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La storia fatta coi «com’è potuto accadere»?

Quando è uscito nelle librerie americane, nel 1998, Explaining Hitler di Ron Rosenbaum ha destato un certo intesse nella critica: anche se il tema non era certo originale, il suo tentativo di "spiegare" il fenomeno Hitler in termini non solo psichiatrici e psicopatologici, ma anche culturali, filosofici e spirituali più ampi, prendendo in esame, oltre al dittatore e al suo entourage, numerosi aspetti e settori della società tedesca, e la corposa acribia della ricerca (si tratta di un volume di circa 550 pagine), fecero sì che l’accoglienza fosse buona e che molti vi cercassero avidamente quel che ancora mancava per comprendere il "mistero" del Führer.

Ron Rosenbaum, classe 1946, è il tipico intellettuale ebreo newyorkese di buona famiglia: studi a Yale e all’Istituto Carnegie, specializzazione in Letteratura inglese, poi giornalista dalla carriera irresistibile e apprezzata firma dei più importanti giornali americani, fra i quali Harper’s Magazine, Vanity Fair, New York Times Magazine, Esquire. La sua non è una classica biografia di Hitler; è qualcosa di diverso, una specie di ricognizione nei labirinti dove ebbe luogo la genesi del nazismo, fra le ossessioni e le deviazioni psicologiche del futuro dittatore, particolarmente quelle sessuali, e i personaggi che incrociarono il suo destino, compresi alcuni oppositori di notevole interesse, ma poco noti al grande pubblico, come il giornalista Fritz Michael Gerlich (1883-1934), che pagò con la morte a nel campo di Dachau, mediante fucilazione, la sua solitaria e tenace battaglia contro il capo del nazismo. Ora, è proprio l’indagine della figura di Gerlich che autorizza Rosenbaum a compiere una breve e disastrosa escursione su di un terreno che decisamente non gli è congeniale: il misticismo. Gerlich, a un certo punto della sua vita, nel 1927, entra in contatto con una famosissima mistica bavarese, Therese Neumann, la stigmatizzata di Konnersreuth (1898-1962), della quale è tuttora in corso il processo di beatificazione. Egli ne diventa prima ammiratore, poi amico, infine devoto, tanto da convertirsi al cattolicesimo per la sua influenza, lasciando la fede calvinista dei suoi genitori, e vivendo, per il reso della sua vita, nel culto di quella donna semplice, ultima di undici figli di un sarto e di una contadina, che alla sua profonda e contagiosa religiosità unisce delle doti soprannaturali come le visioni di Gesù e della Madonna, la bilocazione, la profezia, la xenoglossia (conoscenza di lingue sconosciute, come il greco, l’ebraico e l’aramaico), oltre al fatto di vivere dal 1926 fino alla morte, per trentacinque anni, senza ingerire alcun cibo solido, ma solo assumendo la particola della santa Comunione.

Ebbene: l’incontro con la figura di questa mistica tedesca consente a Rosenbaum di sfoderare tutto l’armamentario della sua supponenza scientista, del suo livore anticattolico e della sua altezzosità intellettuale: questa donna umile, ignorante, ma santa, non gli va proprio giù; egli non si capacita di come abbia potuto esercitare un tale ascendente su un intellettuale della personalità di Gerlich, capace di tener testa a Hitler senza paura; e, pur di sminuirla, fa sua la tesi di una oscura cattolica di tendenza razionalista, tedesca anche lei, Hilda Graef (1907-1970), la quale non volle mai credere alla soprannaturalità dei fenomeni di cui Therese Neumann fu protagonista, e, con poche battute prive di concreti supporti storici, tenta di demolire completamente l’immagine della stigmatizzata di Konnersreuth, qualificandola bugiarda, imbrogliona e simulatrice e non astenendosi dallo spacciare per verità quasi certa delle ipotesi malevole e alquanto goffe, per spiegare con la frode i fenomeni in questioni; laddove numerosi osservatori imparziali la tennero sotto osservazione per molti giorni, senza perderla di vista un solo minuto, e concordemente affermarono che non vi era stata neppure la minima possibilità di inscenare una frode, in quelle condizioni.

Ed ecco in quale termini egli — che non è uno storico di professione, ma un giornalista, e che tuttavia pretende di essere preso sul serio sul piano storico — delinea la figura di questa donna profondamente spirituale, cara al cuore di milioni di fedeli e in procinto di venir canonizzata dalla Chiesa cattolica (da: Ron Rosenbaum, Il mistero Hitler; titolo originale: Explaining Hitler, 1998; traduzione dall’inglese di Aldo Serafini e Tania Gargiulo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1999, pp. 238-239 e 240-241):

Mi sembra tuttora straordinario il fatto che uno storico protestante, scettico e razionalista come Gerlich, il direttore di un serio e autorevole giornale, l’uomo il cui sguardo penetrante brillava dietro gli occhiali dalla montatura d’acciaio, fosse attratto dal misticismo di quella donna di religione cattolica, primitiva, costretta a letto, che sosteneva di aver vissuto per anni cibandosi solo di ostie consacrate, che nel giorno di Venerdì Santo versava grosse gocce di sangue dalle parti del corpo nelle quali Cristo aveva avuto le sue ferite, che asseriva di aver assistito alla scena della Crocifissione dopo essere stata trasportata indietro nel tempo, e di aver ricevuto, a intervalli regolari, la vista della Vergine Maria che aveva proferito terribili, apocalittici moniti sull’oscuro destino che incombeva sulla Germania di allora. Ma quella strana affinità tra lo scettico direttore del giornale ["Illustrieter Sontag", che poi cambiò nome in "Der Gerade Weg", cioè "La retta via"] e la fanatica portatrice di quelle stimmate, forse contraffatte, aveva le sue radici nel tipo di clima apocalittico di quegli anni. La contadina che cambiò la vita di Fritz Gerlich cominciò a ricevere visite da Gesù e da Maria più o meno nello stesso periodo di tempo in cui Geli Raubal cominciò a ricevere visite da suo zio Adolf. Therese Neumann era una giovane contadina di ventisette anni che viveva a Konnersreuth, a nord di Monaco, quando nel 1925 si mise a letto sostenendo di essere rimasta paralizzata da misteriosi spasmi, da lesioni alla spina dorsale e dal trauma subito quando aveva cercato, senza riuscirvi, di salvare gli animali della fattoria dalle fiamme di un fienile che aveva preso fuoco. Dopo un anno di degenza a letto, in uno stato di paralisi che ingannò i medici, improvvisamente cominciò ad avere delle visioni: cadeva in trance e, quando si svegliava dall’estasi, affermava di essere stata trasportata a Gerusalemme durante le ultime ventiquattr’ore della Passione di Gesù. Lo aveva visto pregare sul Monte degli Ulivi; aveva assistito alle varie stazioni della Via Crucis. Cristo le aveva parlato dall’alto della croce, pur sanguinando dalle ferite che i chiodi gli avevano prodotto nelle mani e nei piedi e la lancia gli aveva aperto nel costato.

Nel Venerdì Santo del 1926 un nuovo elemento si aggiunse a queste visioni: le stimmate. Del sangue apparve improvvisamente sulle palme delle mani e sulle piante dei piedi della donna, e altro sangue sembrò sgorgarle dal fianco; piaghe sanguinanti che imitavano le ferite di Cristo sulla croce. Con un particolare in più: del sangue sembrò colarle anche dagli occhi. Il prete del luogo si convinse che stava avvenendo un vero miracolo, una visione del Salvatore. Preti e contadini impressionabili diffusero la voce. Ben presto, molti devoti cattolici vennero da ogni parte al capezzale della Neumann per constatare la presenza delle stimate, che avevano cominciato ad apparire non solo nel giorno del Venerdì Santo, ma OGNI VENERDÌ. Oltre alle stimmate, diventarono più insistenti anche i suoi colloqui con Gesù: alcuni sostenevano che lei CERCAVA DI METTERE IN GUARDIA Gesù dalla fine sanguinosa che lo attendeva; che voleva aiutarlo a sfuggire alla crocifissione. In cambio, Gesù e Maria proferivano, attraverso la Neumann, dei moniti sulle condizioni della Germania. Fu questa dimensione quasi politica delle sue visioni che cominciò ad attrarre, da Monaco, un certi numero di sofisticati e — sotto altri aspetti — scettici visitatori, alcuni dei quali erano dei giornalisti colleghi di Gerlich. Andarono a vedere le ferite sanguinanti, e tornarono indietro con la testa piena delle sanguinose profezie della donna, profezie che ben si intonavano con l’umore preapocalittico della Germania di Weimar. […]

Nella sua reverente biografia di Therese Neumann, il dottor Johannes Steiner, un collega di Gerlich, racconta che quest’ultimo andò a Konnersreuth "deciso a smascherare tutte le frodi nelle quali si fosse imbattuto,… se avesse potuto riscontrarne qualcuna". Invece, "egli ebbe il dono di una grazia speciale. Riconobbe immediatamente che gli eventi Konnersreuth non trovavano spiegazione nell’ordine naturale delle cose e tornò a Monaco come un secondo san Paolo". Non nell’ordine naturale delle cose, "nicht natürlich", certo, ma in modo assai diverso dalla sinistra aura innaturale che circondava Hitler. Eppure, altre indagini che sono state condotte su quel fenomeno hanno suggerito spiegazioni diverse da quelle sopranaturali. Si consideri, per esempio, l’affascinante libro pubblicato nel 1949 da una scrittrice cattolica laureata ad Oxford, "The Case of Therese Neumann" di Hilda Graef. A differenza del parroco locale e dei vescovi che si fecero incantare dalla celebrità mondiale acquista dalla Neumann, molte autorevoli personalità della Chiesa cattolica dichiararono il loro assoluto scetticismo su quelle "miracolose manifestazioni"; e la Graef ha dissepolto alcune delle prime indagini condotte dai medici che la Chiesa aveva inviato a Konnersreuth per verificare come stessero realmente le cose. Dai loro rapporti, e dalla sintesi degli elementi probatori che fa la Graef, anche se in modo indiretto e in tono cortese (per tenerezza verso il sentimento di genuina reverenza dei credenti), emerge che la giovane contadina fu una vera imbrogliona, un’artista della mistificazione. Molto probabilmente essa si produceva le stimmate nascondendo sotto le coperte delle fialette piene di sangue e applicandole di nascosto alle sue "piaghe" quando i suoi genitori facevano uscire dalla stanza i visitatori durante un "accesso di tosse" di Therese o con la scusa che l’ammalata, cronicamente costretta a letto, aveva bisogno di fare i suoi bisogni nella "padella". Quando i visitatori rientravano nella stanza, trovavano il volto della carismatica contadina improvvisamente macchiato di sangue; lei gettava via, con un gesto drammatico, le coperte e mostrava — alle mani, ai piedi, e al costato — le ferite che imitavano i fori sanguinanti del corpo di Cristo.

Quando si leggono i risultati dell’indagine della Graef, ci si imbatte in un mistero molto più imbarazzante dei miseri trucchi da prestigiatore usati per perpetuare l’illusione delle stimmate, il mistero di come un giornalista agguerrito e temprato qual era Gerlich abbia potuto cadere vittima di una beffa così primitiva e rudimentale. (È una domanda non dissimile da quella che è stata posta a proposito di Hitler: in che modo una cultura così raffinata come quella tedesca ha potuti cadere vittima di una mistificazione così spudorata come quella hitleriana?).

Come si vede, la breve ricostruzione della vicenda relativa a Therese Neumann trasuda letteralmente astio, malevolenza, incredulità, disprezzo: lo si vede non solo da come l’autore dipinge, disinvoltamente, la personalità della mistica — ignorante, rozza, primitiva, bugiarda, cialtrona, attrice consumata — ma dallo stesso vocabolario che adopera e dalla maniera di esporre i fatti. Per esempio, la Neumann non rimase paralizzata, ma si mise a letto sostenendo di essere rimasta paralizzata; lei non era quel che sembrava, né lo erano le sue stimmate, perché si trattava di una fanatica le cui stimmate erano forse contraffatte (formidabile quel "forse": lo ha messo per precauzione, ma non si è reso conto che esso basta a inficiare tutta la serietà della sua ricostruzione); e la vita di mistica sofferenza, durata più di trent’anni, si riduce a una serie quotidiana di miseri trucchi da prestigiatore. E quale prestigiatore sarebbe riuscito a fingere così a lungo, per tutta la vita? E quale prestigiatore avrebbe trasformato la propria vita in un calvario, in un inferno, solo per il gusto di prendere in giro tutti quanti? Non c’è nemmeno una logica: c’è solo il pregiudizio da cui parte l’autore: i fenomeni in questione sono impossibili, dunque la Neumann era una cialtrona; il tutto, del resto, si spiega con il clima di paura e profondo turbamento che caratterizza gli anni della Repubblica di Weimar. Tipica "spiegazione" sociologica che non spiega un bel nulla. In realtà l’esame della stigmatizzata, da pare delle autorità competenti e anche di quelle inviate dalla Curia, fu estremamente accurato, al contrario di ciò che Rosenbaum vuol far credere; la donna venne osservata giorno per giorno, ora per ora, minuti per minuto, e nessuno trovò le fialette piene di sangue (ma di chi?), nessuno la vide infliggersi ferite, per il semplice fatto che ella non fu mai lasciata sola, neanche per un momento. Tuttavia la malevolenza e il pregiudizio dell’autore traspaiono, in maniera anche più esplicita, delle teatrali deprecazioni postume cui si abbandona davanti allo spettacolo, per lui incomprensibile, di un intellettuale lucido e razionale, per di più protestante, il quale, andato a Konnersereuth per smascherare la simulatrice, cambia completamente idea, si converte al cattolicesimo e diventa uno dei più accesi sostenitori della veridicità di tutto quel che accade in quella misera stanza dei dolori. È questo che non gli va giù; è questo che lo irrita e lo offende. Anche perché, secondo lui, il processo socioculturale che portò a scambiare una contadina imbrogliona per una santa, privilegiata da Dio, è del tutto paragonabile a quello che portò un abile ciarlatano come Hitler ad incantare e affascinare milioni di cittadini di una nazione colta ed evoluta, come la Germania. Rosenbaum non si fa scrupolo di fare questo raffronto apertamente: non trova nulla di sconveniente nell’accostare la stigmatizzata di Konnersreuth alla sinistra figura di Hitler; anzi, suggerisce altri parallelismi inesistenti: come quando dice, con calcolata malizia, che le visite di Fritz Gerlich alla Neumann ebbero inizio nello stesso torno di tempo in cui ebbero inizio le viste (sessuali, e perciò incestuose) dello zio Adolf alla nipote Geli Raubal. Quando si decide si spiegare le anomalie della storia in chiave psicopatologica, si arriva necessariamente a queste ridicole, assurde semplificazioni: in fondo, la mente di una fanatica religiosa funziona in maniera analoga a quella di un ex imbianchino razzista e megalomane che ha la ventura di giungere al comando di uno Stato moderno e potente.

Il limite intrinseco della "storiografia" di studiosi come Rosenbaum è, ancora e sempre, ideologico e moralistico. Essi partono da un preconcetto: che il "fascismo" sia stato il Male assoluto (nella loro crassa ignoranza, confondono bellamente fascismo e nazismo, sicché non si sa mai bene di che cosa stiano parlando), dimenticando che il comunismo, negli stessi anni del nazismo, fece un numero di morti ancora più alto, in gran parte non cittadini stranieri di Paesi nemici, ma cittadini dell’Unione Sovietica, che avrebbe dovuto essere la terra promessa dei lavoratori; e ne traggono la conclusione che la domanda fondamentale da porsi sia la seguente: Come è potuto accadere? Cioè, come è potuto accadere che il nazismo sia andato al potere? Come è possibile che abbia potuto fare quello che ha fatto, specialmente a danno degli ebrei? Per la stessa ammissione di Rosenbaum, è la stesa domanda, mutatis mutandis, che lo imbarazza riguardo a Fritz Gerlich e Therese Neumann: come è potuto accadere che la fanatica e primitiva contadina cattolica abbia potuto sedurre il raffinato intellettuale scettico, razionalista e per di più protestante? Il fatto che un intellettuale razionalista, partito con un forte preconcetto contro la Neumann, si sia interamente ricreduto e che l’incontro con lei abbia cambiato la sua vita, non lo imbarazza minimamente sul piano della sostanza. Del resto, ignorante di teologia com’è, non sospetta nemmeno che la Neumann non può aver desiderato che Cristo scampasse alla morte, dato che la Croce, per un cattolico, è la chiave della Redenzione. Egli non si sofferma neppure per un attimo a considerare le ragioni che dovettero pesare a fa ore di una tale decisione, da parte di Gerlich; non gli interessa quel che egli vide o quel che provò: l’unica cosa che dice di non poter comprendere (ma perché non lo vuole) è di tipo metodologico. Siccome la Neumann mentiva e ingannava, è un mistero come Gerlich si sia lasciato prendere all’amo come un allocco. Eh, questi cattolici, che razza di gente arretrata e superstiziosa, ma furba. Tuttavia, se per caso ne trova uno, o una, che ha la sua stessa forma mentale, come Hilda Graef, allora è ben lieto di arruolarla nelle file del suo esercito e utilizzarla per sparare a zero contro i cattolici oscurantisti e le contadine fanatiche che fingono per sette lustri di avere le stimmate e le visioni celesti.

Questo è il livello dell’onestà intellettuale di Ron Rosenbaum, l’ebreo newyorkese che, da buon intellettuale progressista della Grande Mela, si sente autorizzato a montare in cattedra, puntare il ditino e far le pulci a chiunque altro e sparare giudizi gratuiti, ma che si stupirebbe moltissimo se qualcuno si mettesse a fare le pulci a lui. Codesti progressisti son tutti uguali, di qua e di là dall’Atlantico: paiono fatti con lo stampino; ci si annoia a passarli in esame, pure ciascuno di essi si sente speciale, unico, originalissimo. I pregiudizi di Rosenbaum contro i mistici sono vecchi di tre secoli e mezzo: sono gli stessi di Voltaire e Gibbon; in altre parole i signori progressisti sono delle mummie ammuffite, pensano vecchio, sono in ritardo di secoli, ma coltivano la presunzione di essere all’avanguardia in tutto: non solo nell’ambito intellettuale (e, naturalmente, politico sociale, ove vantano addirittura l’esclusiva), ma anche in quello morale. Ciò che è bene e male per essi, è il Bene e il Male assoluto. Del resto, sul piano storiografico non valgono nulla: non li sfiora neanche il dubbio che il compito di chi studia la storia non sia quello di chiedersi come è stato possibile che…?, ma, semplicemente, e più modestamente, cercar di capire come e perché sono accaduti certi fatti: prima come, e poi perché. Un perché di tipo storiografico, non morale: per fare i moralisti c’è sempre tempo, e poi c’è la fila in attesa; non occorre che gli storici si prenotino anch’essi. Piuttosto, quel che dice Rosenbaum sulla Neumann è utilissimo per farsi un’idea del valore del suo libro su Hitler. Chi è intellettualmente disonesto davanti a una piccola figura di donna (dal punto di vista storico; da quello spirituale è il contrario), non è credibile quando parla di un grande personaggio…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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