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3 Dicembre 2017C’è una vicenda della storia ecclesiastica di un secolo fa, quella del vescovo, anzi, dell’arcivescovo Andrea Caron, che dalla sede vescovile di Ceneda (oggi Vittorio Veneto) doveva passare a quella arcivescovile di Genova, ma non poté insediarsi per la durissima opposizione dei suoi nemici, che pare il copione per una storia dei nostri giorni. I nemici di monsignor Caron, infatti, erano e sono gli stessi nemici della Chiesa cattolica di sempre: i massoni e i loro amici di sinistra, radicali, socialisti e altri progressisti altolocati. Pare una storia dei nostri giorni, perché, pur nella differenza del contesto e delle situazioni specifiche, i tratti di fondo permangono gli stessi: anche in quel caso, i massoni avevano potenti aderenze presso il governo; meglio: erano insediati al governo, per cui il clero modernista godeva le simpatie e gli appoggi di quei signori (chissà perché, poi?), così come oggi si vedono bazzicare senza pudore nei salotti televisivi di certe reti televisive, condotti da certi intramontabili giornalisti ultraprogressisti, certi vescovi e certi "teologi" progressisti e modernisti che si fanno reciprocamente la corte, cinguettano e si carezzano gli uni gli altri come le bagasce sui marciapiedi, e s’intuisce la formidabile fonte nascosta della loro forza, s’intuisce da dove vengano loro tanta spudoratezza e tanta arroganza: sanno di essere graditi ai poteri forti, ai signori dell’informazione e alle alte sfere della politica, e, nello stesso tempo, si aureolano di una sorta di prestigio morale quali novatori, quali "coraggiosi" assertori del cambiamento, insomma quasi dei rivoluzionari costretti a battersi contro una Chiesa retriva e ottusa, meschinamente arroccata nella tradizione, proprio loro che si strusciano con chi comanda (vedi il papa Francesco che, da tribuno e da pauperista, dice le stesse cose, sull’immigrazione e sull’accoglienza, che dice un certo George Soros). Tutto ciò è interessante; ci fa capire che le radici delle dinamiche odierne sono vecchie di oltre un secolo, se non di più ancora; che da oltre un secolo la massoneria si è insediata dentro la Chiesa cattolica per indirizzarla e piegarla ai suoi fini; e che da oltre un secolo il potere finanziario e il potere politico sono schierati in tutto e per tutto a sostegno dei settori "progressisti" del clero, e li adoprano come un grimaldello per far saltare la Chiesa in quanto tale, per ridurla alla caricatura di se stessa, a un’agenzia filantropica e umanitaria, ecologista e ambientalista, intenta a predicare non più il messaggio di conversione di Gesù Cristo, ma i "diritti umani", così come farebbe un segretario generale delle Nazioni Unite, la massima associazione massonica a livello internazionale e il principale strumento per la realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, cui collabora con entusiasmo la neochiesa modernista dei nostri giorni.
Ma vediamo la vicenda di monsignor Andrea Caron, nato a Rosà, in provincia di Vicenza, il 14 giugno 1848 e passato a miglior vita a Montecassino il 29 gennaio 1927. Vescovo coadiutore di Ceneda dal 1905, era succeduto al vescovo titolare, monsignor Sigismondo Brandolini-Rota, nel gennaio del 1908. In quella sede rimase per poco più di quattro anni, mostrando zelo e laboriosità indefessi: ampliò il seminario, migliorò i corsi di studi, promosse la musica sacra, iniziò la pubblicazione di un bollettino diocesano, aprì nuovi asili parrocchiali e fece insediare un convento di suore di clausura cistercensi, tuttora esistente, a san Giacomo di Veglia. Il giorno di Natale del 1911 era venuto a mancare l’arcivescovo metropolita di Genova, monsignor Edoardo Pulciano, e il papa Pio X volle nominare al suo posto proprio il Caron, del quale si era fatto un’ottima opinione, sia per le sue qualità di pastore energico e intelligente, sia per il suo orientamento, pienamente consonante con il suo, riguardo alla questione che allora travagliava la Chiesa cattolica: il diffondersi dell’eresia modernista, dal papa formalmente condannata con il decreto Lamentabili Sane Exitu del 3 luglio 1907 e con l’enciclica Pascendi Dominici gregis dell’8 settembre successivo.
Il clero italiano, e specialmente quello veneto, si era diviso sulla questione, anche se, in apparenza, tutti i vescovi avevano mostrato di appoggiare la decisione del papa; ma, in segreto, non pochi di essi deploravano la sua severità, che giudicavano eccessiva, e, in certi casi, nutrivano perfino alcune simpatie moderniste.
Evidentemente, il Caron si era fatto la fama di severo antimodernista e ciò era piaciuto al santo padre, che lo aveva voluto a capo di una diocesi difficile, e in una città, come Genova, di antica tradizione massonica e anticlericale, ora anche caratterizzata dalla crescente forza del Partito socialista. Ma era appunto quella decisione che non poteva piacere, oltre che alla "piazza" genovese, ai poteri forti del Regno d’Italia, dominati dalla massoneria, e che non piacque, infatti, specialmente al Ministro della Giustizia, Camillo Finoccharo Aprile (Palermo, 1851-Roma, 1916), il padre di Andrea, futuro leader del movimento indipendentista siciliano), il quale prese quella nomina come una specie di questione personale, come un puntiglio da spuntare, di cui andava del suo nome e del suo onore. Ma non v’era solo quello; c’era anche dell’altro. Nella stessa Chiesa cattolica, solo in apparenza unita e compatta dietro il suo sommo pastore, gli ambienti filo-modernisti, benché costretti ad agire nell’ombra e con molta prudenza, fremevano, complottavano ed erano più attivi che mai; e il nome di monsignor Caron, a quanto pare, doveva essere finito, a torto o a ragione, sul loro libro nero. Pare che l’anima della segreta ma inflessibile opposizione all’insediamento di Andrea Caron a Genova fosse proprio un sacerdote di quella arcidiocesi, nonché una figura fra le più note del cattolicesimo del tempo: quel padre Giovanni Semeria (1867-1931), già tra i fondatori della democrazia cristiana e ora considerato il capo occulto e l’ispiratore del movimento modernista, costretto in quello stesso 1912 ad andarsene esule in Belgio, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, che gli consentirà il rientro in grande stile.
Ed ecco come lo storico ecclesiastico don Nilo Faldon (Pieve di Soligo, 1921-Conegliano, 2016), da noi altra volta ricordato (vedi l’articolo Una pagina al giorno: notte di Pasqua alla Certosa, di Nilo Faldon, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 27/03/2009 e consultabile anche sul sito di Nuova Italia. Accademia Adriatica di Filosofia) ha rievocato, sinteticamente, sia pure con qualche imprecisione (monsignor Caron non si ritirò a Montecassino, ma a Roma, e fu nella capitale che ricoprì vari incarichi; poi si portò a Montecassino, dove morì, e non a Roma, nel 1927 e non nel 1926), quella significativa vicenda di conflitto giurisdizionale in pieno XX secolo (in: A.A.V.V., Storia religiosa del Veneto: Diocesi di Vittorio Veneto, a cura di Silvio Tramontin, edito dalla Giunta Regionale del Veneto e dalla Gregoriana Libreria Editrice, Padova, 1993, p. 215):
Nel 1912 monsignor Caron fu promosso arcivescovo di Genova, ma nacquero subito per lui infinite amarezze e poi difficoltà d’ogni genere, anche politiche. Una certa propaganda lo aveva definito infatti, senza conoscerlo, un esigente, un inflessibile antimodernista, un alleato degli Scotton di Breganze. Qualcuno ha insinuato che in questa faccenda non sia stato del tutto estraneo il padre Giovanni Semeria, Solo con Benedetto XV, fu possibile, alla fine, ottenere l’"exequatur", cui dovette però seguire la rinuncia di monsignor Caron a quella sede. S’era, come si suol dire, salvata la faccia. Egli intanto si era ritirato a Montecassino, dove gli era giunta anche la nomina di amministratore apostolico di Ceneda che egli, in qualche modo, diresse attraverso il vicario generale monsignor Cesare Vascellari; poi passò definitivamente a Roma. Qui ebbe vari incarichi e morì nel 1926. I suoi resti mortali riposano nel cimitero intero dell’Abbazia delle Tre Fontane, dove era stato abate di quella grande basilica nella quale funzionava come vescovo ordinario.
È significativo il fatto che "una certa propaganda lo aveva definito, infatti, senza conoscerlo, un esigente, un inflessibile antimodernista, un alleato degli Scotton di Breganze": se ne deduce che nel 1912, cioè appena cinque anni dopo la condanna e la scomunica formale del modernismo da parte di Pio X, essere degli antimodernisti troppo zelanti non giovava alla carriera, e che farsi una tale nomea equivaleva a finire, non solo agli occhi del mondo laico, ma anche dentro la Chiesa, in concetto di persone rigide, inflessibili ed eccessivamente esigenti; inoltre, che essere accostati ai fratelli Scotton di Breganze – i tre sacerdoti che si erano posti, nel Veneto, al centro della battaglia antimodernista, con il loro battagliero e assai diffuso giornale La Riscossa -, o addirittura essere considerati loro amici e sostenitori, era una cosa non troppo simpatica, una cosa, come si direbbe oggi, decisamente non politically correct. È piuttosto curioso, vero? Si provi a riflettere. Da soli cinque anni il papa ha emesso una solenne condanna contro il modernismo, ha preso severissimi provvedimenti contro questa eresia (perché di una eresia si tratta, anzi, della "sintesi di tutte le eresie", per usare le parole del santo padre) e ha imposto ai membri del clero un solenne giuramento antimodernista, per cui ci si aspetterebbe che tiri una brutta aria per i modernisti e i loro semi-nascosti sostenitori, mentre, all’opposto, ci si aspetterebbe che il campo sia libero per i loro avversari, ossia i fedeli custodi dell’ortodossia. Invece, già dall’uso del linguaggio, si capisce subito che non è affatto così: diversamente, i cattolici impegnati nella lotta contro l’eresia non verrebbero chiamati "antimodernisti", ossia definiti in senso negativo, ma cattolici e basta, semmai con una aggettivazione che metta in risalto la loro qualità di fedeli sostenitori del papa e del Magistero ufficiale della Chiesa. Sta di fatto che, nella dinamica concreta esistente all’interno della Chiesa (se stessimo parlando di una istituzione profana, potremmo dire: "negli effettivi rapporti di forza"), già nel 1912 gli oppositori del modernismo, o anche quelli che sono semplicemente sospettati di esserlo, si trovano sotto scacco, mentre i simpatizzanti del modernismo sono all’offensiva e possono avvantaggiarsi di una fitta rete di complicità e di sostegni, sia nella Chiesa stessa, sia al di fuori di essa, specie fra le pubbliche autorità.
E ora parliamo brevemente di Camillo Finocchiaro Aprile e della sua opposizione all’insediamento di monsignor Caron. Ex carbonaro, ex garibaldino, ex sostenitore di Crispi, poi di Giolitti, quattro volte Ministro di Grazia e Giustizia e una volta Ministro delle Poste e dei Telegrafi, sempre rieletto alla Camera come deputato, fino alla morte, dai suoi sostenitori palermitani, Finocchiaro Aprile appare davvero un intramontabile: cadono i leader, si succedo i governi, ma lui è sempre lì, inossidabile, saldamente insediato nei gangli del potere; e la ragione di tanta capacità di galleggiamento risiede, probabilmente, nella sua affiliazione massonica. Questa non è una opinione o una ipotesi, ma una certezza: egli fu dignitario della loggia massonica George Washington di Palermo e fu membro del Supremo Consiglio dei 33. Si aggiunga che, all’epoca, il Ministro della Giustizia lo era anche del Culto, e si vedrà come avesse le mani in pasta per dire la sua nelle faccende ecclesiastiche e per fare quel che fece nel 1912: indurre il governo italiano, alla fine di aprile, a negare l’exequatur alla nomina dell’arcivescovo. Capo del governo italiano, in quel momento: un certo Giovanni Giolitti: mai sentito nominare? Pare che Finocchiaro Aprile non conoscesse affatto il Caron, il quale, infatti, non era certo un personaggio di rilevanza nazionale, ma che sia stato spinto ad agire contro la sua nomina dal prefetto di Genova, con la motivazione ufficiale di evitare conflitti sociali nella città, tradizionalmente "rossa" e repubblicana, e che non avrebbe mai accettato l’insediamento di un arcivescovo "conservatore". Papa Pio X ne fu così indignato che ricorse a un provvedimento abbastanza grave: la sospensione di tutte le funzioni pontificali proprie dell’arcivescovo, provvedimento poi ritirato quando, nel marzo 1914, si insediò a Genova quale amministratore apostolico Tommaso Pio Boggiani; nondimeno vi fu chi parlò, con molta esagerazione, di un interdetto lanciato dal papa contro la città ligure. Più tardi, come si è visto, l’empasse fu superata e l’exequatur per Caron venne concesso dal governo italiano, ma con il tacito patto che egli facesse un passo indietro, il che puntualmente avvenne: nel dicembre 1914 Benedetto XV nominò allora arcivescovo di Genova Ludovico Gavotti, figura mite e inoffensiva, che aveva anche il vantaggio di essere genovese.
Questa era la vera situazione ai primi del ‘900: i cattolici ortodossi, come i fratelli Scotton, perseguitati (dal vescovo di Vicenza, Ridolfi), o boicottati e osteggiati, come monsignor Caron; gli ispiratori del modernismo, come padre Semeria, liberi di brigare e complottare dietro le quinte, a danno del clero ortodosso; i pezzi grossi della massoneria mobilitati a sostegno del modernismo, per spaccare la Chiesa e spingerla nella direzione a loro gradita. Quale? Quella di una Nuova Religione Mondiale dove Dio non è cattolico e tutte le fedi vanno bene. Questo, per caso, vi ricorda qualcosa?
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