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30 Ottobre 2017Forse il male è proprio che esistano delle élites culturali. È logico che ci sia una classe culturale dirigente; non lo è altrettanto che essa formi una élite (o una serie di élites), cioè di circoli autoreferenziali, sostanzialmente chiusi e connessi, come una specie di massoneria, con i circoli corrispondenti delle altre nazioni, il tutto al di sopra della testa dei cittadini e dei popoli. Quel che vogliamo dire è che gli uomini di cultura e di pensiero sono il sale della società, ma la loro ragion d’essere è quella di fornire una guida, un orientamento alla società stessa, traendo ispirazione dalle medesime radici di quella, esprimendo un sentire di fondo concorde con quella, sia nell’ambito intellettuale che in quello spirituale, che sia, quindi, in sintonia e in coerenza con la storia e la civiltà di quel determinato Paese. Se, viceversa, le élites internazionali sono d’accordo fra di loro, ma in disaccordo, cioè in contraddizione, con la storia e la civiltà dei loro rispettivi popoli, ossia con il sentire e il pensare della stragrande maggioranza delle persone comuni, allora c’è qualcosa che non va bene. In simili casi, infatti, l’uomo di cultura cede il passo all’intellettuale, figura assai più limitata e più "interessata", nel senso di legata a precisi interessi materiali o culturali, non del tutto autonoma, quindi non del tutto libera, a dispetto del fatto che costui, in moltissimi casi, ostenti proprio il suo essere "contro". Ma è un essere "contro" di mera facciata: di fatto, l’intellettuale procede nella direzione voluta dal potere finanziario ed economico, poi anche da quello politico, anche se le masse, intorpidite e manipolate mentalmente, non se ne rendono conto. Un tipico esempio sono quegli artisti, quei cantanti, quei pensatori, quegli scrittori, i quali inneggiano a una vita sregolata, spericolata, che insultano la famiglia, i genitori, i valori tradizionali, e che si presentano come "battitori liberi", come "cani sciolti", mentre sono perfettamente funzionali ai poteri forti che agiscono nell’ombra, e che, guarda caso, finanziamo le loro attività, le loro iniziative, i loro libri, le loro conferenze, i loro concerti, eccetera. Un esempio ancora più chiaro è quello dell’industria dell’abbigliamento: va di moda vestire "diverso", ostentare eccentricità, indossare pantaloni strappati e sdruciti: ma, appunto perché tutto ciò costituisce una moda, non solo non è indice di ribellione, o anche solo d’indipendenza mentale, bensì sta a indicare l’esatto contrario, il conformismo più grossolano, più pecorile: eppure la masse, e specialmente i giovani, non paiono cogliere minimamente la stridente contraddizione, e se ne vanno imperterriti per la loro strada, immaginandosi di essere "contro", solo perché vestono a quel modo, o perché si fanno numerosi tatuaggi sul corpo, esattamente come fanno milioni e milioni d’altre persone, il che toglie qualunque valenza libertaria o ribellistica a simili stili di comportamento.
Di fatto, l’intellettuale nasce con la modernità: lo scorgiamo, in controluce, sullo sfondo della civiltà comunale, e lo vediamo addirittura "esplodere" con le Signorie e i Principati; pranza e dorme alla corte dei signori e dei principi, dei papi e degl’imperatori; prende gli ordini minori, si traveste da chierico, si finge uomo di Chiesa e ministro di Dio, ma è solamente a caccia di una rendita, di una fonte di sicurezza economica e, se possibile, di un certo benessere, in cambio di nulla, come un perfetto parassita della società. Ma è solo a partire dall’illuminismo che la sua figura diventa pienamente organica al sistema politico ed economico e all’establishment culturale da lui stesso architettato e confezionato, beninteso sulla sua misura e non in base ai veri bisogni culturali e spirituali della società; è allora che egli completa l’ordito di quella tela vischiosa, da ragno, che avvolge l’Europa e l’Occidente e che, da allora, non è mai più stata messa in discussione da alcuno. A partire dalla comparsa dei philosophes, che continuano a dominare il pensiero, l’arte e la scienza dell’Occidente, oggi perfino più che nel XVIII secolo (e si chiamano, ora, Freud, Jung, Joyce, Croce, Wittgenstein, Russell, Thomas Mann, Brecht, Sartre, Éluard, Aragon, Calvino, Moravia, Foucault, Derrida, Althusser, Henry Miller, Keruac, Ginsberg, Hillman, Cacciari, Galimberti, Flores d’Arcais, Vattimo, Melloni, Cardini, senza dimenticare i vari Bultmann, Tillich, Küng, Rahner, Kasper), una vera e propria gabbia è stata costruita intorno al mondo della cultura, la gabbia del politically correct, che stabilisce chi può esserci e chi no. Dentro c’è posto per tutti, o quasi tutti, purché rappresentanti di un pensiero che vada contro le radici, l’identità e la coscienza che l’Europa e l’Occidente hanno di sé; purché siano aperti al marxismo, alla psicanalisi, alla teosofia, al panteismo, e siano impregnati di materialismo, immanentismo, laicismo; purché credano nel "potenziale umano" e nelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità, o nell’inconscio, o nella rivoluzione, o nel sesso, o nello yoga, o nella decostruzione, o nella droga, o nella morte, o nel nulla. Sono graditi anche i cristiani, meglio se protestanti, meglio se favorevoli al femminismo, al lesbismo, all’omosessualismo; e sono tollerati perfino i cattolici, purché seguaci della svolta antropologica, della teologia della liberazione, della chiesa senza muri e senza dogmi, meglio se pure senza Dio, cioè con un Gesù Cristo che è soltanto un "guru" equiparabile ad altri, da Socrate a Maharishi Mahesh: più un maestro di meditazione trascendentale che il Figlio di Dio fattosi carne. Sono poi graditi, graditissimi, tutti coloro i quali portano legna al fuoco del grande falò sul quale essi vogliono bruciare, una volta per tutte, insieme all’ignoranza e alla superstizione, il passato della civiltà europea, la sua fibra più intima, vale a dire il cristianesimo, e particolarmente il cattolicesimo romano. Porte aperte, quindi, anzi, spalancate, sia ai suoi nemici espliciti, sia ai suoi seguaci "progressisti" e modernisti, cioè agli eretici, i suoi nemici interni.
Tutto questo ha un nome e si chiama tradimento. In pratica, è come se le élites culturali, oltre ad essersi impossessate della cultura a loro uso e consumo (per esempio, nel Rinascimento formavano delle minuscole isole e non avevano che disprezzo per il "vulgo"), si fossero messe al servizio di qualcosa o qualcuno che ha come obiettivo la cancellazione e la rimozione della storia e della civiltà di quel determinato Paese. E forse è proprio così. L’espressione tradimento della storia e della civiltà non è nostra; l’ha adoperata in un suo articolo il giornalista Mario Iannaccone, sulla rivista Il Timone (numero di luglio/agosto 2015), in cui riferiva dell’Istituto Esalen a Big Sur, California, una delle centrali di questo pensiero che lavora incessantemente per elaborare, e cerca di diffondere, tutte quelle forme culturali che ripudiano la tradizione, che disprezzano il cristianesimo e che propongono, al suo posto, delle forme di "spiritualità", di "meditazione", di "consapevolezza", eccetera, più o meno vagamente ispirate all’induismo, al buddismo, alla teosofia, all’antroposofia, al tantrismo, alla Cabala, all’esoterismo, allo gnosticismo, e chi più ne ha, più ne metta. L’importante è che si trattai di linee di ricerca e di tendenze culturali che vanno nella direzione "altra" rispetto alle nostre radici, occidentali e cristiane; l’importante è che vi sia la negazione della trascendenza così come la intendono i cristiani, e specialmente i cattolici, al posto della quale si propongono svariate forme di panteismo, immanentismo, solipsismo, nichilismo, decostruzionismo, esistenzialismo, eccetera.
L’equivalente europeo dell’Istituto Esalen, vera e propria mecca di tutti gli intellettuali "alternativi" e sul quale si può consultare una scheda, in rete, di Massimo Introvigne, è la Fondazione Eranos, ad Ascona, sul Lago Maggiore, tenuta a battesimo da Carl Gustav Jung, che ne fu il padrino spirituale. Tanto per fare qualche nome, al "nuovo ciclo" dei Colloqui di Eranos, iniziato nel 1989, hanno preso parte personalità come Emmanuel Anati, Remo Bodei, James Hillman, Gianni Vattimo, George Steiner, Jan Assmann, Moshe Idel, Élemire Zolla (si noti che Hillman è il jolly presente sia al di qua che al di là dell’Atlantico). Tanto l’una che l’altra, Esalen ed Eranos, attirano migliaia di visitatori e organizzano conferenze e corsi di approfondimento su tutto ciò che potremmo definire "ricerca culturale post-cristiana"; il comune denominatore, infatti, è il rifiuto della tradizione cristiana e la convinzione che, per andare verso il futuro, è necessario un nuovo inizio, che prescinda dalla tradizione occidentale e che cerchi ispirazione, semmai, in quelle orientali, oltre che nelle scienze cosiddette "di frontiera", ricerca PSI, astrologia, alchimia (nel senso più ampio del termine), e non esclusa, in alcuni esponenti nemmeno la magia. Ciò che accomuna scrittori, pensatori e artisti di tendenze apparentemente così diverse, come quelli che frequentano assiduamente i centri di Esalen e di Eranos – più legati alla tradizione New Age, anche se a parole la rifiutano con sdegno, i primi, e quindi anche alla controcultura giovanile americana degli anni ’50 e ’60, LSD compresa; e invece più "colti" e raffinati i secondi, i cui padri nobili sono gli intellettuali europei di ascendenza psicanalitica e junghiana, o gli esponenti del "pensiero debole", o quelli che, da sempre, guardano all’Oriente, allo Yoga, al Tantrismo, allo Scivaismo, come alla fonte di una possibile rigenerazione della nostra cultura: ciò che li accomuna sono il fastidio e l’insofferenza per il passato, per le radici cristiane dell’Europa, per tutto ciò che il cristianesimo ha rappresentato nella nostra storia; non solo, ma una specie di disprezzo e di odio per l’identità europea e occidentale, una specie di vergogna di sé, un senso di colpa, e, per contro, la radicata convinzione che solo al di fuori di tale tradizione, il più lontano possibile da essa, che si tratti delle ultime conquiste scientifiche e tecnologiche o di un ritorno alle più remote origini della sapienza induista e buddista, si possa trovare la "salvezza".
È come se in questi due importanti centri culturali, come pure in alcuni altri sparsi per il mondo, le élites intellettuali internazionali stessero cercando affannosamente di mettere a punto una nuova base intellettuale, spirituale e morale per il terzo millennio, nella quale non vi sia più posto neanche per il ricordo di ciò che era la cultura europea prima della modernità e per i valori rappresentati dal cristianesimo. Di qui le febbrili iniziative per mettere a punto un’etica immanentista e non religiosa, o per definire le ragioni (Russell insegna) per non dirsi e non sentirsi cristiani, nemmeno nel senso generico e culturale del termine. Proprio come i philosphes parigini del1700, i protagonisti, e, naturalmente, i finanziatori di questi progetti culturali, hanno deciso di prendere decisamente le redini dello sviluppo intellettuale e spirituale dell’Occidente, e di qui del mondo intero, per indirizzarlo nel senso da loro voluto: quello, cioè, fondamentalmente gnostico e sincretista, mirante alla valorizzazione dell’uomo e delle sue "potenzialità", in parte, secondo loro, ancora non espresse, o comunque ostacolate, mortificate e represse dalla cultura cristiana, e che essi intendono portare alla piena consapevolezza e mettere al servizio di un grandioso progetto di trasformazione planetaria. In pratica, si propongono di attuare, in tempi brevi, non solo un "cambio di paradigma", come quello che fu avviato in Europa dalla Rivoluzione scientifica del XVII secolo e, un secolo, dopo, dall’illuminismo, ma un vero e proprio salto evolutivo, da cui si aspettano qualcosa di simile all’avvento di una nuova era, nuova non solo per l’umanità, ma a livello cosmico, essendo convinti, secondo l’insegnamento dell’alchimia, dell’esoterismo e della gnosi, che la parte è nel tutto e il tutto è nella parte. La ricerca di altre dimensioni della realtà e di altri abitatori del cosmo rientra logicamente in questa prospettiva; ricordando sempre che, per costoro, la realtà è immanenza e che, quindi, sia le dimensioni "altre", sia eventuali abitatori "altri", non appartengono a una sfera superiore, spirituale, ma sempre alla dimensione materiale, nella quale noi stessi siamo immersi; anche se molti di essi amano parlare di "energia", di "onde energetiche", di "spiritualità", ma sempre in un senso immanentistico, intendendo, cioè, l’accumulo di energia mentale, psichica, e non di sostanza spirituale o di esseri spirituali.
Come si può immaginare, si tratta di un progetto ambiziosissimo, e la cui attuazione è giunta ormai ad una fase piuttosto avanzata. Nel corso di pochi decenni, essi sono riuscirti letteralmente a rovesciare la percezione del reale da parte delle masse occidentali, e a capovolgere tutti i valori tradizionali, a cominciare dalla triade: dio, patria, famiglia, nonché a sovvertire la morale comune, facendo sì che l’aborto appaia come una cosa normalissima, e altrettanto il cosiddetto matrimonio omosessuale, mentre, per contro, la fedeltà coniugale comincia ad apparire come un’autentica stranezza, e la castità come una forma di patologia mentale, che dovrebbe essere curata per il bene stesso dell’individuo. Gli intellettuali moderni, dunque, sono giunti assai vicini all’obiettivo che si erano proposti, quello di strappare i popoli dell’Occidente dalle loro radici, di far loro dimenticare il cristianesimo e di avviarli verso forme di coscienza completamente nuove, totalmente laiche e immanenti. Si tratta, come è evidente, di una operazione innaturale, perché è come se una civiltà volesse distruggere con le sue mani le fondamenta sulle quali è stata edificata: anche un bambino capirebbe che questa è la via più sicura per l’autodistruzione. Resta dunque la domanda perché lo facciano, perché si prestino a un simile disegno. La risposta sta nella loro natura essenzialmente mercenaria, per cui sin dalle origini sono propensi a fare ciò che vien loro suggerito dal potere che li finanzia, che paga loro i giornali e le televisioni, che mette a loro disposizione cattedre universitarie e case editrici. E che tale potere corrisponda all’alta finanza mondiale, è una cosa piuttosto ovvia…
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