaduto.

SANDRA: – Che cosa? La caduta e la rottura della tazzina, o la sua miracolosa resurrezione?

GIULIANO: – Entrambi gli eventi. A questo punto ti chiedo: l’evento B (la resurrezione della tazzina) è davvero un esempio di inversione temporale?

SANDRA: – Credo di incominciare a capire.

GIULIANO: – Allora rispondimi.

SANDRA: – Non è un esempio di inversione, perché la tazzina, nell’evento A, si era effettivamente rotta in cento pezzi; e anche se l’evento B l’ha ripristinata, non ha potuto cancellare la realtà dell’evento A, ma solo le sue conseguenze.

GIULIANO: – Perfetto. Che cosa ne concludiamo?

SANDRA: -Che un evento, qualora passi dallo stato di possibilità a quello di compimento, è incancellabile, cioè irreversibile.

GIULIANO: – Infatti, perché l’evento B costituisse un esempio di reversibilità dell’evento A, sarebbe stato necessario non solo che cancellase le conseguenze dell’evento A, ma la sua stessa realtà: ingoiando, percosì dire, tutta la successione temporale dell’evento A, in modo da annullarlo come se non fosse mai esistito. Ora, tu sai che in passato molti filosofi si sono posti il problema se Dio stesso potrebbe, nella sua onnipotenza, "cancellare il passato", facendo in modo che le cose accadute non siano accadute. Ma hanno dovuto concludere, quasi tutti, che nemmeno Dio stesso potrebbe fare una cosa simile.

SANDRA: – Mi pare che già Aristotele sosteneva una cosa del genere…

GIULIANO: – E Guglielmo di Okham lo ha ribadito una volta per tutte: vi è un limite alla potenza assoluta di Dio, "quello di non poter far sì che non siano accadute le cose accadute." (9) Infatti, aggiungiamo noi, non c’è alcuna nicchia vuota, nel passato, in cui potremmo cancellare quello che è accaduto, ponendovi un nuovo contenuto; mentre il futuro contiene infinite nicchie vuote, pronte ad accogliere quello che accadrà.

SANDRA: – Va bene, fin qui ti seguo. Però, consentimi un’obiezione. Prova anche tu a immaginarti una piccola scena, per capire meglio quello che voglio dirti. Immaginati Sandra, cioè me, bambina di otto ani. Sto giocando nel giardino di casa. A un certo punto mi vien voglia di adornarmi i capelli con un fiore, una piccola margherita che spunta nel prato. La colgo. Ecco, la margherita è stata strappata; non c’è più. Te la vedi?

GIULIANO: – Certo. Te la sei infilata dietro l’orecchio destro, e corri ad ammirarti davanti allo specchio.

SANDRA: – Benissimo. Ora, immaginiamo che Dio voglia ristabilire la situazione iniziale. A tale scopo, farà scorrere all’incontrario la freccia del tempo: e, arrivato al "punto" in cui la bambina Sandra sta per strappare la margherita, la farà correre invece in un altro angolo del giardino, per esempio a osservare un usignolo che si è posato su un ramo del salice, e gorgheggia melodiosamente. Il fiore è di nuovo in cima al suo stelo, sano e salvo. Non è stato strappato e, poi, ricostituito: non è mai stato strappato. L’azione di strapparlo è sata cancellata, annullata, divorata dal movimento retrogrado del tempo.

GIULIANO: – Ma questo non è possibile. Tu l’avevi strappato; e, per dirla ancora con Hartmann, "un’azione, una volta innestatasi nell’esserci, continua a vivere, non viene mai meno, anche se il moto dell’onda che da essa procede, si rompe, si indebolisce, sfocia nella corrente più grande del corso del mondo: essa è immortale come ogni reale." (10) Il fiore strappato, cara Sandra, è strappato persempre.

SANDRA: – Vuoi togliermi proprio ogni speranza, eh?

GIULIANO: – Ti dirò di più. Ammettiamo, per assurdo, che l’azione passata si possa annullare, cancellare. Ebbene, ciò cambierebbe la storia del mondo. Un’azione, qualunque azione, anche la più modesta, è legata con fili innumerevoli ad infinite altre, influenzandole anche indirettamente, attraverso i giorni e i secoli. Se quel fiore non viene strappato, il mondo risulterà diverso da quello che risulta dall’averlo strappato. Ora, è impossibile ammettere che un’azione, annullata nel passato, produca effetti per il futuro. Avremmo infatti una situazione in cui un evento "annullato", come se non fosse mai esistito, produce modificazioni sul reale, essendo causa di cambiamenti: cambiamenti impossibili, perché implicherebbero un diverso corso della storia rispetto a quello effettivamente accaduto. Diverso, cioè, rispetto a quello che sarebbe se l’azione passata non fosse stata annullata. Avremmo, cioè, due ordini di sviluppo storico, differenti e paralleli, e tuttavia entrambi logicamente necessari: quello derivante dall’azione passata X, e quello derivante dalla sua soppressione. Mi segui?

SANDRA: – Non ne sono sicura.

GIULIANO: – Ecco, guarda: te lo disegno su un pezzo di carta [vedi il disegno sul numero 7 del 2003 del Quaderni filosofici, p. 14]. La linea a) rappresenta lo sviluppo deli eventi dopo l’azione X. La linea b) rappresenta lo sviluppo degli eventi nell’ipotesi che l’azione X venga annullata mediante una contro-azione che ristabilisca, nel punto X, la situazione iniziale. Per esempio, nella sequenza temporale a) Carlo Martello sconfigge gli Arabi a Poitiers l’anno 732 dopo Cristo, salvando l’Europa dall’invasione (come è realmente avvenuto); mentre nella sequenza temporale b) Carlo m Martello è sconfitto e ucciso e l’Europa viene rapidamente islamizzata. Che te ne pare? Tanto la sequenza a) quanto la sequenza b) sono legittime da un puntodi vista concettuale. La sequenza a) è quella verificatasi effettivamente; la sequenza b) è quella che dovrebbe verificarsi, annullando l’azione X. Ma non possono esistere, contemporaneamente, due diverse sequenze temporali perla stessa serie di eventi. Avremmo due diversi piani di realtà, due "universi paralleli", simili in parte, ma distinti e di fatto non comunicanti.

SANDRA: – Già. Come dicevi l’altra volta: in uno avrei gli occhi verdi, in un altro li avrei nocciola. Ma quale sarebbe l’universo "vero"?

GIULIANO: – La realtà è che la mente umana, che sempre pensa per immagini, non può non immaginare il futuro come una retta unica e indipendente, che esclude per sua natura – a mano a mano che la possibilità si trasorma in evento reale – tutte le altre rette "possibili".

SANDRA: – E invece…?

GIULIANO: -Senti un po’ cosa diceva il fisico Luois de Broglie: "Tutto ciò che per noi costituisce il passato, il presente e il futuro, è dato in blocco. (…) Ciascun osservatore, con il passare del suo tempo, scopre, per così dire, nuove porzioni dello spazio-tempo, che gli appaiono come aspetti successivi del mondo materiale, sebbene in realtà l’insieme degli eventi che costituiscono lo spazio-tempo esistesse già prima di essere conosciuto" (11)

SANDRA: – Ma questo è sconvolgente. Tu vuoi dire che non solo il passato è scritto una volta per sempre, ma che anche il futuro è già scritto, da qualche parte?

GIULIANO: – Esatto. Solo che noi, dal nostro particolare angolo di spazio-tempo, non riusciamo acora a vederlo.

SANDRA: – È solo una credenza, o pensi di poterla fondare logicamente?

GIULIANO: – Penso si possa fondare logicamente. Abbiamo detto, prima, che gli eventi reali sono sempicemente la probabilità che le leggi di natura hanno reso necessaria, facendola prevalere su tutte le altre. Allo stesso modo, dall’insieme degli eventi passati e presenti si potrebbero dedurre – se solo possedessimo dei calcolatori infinitamente sofisticati – tutte le conseguenze possibili e, tra queste, selezionare quelle effettivamente necessarie, cioè quegli eventi futuri che realmente accadranno.

SANDRA: – Ti avevo chiesto una mano d’aiuto per sfuggire, se possibile, alla legge dell’irreversibilità riguardo al passato, e tu me la ribadisci addirittura per il futuro. Vuoi proprio ridurmi alla disperazione?

GIULIANO: – No, perché tu stessa, poc’anzi, ti sei resa conto che il tuo bisogno irrazionale di modificare il passato affonda le sue radici nella psicologia; ossia, nel caso specifico, in una esperienza di sofferenza spirituale. Ebbene i dolori dell’anima si curano con l’esperienza ella vita stessa e non sognando impossibili macchine del tempo per tornare indietro, per rovesciare il cono di Minkovsky. (12) Quanto a me, sono pronto a darti una mano. Ma la realtà è che solo il tempo (proprio lui!, ma nella sua direzione "naturale", beninteso) può, lentamente, medicare le ferite. Il tempo, la pazienza e la capacità di guardare avanti.

SANDRA: -Sì, lo so. Dal punto di vista razionale so che è così, ma…

GIULIANO: -… non ti basta, vero? Vorresti una scorciatoia.

SANDRA: – Già. Una bella autostrada sopraelevata, lungo la quale si possa correre a dueento all’ora. E lasciarsi dietro, per sempre, tutte le cose tristi.

GIULIANO: -Forse è proprio qui l’inganno. Non bisogna "lasciarle indietro" ma portarle con sé: e tuttavia procedere. Procedere ricordando. Questo, del resto, è il concetto kierkegaardiano della "ripresa". (13)

SANDRA: – "Procedere ricordando": bello. Sì, credo sia questo che bisogna fare – dal momento che è impossibile scrollarsi il passato di dosso. E il coraggio per farlo, dove cercarlo?

GIULIANO: – Nella consapevolezza che questa è l’unica strada praticabile. Non ve ne sono altre. E tantomeno percorrendo a ritroso la strada del tempo, cercando un’impossibile "seconda occasione" per quello che ormai è accaduto. Non credi?

SANDRA: – Ci penserò. Pure, prima di arrendermi all’evidenza, voglio riservarmi l’opportunità di riconsiderare con calma, per mio conto, tutta la questione. Ho bisogno di riflettere. Ma tornerò a parlarne con te, lo prometto, qualunque sia la conclusione cui giungerò. Chi altro mi ascolterebbe con tanta pazienza?

NOTE

1) N. HARTMANN, cit. in A. PIERETTI, Storia del pensiero occidentale, vol. 6, Milano, 1975, p. 292.

2) M. SCHELER, Der Formalismus in der Ethik, ed. 1966, p. 70.

3) A. CAFORIO- A. FERILLI, Physica, Milano, 1983, vol. 2, p. 275.

4) Ibidem, , p. 275.

5) A. MANZONI, I promessi sposi, cap. III.

6) CAFORIO- FERILLI, cit., pp. 275-6.

7) A. MANZONI, Ibidem.

8) Cfr. E. PACI, Tempo e relazione,Milano, 1965, p. 16: "Anche se un mago, in questo preciso momento, mi facesse tornare com’ero quando avevo due anni, il bambino che oggi tornerei ad essere sarebbe pur sempre un altro bambino, in un’altra situazione, in un’altra spazio-temporalità."

9) Cfr. A. GHISALBERTI, Onnipotenza divina e contingenza del mondo in Guglielmo di Ockham, in A.A. V.V., Sopra la volta del mondo. Onnipotenza e potenza assoluta di Dio tra Medioevo e Età moderna, Bergamo, 1986, p. 46.

10)N. HARTMANN, Cit., vol. 6, p. 290.

11)L. De BROGLIE, in P. A. SCHLIPP, Albert Einstein scienziato e filosofo, tr. it. Torino, 1958. celeb

12)Sul celebre diagramma detto "cono di Minkovsky" o "cono di luce" e sul fatto

che esso, essendo euclideo, non esclude (almeno in via teorica) che si diano dei coni di luce caratterizzati da curve temporali chiuse e perciò da "ritorni nel passato", cfr. R. GIOVANNOLI, La scienza della fantascienza, Milano, 1991, pp. 215-19.

13)Cfr. S. KIERKEGAARD, La ripresa, tr. it. Milano, 1983, p. 15: "Come i greci insegnavano che conoscenza è reminiscenza, così la filosofia moderna insegnerà che tutta la vita è una ripresa. (…) Ripresa e reminiscenza rappresentano lo stesso movimento ma in direzione opposta, perché ciò che si ricorda è stato, ossia si riprende retrocedendo, mentre la vera ripresa è un ricordare procedendo. Perciò la ripresa, ammesso che sia possibile, rende l’uomo felice, mentre la reminiscenza lo rende infelice."

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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