
Sulla natura del riso
27 Febbraio 2006
La flora sub-antartica di Mas a Fuera
3 Marzo 2006Articolo pubblicato su "Umanità nova", settimanale fondato da Errico Malatesta, del 6 novembre 1988, pp. 4-7; e tradotto poi in spagnolo e in inglese; vedi sito Internet Kate Sharple Library. Viene ripubblicato ora (marzo 2006) con alcune aggiunte e modifiche.
Un intellettuale lucido e acutissimo, autore di saggi fondamentali per la comprensione dei grandi rivolgimenti politici del ‘900 (le due rivoluzioni russe del 1917, il "biennio rosso" e la presa del potere in Italia da parte del fascismo) da un punto di vista libertario.
Un militante anarchico generoso e infaticabile, avvezzo al carcere e al confino, alle aggressioni fisiche dei picchiatori fascisti e alla strada dell’esilio; uno dei pochi professori che rifiutarono il giuramento di fedeltà al regime dopo il 1922, e che per questo perse la cattedra che aveva sempre tenuto con onore.
Un organizzatore tenace, infine, del movimento, amico e seguace di Errico Malatesta (di cui ha lasciato una biografia commossa e articolata), sostenitore del comunismo anarchico, delle lotte operaie; presente al Congresso anarchico internazionale di Amsterdam del 1907. Questo è stato Luigi Fabbri, una figura della quale non si parla oggi forse abbastanza, non si leggono a sufficienza i suoi libri ed opuscoli, che di tanta scottante attualità sono portatori, nonostante egli sia morto ancor prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Era nato il 23 dicembre 1877 a Fabriano, in provincia di Ancona: una delle zone "classiche" di diffusione dell’anarchismo (insieme alla Romagna, al Valdarno, al Carrarese e allo Spezzino), che sarà l’epicentro della famosa "settimana rossa" insurrezionale del 1914. L’infanzia e la prima giovinezza le trascorre più a sud, sempre nelle Marche, a Montefiore dell’Aso (provincia di Ascoli-Piceno), poi frequenta il liceo di Recanati (il "natìo borgo selvaggio di leopardiana memoria). A quindici anni, nel 1893, conosce le dottrine anarchiche e le abbraccia d’istinto: da allora la sua milizia ideale sotto le bandiere rossonere della libertà sarà definitiva, ed egli vi dedicherà tutte le sue forze e tutta la sua intelligenza. A differenza di un Kropotkin o di un Eliseo Réclus, studiosi e anarchici, capaci anche di un’attività scientifica del tutto indipendente dalla politica (tali gli studi del primo sulla geologia dell’èra glaciale e sull’orografia dell’Estremo Oriente e dell’Asia Centrale, e quelli del secondo nel campo della geografia generale terrestre), Fabbri studioso e militante saranno da questo momento una sola cosa.
La sua sete di sapere, di approfondire, di vagliare alla luce di una coscienza critica ed estremamente vigile, sarà messa al servizio di un’ininterrotta battaglia per la diffusione dell’ideale libertario. Battaglia che non si interrompe neanche durante i periodi di detenzione; il primo arresto è del 1894, a sedici anni, sotto l’imputazione di aver stampato e diffuso materiale antimilitarista. La prima guerra italo-etiopica è in pieno svolgimento (fra poco arriverà il sanguinoso disastro di Adua) e Francesco Crispi, così come persegue con tenacia il progetto di costruire un vasto impero italiano in Africa orientale – progetto che sarà ripreso poi e portato a termnine da Mussolini nel 1935-36 – all’interno usa la mano pesante con gli oppsoitori della sua politica sociale; ne sanno qualcosa i Fasci siciliani e i cavatori di marmo di Carrara. Nel ’96 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza presso l’Università di di Macerata: L’anno dopo conosce Malatesta, ne viene subito conquistato e diventa uno dei suoi migliori amici e più fidi collaboratori.
Malatesta è della classe 1855, ha dunque ventiquattro anni più di Fabbri: il quale prova per il maestro un affetto filiale, mai smentito in tutta la sua vita. Se le date hanno un senso: l’anno di nascita di Luigi Fabbri è quello della "banda del Matese", che aveva visto lo sfortunato tentativo insurrezionale dello stesso Malatesta e di Carlo Cafiero sui monti di San Lupo, nel Sud più profondo e arretrato. Con Malatesta, egli inizia la sua lunga attività di militante e pubblcista; riceve infatti l’incarico di curare la pubblicazione de L’agitazione di Ancona mentre il maestro è in carcere. Ma nel 1898 è la volta di Fabbri di venire nuovamente arestato. Lo spediscono al domicilio coatto nelle isole, prima a Ponza (nell’Arcipelago Pontino) e poi a Favignana (nelle isole Egadi). Era quella una pratica frequente dell’Italia umbertina, massonica e clericale, specie dopo il fallimento del tentativo allestire un bagno penale nelle disgraziatissime isole Dahlak, nel Mar Rosso (al largo dell’Eritrea), a imitazione della Cayenna francese (che era stata chiamata, dai suoi detenuti, la "ghigliottina secca" per l’altissimo tasso di mortalità tra essi diffuso, a causa del climae e delle malattie tropicali; e le isole Dahlak erano ancora più ostiili della Guyana!). Chi voglia farsi un’idea delle condizioni dei deportati politici nelle isole italiane alla fine dell’800, legga l’opuscolo di "Zagaglia" (pseudonimo di L. De Fazio): I detenuti politici in Italia. La repressione nell’Italia umbertina, Galzerano editore, 1987.
Nel 1900 Luigi Fabbri è nuovamente libero. Nonostante la repressione anti-anarchica stia infuriando più che mai (siamo all’indomani del regicidio di Monza, in cui Umberto I cade sotto i colpi di Gaetano Bresci) la sua attività propagandistica non conosce quasi soste. Nel 1903, insieme a Pietro Gori, fonda la rivista Il Pensiero, e poco dopo inizia a collaborare con il giornale anarchico degli emigrati nel New Jersey La questione sociale di Paterson. (Il Pensiero continuerà ad uscire, fra mille difficoltà, sino al dicembre del 1911).
Si sposta fra Roma, Bologna e Fabriano, il suo paese natale, portato qua e là dalla sua attività di insegnante sorvegliato dalla polizia, ma anche dal desiderio di diffondere il più possibile le idee libertarie. Continua a collaborare con Malatesta dalle pagine di Volontà, ad Ancona. Nel 1907 è ad Amsterdam, insieme al maestro, al Congresso anarchico internazionale, che tanta importanza avrà sugli sviluppi del movimento libertario.
Coinvolto nelle agitazioni della "settimana rossa", deve lasciare l’Italia e rifugiarsi momentaneamente in Svizzera, donde rientra per gettarsi a corpo morto nella propaganda antimilitarista e anti-interventista del 1914-15. Sono anni difficili, tutta l’Italia è attraversata dall’ubriacatura nazionalista, perfino a sinistra regnano incertezza e confusione. Socialisti come Cesare Battisti, anarchici come Kropotkin e sindacaliati rivoluzionari come Filippo Corridoni, sostengono la necessità della guerra. La quale finalmente divampa e travolge i debolissimi conati di resistenza dell’Internazionale. In Italia, sconcerto e smarrimento provoca il "voltafaccia" del direttore dell’Avanti!, Benito Mussolini, solo quattro anni prima fierissimamente contario alla guerra di Libia (al punto di finire in carcere, insiemea Pietro Nenni) e ora, improvvisamente, favorevole all’intervento contro l’Austria-Ungheria, tanto da venir cacciato dal giornale e dal Partito Socialista; ma capace, in poche settimane, di riprendere una vigorosa campagna filo-interventista dalle colonne di un "suo" quotidiano nuovo di zecca, Il pppolo d’Italia. Con quali fondi, non si è mai saputo bene; ma già allora, alla brusca domanda rivoltagli da Armando Borghi sui suoi misteriosi finanziatori ("Mussolini, chi te li dà i quattrini?"), non sa o non può rispondere. potrebbe tirare in ballo i gruppi dell’industria e dell’alta finanza e anche, per soprammercato, i servizi segreti francesi?
Luigi Fabbri, accusato di disfattismo per la sua attività di propaganda contro la guerra (ben più incisiva del salomonico "né aderire né sabotare" dei compagni socialisti) è di nuovo arrestato. In seguito rilasciato, continuerà a svolgere la sua professione d’insegnante negli anni della guerra, fra il 1915 e il 1918, sottoposto a controlli polizieschi ancor più rigorosi (a Corticella, in provincia di Bologna). Non cessa, tuttavia, di battersi con tutte le sue forze contro la guerra (che anche il papa Benedetto XV aveva definito, suscitando un vespaio, "inutile strage"); solo, deve prendere qualche precauzione per poter rimanere a piede libero e proseguire, così, la sua battaglia.
Oltre che a Volontà, collabora con Umanità Nova, fondata nel 1920, che esce come quotidiano e che continua tuttora ad uscire, organo della F.A.I. (Federazione Anarchica Italiana) come settimanale. Proprio la collaborazione con Umanità Nova gli vale un altro arresto, negli anni bui del primo dopoguerra, un processo e una nuova condanna. Subisce, inoltre, una prima aggressione da parte dei fascisti, e gli va bene, tutto sommato; Giovanni Amendola e Piero Gobetti, invece, moriranno per le conseguenze del pestaggio subito. Questo è il clima.
Eppure sono proprio gli anni dopo la prima guerra mondiale il periodo più fecondo della sua attività di scrittore. Già nel 1905 aveva pubblicato Lettere ad una donna sull’anarchia (editore Di Sciuto, Chieti), nel 1912 La scuola e la rivoluzione (Università popolare di Milano), nel 1913 Giordano Bruno (ed. Controcorrente, Bologna), nel 1914 Lettere ad un socialista e La generazione cosciente (entrambi per l’Istituto Editoriale "Il Pensiero" di Firenze). Ma fra il 1921 e il 1922 dà alle stampe i suoi due libri più importanti (oltre alla più tarda biografia di Malatesta): La controrivoluzione preventiva e Dittatura e rivoluzione. Opere sorrette da una intelligenza lucida e indagatrice, esposte con uno stile limpidissimo, rigorose nelle loro argomentazioni, conseguenti nei ragionamenti, anticonformiste nell’impostazione e nelle conclusioni.
Ci sembra opportuno dare qualche esempio di questa prosa asciutta, nervosa, incalzante, densa di concetti e tuttavia piacevolissima, fatta per un pubbico di studiosi così come di semplici lavoratori, di operai, di artigiani. Alcuni passaggi sono di una attualità addirittura sorprendente, come questo, tratto dall’opuscolo L’organizzazione operaia e l’anarchia (Roma, 1906, edizioni "Il Pensiero"):
"…Questo giro vizioso ha condotto i socialisti riformisti a formulare la strana
teoria che gli operai debbano, negli scioperi, preoccuparsi dell’interesse dei padroni e delle condizioni dell’industria… E così si è giunti a dar torto agli operai in sciopero e ragione ai capitalisti, in nome d’una nuovissima interpretazione del socialismo. S’è dimenticato che invece sono gli operai che hanno sempre ragione, sempre, sempore: anche quando dichiarano uno sciopero fuori tempo, danneggiando sé stessi. Certo, fanno male a ingaggiare una lotta in condizioni sfavorevoli, quando la loro sconfitta è sicura; ma fanno male rispetto all’interesse proprio, non perché il padrone abbia ragione lui, e perché ci sia davvero un diritto degli industriali contro i salariati. Finchè il lavoratore lavorerà un’ora sola a beneficio d’un padrone, finchè il padrone guadagnerà un solo centesimo sul lavoro d’un operaio, l’operaio avrà sempre il diritto dalla sua – il diritto sacrosanto che è la base del socialismo e dell’anarchia…"
In Dittatura e rivoluzione (Ancona, 1921, ed. G. Bertelli), dedicato all’analisi delle rivoluzioni russe del 1917 e all’involuzione autoritaria di esse per opera dei bolscevichi, egli si occupa del rapporto fra il socialismo libertario e il marxismo.
"I socialisti dicono sempre che la ‘dittatura’ sarà passeggera, uno stato imperfetto di transizione, qualcosa come una dolorosa necessità. Abbiamo dimostrato quali errori e pericoli siano in questa credenza; ma dato e non concesso che la dittatura sia realmente necessaria, sarebbe sempre un errore presentarla come un fine ideale da rggiungere, farne una bandiera da porre al posto della bandiera della libertà. Ad ogni modo si deve convenire che una delle condizioni indispensabili per cui tale dittatura sia provvsoria e passegera sul serio, non si consolidi e non preluda ad una stabile e duratura tirannia avvenire, che cioè possa cessare al più presto, è che vi sia contro e fuorti di lei una opposizione virile ed energica fra i rivoluzionari, una fiamma viva di libertà, un partito forte che le impedisca di solidificarsi e la combatta in modo da riuscire a distruggerla, non appena essa abbia perduta la sua ragion d’essere… se ne avrà pure avuta una! Funzione naturale dell’anarchismo, che gli viene dalla sua stessa essenza e dalla sua stessa tradizione, sarà di rappresentare nella rivoluzione questa opposizione più rivoluzionaria ancora, questa fiamma di libertà…"
Ma il suo saggio più pregnante, più efficace, più intellettualmente vigoroso è, a nostro giudizio, La controrivoluzione preventiva (Bologna, 1922, editore Cappelli). Fu scritto a caldo, mentre le squadracce fasciste già stavano prendendo il sopravvento sulle agitazioni rivoluzionarie sia nelle fabbriche che nelle campagne, Eppure le elezioni del dopoguerra avevano moltiplicato a dismisura la forza dei partiti di sinistra, i lavoratori in sciopero erano in grado di paralizzare il sistema, i treni viaggiavano con le bandiere rosse spiegate… Sarebbe stato quello, probabilmente, il momento di agire, prima che i reazionari organizzasserole contromisure. Scrive a questo proposito Luigi Fabbri, nel libro ora citato:
"Ma la rivoluzione non veniva, non si faceva. Si facevano solo dei comizi di popolo, molti comizi; e con essi dimostrazioni, cortei, parate coreografiche senza numero… D’altra parte l’ubriacatura durava da troppo tempo, quasi da due anni; e gli altri, coloro cre venivano ogni giorno minacciati d’essere rovesciati dal trono e spogliati d’ogni privilegio, cominciarono a rendersi conto della situazione, della propria forza, della debolezza avversaria. "
E armarono il braccio dei fascisti per una controrivoluzione che anticipasse la stessa rivoluzione; una controrivoluzione, per così dire, preventiva, che si abbattè sulla società senza che la rivoluzione vi fosse stata (guarda caso, anche i neoconservatori statunitensi degli anni Duemila, quando vogliono fare una guerra contro qualcuno, parlano di "guerra preventiva", pardon, di "operazione di pace" preventiva). Questa l’interpretazione del Fabbri sul fascismo, che nasce a un tempo come braccio armato degli agrari e del capitale industriale-finanziario e come fenomeno sostanzialmente nuovo, legato alla voglia di rivincita dei ceti medi e medio-bassi, ma il cui successo risulterebbe inspiegabile se non si ammettesse una paurosa serie di errori, di deficienze, di ingenuità e di debolezze da parte delle sinistre.
Mentre pubblica i suoi libri, partecipa a vecchie e nuove testate libertarie (tra cui Pensiero e volontà, Fede, Libero accordo, ecc.). Luigi Fabbri prosegue anche la sua attività più propriamente militante. Nel 1919 è tra i promotori del primo concreto tentativo organizzativo, la fondazione dei Comunisti Anarchici Italiani, l’anno dopo l’Unione Anarchica Italiana (U. A. I.). Nel 1923 viene aggredito dai fascisti per la seconda volta, nel 1926 rifiuta il giuramento di fedeltà al regime, perde il posto e deve rifugiarsi all’estero.
Inizia una serie di dolorosi pellegrinaggi, durante i quali tuttavia continua a collaborare alla stampa anarchica internazionale e a fondare nuove testate. Nel 1927 è in Svizzera, subito dopo in Francia, a Parigi, dove fonda la rassegna Lotta umana. Espulso dalla democratica Francia (quella Francia ove la cagoule non esita ad assassinare, d’accordo coi servizi segreti italiani, Carlo e Nello Rosselli), si rifugia in Belgio. Ma viene espulso anche dal democratico Belgio Pare che in Europa non ci sia proprio modo di continuare la lotta, per lui; uno dopo l’altro, gli Stati del vecchio continente cadono sotto il tallone di regimi dittatoriali, dal Portogallo di Salazar all’Ungheria di Horthy… Gli Stati Uniti sono visti da molti antifascisti europei come un approdo di salvezza, ma a lui, convinto anticapitalista, una tale soluzione ripugna: cercare asilo nella terra che ha assassinato legalmente Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e dovere gratitudine a quel governo, non è cosa che si possa conciliare con la sua coscienza intransigente di rivoluzionario. E quanto all’Unione Sovietica, per un anarchico – a differenza dei "compagni" comunisti – non appare certo come il Paradiso in terra, dove si possa trovare un accogliente rifugio dalle persecuzioni fasciste.
Ma Fabbri non è tipo da arrendersi facilmente. A cinquantadue anni, nel 1929, affronta con coraggio giovanile una nuova esistenza e s’imbarca per il Sud America. Fissa la sua residenza in Uruguay, a Montevideo, che allora sembra lontana anni luce dal clima di tensione internazionale gravante in Europa, ma che sarà invece – nelle prime settimane della seconda guerra mondiale – testimone di una spettacolare battaglia navale fra una squadra inglese e la corazzata tedesca Graf Spee. I due paesi rivieraschi del Rio de la Plata, Argentina e Uruguay, ospitano una numerosa colonia italiana e, inoltre, le lotte sociali vi sono frequenti e assai dure. Solo per citare due episodi, nel 1921 il presidente argentino Yrigoyen aveva deciso di passare alla maniera forte contro le agitazioni dei peones impiegati nel settore dell’allevamento ovino in Patagonia (nelle estancias a capitale prevalentemente britannico). Il colonnello Hectòr Benigno Varela, già autore di un massacro di operai della capitale conosciuto come la"settimana tragica", era sbarcato a Santa Cruz con un vero e proprio corpo di spedizione, con tanto di artiglierie, per stroncare nel sangue le lotte dei braccianti dei latifondi, che vivevano in condizioni incredibili di miseria e sfruttamento, in quella che fu presentata come una vera e propria crociata contro un "esercito" di pericolosissimi sovversivi, e che costò un numero incalcolabile di morti (Varela tornerà nella capitale accolto come un eroe nazionale, ma più tardi pagherà con la vita la repressione da lui spietatamente condotta, per mano di un giustiziere anarchico, Kurt Gustav Vilckers, il 27 gennaio 1923). Nel 1928 il terrorista anarchico Severino di Giovanni risponde alle atrocità del governo argentino piazzando una bomba al consolato italiano di Buenos Aires, sospettato di essere una centrale di identificazione e delazione di antifascisti e anarchici italiani; risultato: 9 morti e 32 feriti. Di Giovanni verrà poi catturato e fucilato il 1° febbraio 1931. (Vedi, su tutte queste vicende, il libro di Cesare Della Pietà Faccia a faccia col nemico. Personaggi e interpreti dell’anarchismo in Argentina, Quadragono libri, s.d.; e Luis Heredia M, Breve storia dell’anarchismo cileno, Galzerano ed., 1989).
Questo l’ambiente politico-sociale in cui Luigi Fabbri si trasferisce per ricominciare una vita di agitatore rivoluzionario. A Montevideo fonda la rivista Studi sociali e, dalla capitale uruguayana, continua a collaborare con la stampa libertaria di Spagna, Francia e Stati Uniti. In quegli anni scrive anche il libro: Malatesta.: su vida, su pensamiento, che verrà dato postumo alle stampe, a Buenos Aires, solo nel 1945.
La morte lo coglie ancor giovane, ma logorato dalle lotte, il 24 giugno 1935. Nel dicembre precedente, l’incidente all’oasi di Ual-Ual ha gettato le premesse per l’aggressione fascista in Etiopia. Inizio di quella spirale di guerra, che attraverso l’intervento in Spagna porterà da ultimo la dittatura mussoliniana alla catastrofe del secondo conflitto mondiale, soffocato nel tragico abbraccio dell’alleato hitleriano. Catastrofe rigeneratrice che Luigi Fabbri aveva atteso con fede, con speranza, per lunghi anni, ma che non ebbe la soddisfazione di vedere.
Le sue opere, oggi, sono sparse fra vecchie edizioni difficilmente reperibili, inoltre manca uno studio critico complessivo che ne illustri la vasta produzione letteraria e ne chiarisca esaurientemente i rapporti con l’educatore, che in lui fu sempre vivo e sensibile al rapporto fra mezzi e fini nella pedagogia. Si può anzi dire, senza timore di esagerare, che in Luigi Fabbri la preoccupazione pedagogica fu sempre al centro del suo interesse: così quando scriveva un libro, come quando pubblicava un articolo o teneva una conferenza. La sua chiarezza, la sua capacità di farsi capire da un pubblico di non soli specialisti ne fanno un esempio luminoso e coerente di intellettuale popolare nel senso migliore del termine; di intellettuale, per usare una celebre categoria gramsciana, organico e non, come talvolta avveniva ed avviene ancor oggi, tutto chiuso in suo mondo speculativo e capace di farsi intendere solo da altri intellettuali.
Ecco, questo è stato, forse, l’aspetto più notevole della sua eredità intellettuale: aver dimostrato che la cultura, la storia, i problemi politici, economici e sociali possono essere spiegati a tutti, e in primo luogo ai lavoratori, senza perdere di rigore logico o di scrupolosità nell’indagine speculativa. Questo, unito al coraggio (anche fisico) e alla coerenza, è stato senza dubbio il lato più affascinante della sua personalità, e il merito maggiore dell’uomo e dello studioso; insieme a una modestia che lo rendeva restìo a mettersi in prima fila, a cogliere il pur meritato riconoscimento. Anche in ciò, egli è stato un anarchico limpido e coerente, meritevole del rispetto e della stima di chiunque sia capace di onestà intellettuale; anche, crediamo, degli stessi avversari in buona fede. E non è cosa da poco.
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