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L’islam non ha il concetto della dignità di ogni vita, né quello dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani

Il cristianesimo, dicono i cattolici progressisti e i fautori del dialogo inter-religioso, deve assolutamente dialogare con tutti i soggetti, deve proseguire il dialogo con tutte le religioni e specialmente con l’islam, che ha un miliardo e mezzo di fedeli in tutto il mondo e con il quale, per via della recente immigrazione islamica in Europa, i cristiani si trovano ad avere direttamente a che fare in casa propria (beninteso, se è ancora concessa l’espressione "casa propria" e se i fautori della integrazione a tappe forzate, ius soli compreso, non la trovano insopportabilmente razzista, eurocentrica e intollerante).

Monsignor Pietro Rossano, già rettore della Pontificia università lateranense, che è stato uno degli uomini-chiave del dialogo inter-religioso nella lunga stagione postconciliare, e che, con gli islamici, aveva avuto molto a che fare, osservava (cit. nell’articolo Pietro Rossano, biblista e uomo del dialogo. A vent’anni dalla morte del vescovo rettore della Pontificia università lateranense, su L’Osservatore Romano del 15 giugno 2011):

Con l’islam le cose sono difficili. Bisogna evitare a ogni costo un nuovo scontro cristiano-islamico, né si può congelare il buon rapporto creatosi dopo il Concilio. […] Gli interlocutori non cristiani reagiscono all’offerta cristiana del dialogo secondo le proprie categorie non dialogiche: quindi mentre per noi dialogo significa anzitutto accettazione dell’altro e dei suoi diritti, per l’islam non è così.

Si pretende, cioè, di dialogare con chi ignora cosa sia il dialogo. Ma i cattolici progressisti non sono quel genere di persone che si scoraggiano per così poco; se pure il dialogo è "difficile" sul versante strettamente religioso, resta pur sempre il "terreno comune" della persona, dei diritti umani fondamentali, dei valori morali universali. Benissimo; ma se così non fosse? Se non vi fossero, nell’interlocutore, neppure una condivisione del concetto di persona, dei diritti umani fondamentali e dei valori morali universali, così come li intende il cristianesimo? In quel caso, si potrebbe ancora sforzarsi di dialogare? E di che cosa, in nome del Cielo?

Ha osservato il noto sacerdote del P.I.M.E. Piero Gheddo, che ha viaggiato in tutto il mondo ed autore di oltre 80 libri, con una trentina di traduzioni al’estero, in La sfida dell’islam all’Occidente (Cinisello Balsamo, Milano, Edizioni San Paolo, 2007, pp. 42-44):

Gesù, Dio, si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria e ci ha rivelato che ogni uomo ha un valore assoluto, anche il più piccolo, il più povero, il più peccatore, perché ogni persona è fatta ad immagine di Dio e ha una scintilla di vita, di coscienza, di intelligenza che provengono da Dio, non da fattori materiali, fisici, meccanici, come pretendono coloro che giustificano la differenza sostanziale tra l’uomo e gli animali con i meccanismi dell’evoluzione storica della stirpe umana attraverso millenni e milioni di anni! La dignità assoluta di ogni uomo è un concetto tipicamente cristiano, non si trova in nessun’altra tradizione religiosa e nemmeno nell’islam. Il cristianesimo pone al cento l’uomo : "La via della Chiesa è l’uomo", ha detto Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica "Redemptor Hominis". Ecco perché la Chiesa insiste tanto, nel nostro tempo, sul valore della vita umana, dal primo istante del concepimento fino all’ultimo istante di vita prima della morte!

La "sharia", al contrario, è fondata su una triplice disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano e tra libero e schiavo. L’essere umano di sesso maschile è considerato pienamente titolare di diritti e di doveri in quanto appartenente alla "umma", la comunità islamica. Il diritto è della comunità non della persona, che dentro la "umma" ha diritti e doveri; ma se abbandona la religione per l’ateismo o per la conversione ad un’altra religione, perde tutti i suoi diritti, è un traditore, passibile della pena di more.

L’islam non conosce la parola "persona", ha il sinonimo "individuo" ("fard"), che è una cellula parte integrante della comunità titolare di diritti. Il "Corano" e la "sharia" vogliono proteggere la comunità islamica non l’individuo, il bene della comunità prevale sul bene della singola persona: per questo motivi la libertà religiosa non è ammessa, come pure la libertà di pensiero, di espressione. La comunità islamica quindi si presenta, nel suo complesso, come bloccata in una Legge, in una cultura, in norme giuridiche che non tengono conto dell’evoluzione e del progresso in tutti i campi che l’umanità ha compiuto, ad esempio il passaggio dai regimi totalitari alla democrazia: ma la democrazia presuppone la libertà di pensiero, di espressione, di religione, di dibattito, di dissenso!

Fonte dell'immagine in evidenza: Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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