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Bisogna fermare l’antipedagogia catto-progressista

Un tempo le fiabe per bambini battevano insistentemente sul medesimo tasto: non fidarsi dello sconosciuto, anche e soprattutto se offre le caramelle; non seguire il primo che si presenta con un sorriso e che non si sa di dove venga e che intenzioni abbia; tener sempre presente gli avvertimenti del papà e della mamma, non aprire la porta, non ascoltare le chiacchiere di chi si presenta come amico, ma che nessuno sa chi sia realmente. Nulla di speciale: erano, semplicemente, inviti al fare ricorso al più elementare buon senso e ad ascoltare il puro istinto della conservazione; niente di più e niente di meno. Bisogna dire che, in linea di massima, era un pedagogia che funzionava: rendeva i bambini consapevoli del fatto che, al mondo, non c’è, purtroppo, solamente il bene, ma c’è anche il male; che il male, sovente, si nasconde dietro apparenze rispettabili e perfino rassicuranti, per meglio raggiungere i suoi scopi; e che, sebbene la vittoria finale del bene sia assicurata, come insegna anche la religione cattolica, chi sottovaluta i pericoli va incontro ad amarissime sorprese, delle quali non finirà mai di dolersi, senza poter contare sulla comprensione, tanto meno sulla commiserazione, degli altri, perché chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Il bambino, anche grazie a tali raccomandazioni e alla morale insita nelle favole che gli venivano raccontate dagli adulti, diventava una persona matura e responsabile; non rimaneva un eterno bamboccio, un eterno sprovveduto, un eterno piagnone, frignone e vittimista.

Poi è arrivato il ’68, preceduto e preparato — nell’ambito religioso — dalla "stagione" del Concilio Vaticano II, quando, come disse Giovanni XXIII, la Chiesa, dopo aver percorso la via della severità, decise di mettersi su quella dell’apertura, della fiducia, del dialogo e dell’ottimismo verso il mondo (abbasso i profeti di sventura, dunque; e pazienza se i profeti devono annunciare le sventure ad una umanità che non ne vuol sapere di convertirsi e di accogliere l’amore di Dio; perché, se non lo facessero, Dio chiamerebbe loro a rispondere della morte del peccatore). Sono arrivati i pedagogisti e gli educatori libertari, pieni di tenerezza e di ottime intenzioni; sono arrivati i maestri e i professori gioiosi, anti-autoritari, buonisti e faciloni; sono arrivati i padri permissivi e le madri-amiche, sempre pronte a scusare i loro pargoletti e, naturalmente, a tirar fuori le unghie, con denunce ed avvocati, se la maestra si permette di guardarli appena un poco storto, per qualche marachella che abbiano combinato. Soprattutto, sono arrivati stuoli di psicologi e sociologi convinti che dire di "no" a un bambino, metterlo in guardia contro i pericoli, insegnargli la virtù della prudenza, sia la stessa cosa che infliggergli dei terribili traumi psichici e affettivi, sia una pratica barbara e deplorevole, frutto d’ignoranza e malfidenza verso il prossimo; che tutto ciò mina la fiducia del bambino verso il mondo e verso se stesso, spegne la sua gioia di vivere, addensa scuri nuvoloni di tetro pessimismo sulla sua povera testolina innocente. Insomma, è arrivata la stagione del vietato vietare e del proibito proibire: la stagione del rimbecillimento di massa e, quel che è peggio, dell’imbecillità al potere.

A partire da quel momento, è dilagata la moda della demagogia più sfrenata: nella famiglia, nella pubblica amministrazione, in politica, nel mondo della scuola, nella cultura, fra gli intellettuali, e, da ultimo, nella Chiesa cattolica, cominciando da quei cervelli fini dei teologi della "svolta antropologica", e culminando, è cronaca di questi giorni, con la conquista del seggio più alto, quello di san Pietro, il Servus servorum Dei. La retorica vuota e parolaia dei muri da abbattere e dei ponti da gettare; dello straniero da accogliere e dell’altro da includere; dei pregiudizi da sconfiggere e delle diversità da valorizzare; la retorica vuota e parolaia che spinge don Luigi Ciotti a domandare, enfaticamente: Chi ha paura delle mele marce?, quando chiunque possieda un minio di cervello in zucca se benissimo che la prima cosa da fare, allorché ci si accorge che alcune mele del cesto sono marce – non è questione di paura ma di buon senso – consiste nel tirarle fuori immediatamente, per evitare che diffondano il marciume a quelle sane; una volta isolate, si procederà a curarle, fin dove è possibile, tagliando via le parti irrecuperabili, o buttandole nel cestino dell’immondizia, così come stanno, buccia e tutto, se non sono più recuperabili nemmeno con tutta la buona volontà di questo mondo.

Proviamo adesso a domandarci da dove abbia avuto origine questa anti-pedagogia, diffusa a tutti i livelli, tanto che perfino le fiabe per bambini, oggi, la spandono copiosamente e che, per esempio, le varie organizzazioni LGBT se ne servono per veicolare l’ideologia gender e ogni sorta di delizia della visione del mondo omosessista: con i due pinguini, o i due coniglietti, o magari i due principini azzurri che scoprono di amarsi tanto, perché l’amore è tutto, e di voler formare una loro "famiglia", una famiglia arcobaleno, naturalmente, che sarà anche un po’ strana, forse, ma chi non è un po’ strano, in un mondo così gioiosamente, così fiduciosamente aperto, ottimista, inclusivo e assolutamente libero da biechi e superati pregiudizi? Il direttore di una emittente cattolica, Radio Maria, padre Livio Fanzga, è stato sospeso per sei mesi dall’Ordine dei giornalisti per aver citato un passo del libro dell’Apocalisse come argomento contro l’approvazione delle unioni omosessuali: lo ha citato in tribunale la senatrice Monica Cirinnà, prima firmataria di quella legge (una "legge di civiltà", di Kultur, ci mancherebbe altro, per mettere l’Italia al passo con il resto del mondo!); e il bello è che la notizia era stata totalmente passata sotto silenzio, e che nessuno, neppure dentro la Chiesa cattolica, né la C.E.I., sempre così loquace quando si tratta di "difendere" sedicenti profughi e altre minoranze non italiane e non cattoliche, né un qualche portavoce del papa o della stampa vaticana, si è sognato di muovere un dito o spendere mezza parola in difesa della libertà di espressione. Gli avvocati dell’accusa hanno ribaltato la frittata facendo passare padre Livio per un sacerdote gretto e fanatico che aveva augurato la morte alla povera senatrice in forza al Partito Democratico, laddove le aveva solo ricordato che anche lei, che si professa cattolica, dovrà presentarsi, un giorno, come tutti, del resto, immancabilmente, davanti alla giustizia di Dio, a rispondere delle sue azioni. Comunque, il messaggio è stato chiaro: denunce in vista per chiunque non accetti di piegare la testa davanti alla dittatura omosessista: quando la legge anti-omofobia sarà stata varata, il che è solo questione di tempo, non si tratterà più di semplici provvedimenti amministrativi, ma sarà la giustizia penale ad occuparsi, con multe salatissime ed, eventualmente, con la prigione, o quanto meno con i lavori socialmente utili a scopo "rieducativo", di quei cittadini incorreggibilmente ottusi e trogloditi, i quali oseranno esprimere il benché minimo dubbio sul nuovo sistema etico-sociale che si sta instaurando al di sopra dei cittadini, e sulla contro-pedagogia che lo sta veicolando e legittimando.

A una anti-pedagogia, infatti, corrisponde necessariamente una anti-etica. L’anti-etica consiste nel proclamare una nuova forma di totalitarismo, quella del relativismo assoluto, da cui si desume il principio che ciascuno ha il diritto alla propria verità, e quindi, necessariamente, anche alla propria nozione del bene e del male. La nozione di ciò che è bene e di ciò che è male, da parte del satanista, ad esempio, avrà pieno corso legale, quanto quella del cristiano. In nome della libertà astratta e assoluta, della libertà da e della libertà contro, nessuno avrà il diritto di criticare la nozione del bene e del male stabilita all’interno di una loggia satanica; e se mai qualcuno dovesse farlo, si beccherà immediatamente una denuncia e dovrà sborsare un sacco di soldi. Non ci sarà più appello all’evidenza, al buon senso, e tanto meno a un qualche principio assoluto e universale; non ci sarà più niente di niente: solo l’affermazione apodittica, velleitaria, e nondimeno aggressiva e giacobina, della propria verità e del proprio codice etico. Un codice etico varrà quanto un altro codice etico. Certo, il magistrato sarà autorizzato a intervenire in caso di violazione della legge; ma, ecco il punto, il legislatore sarà già intervenuto a monte del "problema", defalcando dal codice tutta una serie di atti che fino a ieri erano considerati reati, e liberalizzando tutta una serie di cose che incorrevano, e in parte ancora incorrono, nella riprovazione morale dei più. In poche parole, la manipolazione ideologica dell’etica renderà impossibile far valere qualunque vero principio etico, e consegnerà il cittadino, inerme e disarmato, di fronte alle crescenti aggressioni di chiunque avrà l’astuzia e la spregiudicatezza di muoversi stando al riparo del politicamente corretto. Nascerà una nuova professione, o meglio, una nuova forma di rendita: la rendita da denuncia. Vi saranno uffici legali e persone incaricate di sorvegliare e spiare in permanenza, ventiquattro ore al giorno e trecentosessantacinque giorni all’anno, tutto quel che si fa, che si dice, che si scrive nell’universo mondo, nelle case, al bar, allo stadio, al supermercato, a teatro, in pizzeria, e naturalmente anche e soprattutto nelle scuole, e di sporgere querela contro i violatori della legge, i razzisti, gli omofobi, i maschilisti, e così via, o, per dir meglio, contro i violatori di una legge manipolata, evirata, rovesciata e piegata ad uso e nell’interesse dei pervertiti. Non si potrà più chiamare "pedofilo" il molestatore di bambini, perché la legge avrà stabilito, senza possibilità di eccezione, che quel che conta è l’amore, e dove c’è amore, non può esserci alcun reato. Sarà bello, vedrete. E se, per caso, qualche irrecuperabile nostalgico del passato non dovesse trovarsi a suo agio, nessuno gli impedirà di fare come lo storico francese Dominique Venner, che il 21 maggio 2013 si sparò un colpo di pistola in bocca, nella cattedrale di Notre-Dame, in segno di protesta contro la distruzione dei valori morali dell’Europa: in quei giorni, il parlamento stava introducendo anche nel suo Paese la famosa legge di civiltà, ossia il riconoscimento dei cosiddetti matrimoni omosessuali.

Ma, dirà qualcuno, non si deve essere troppo pessimisti; c’è pur sempre la religione cristiana, c’è pur sempre la Chiesa cattolica, le quali faranno da argine contro la marea montante del relativismo, dell’individualismo e dell’edonismo assoluti, la triade micidiale che sta distruggendo, come un tumore maligno, la nostra civiltà, e che sta mettendo in forse la nostra stessa sopravvivenza, non solo in senso morale e spirituale, ma persino in senso strettamente biologico. Magari fosse così; ciò era vero, o poteva esser vero, fino a qualche decennio fa; ora il tumore è entrato nella cultura cattolica, nella morale cattolica e nella Chiesa stessa. Un esercito di teologi, vescovi e preti impazziti, o peggio, passati armi e bagagli ai nemici di Cristo, sotto le bandiere dell’eresia modernista, stanno facendo a pezzi quel che il Vangelo ha sempre rappresentato, da secoli e secoli, nella vita delle persone e in quella dell’intera società occidentale, e lo stanno sostituendo con un altro vangelo, che solo apparentemente è lo stesso, ossia quello di Gesù Cristo, e con un’altra chiesa, che solo di nome è la stessa, ossia la Sposa fedele di Gesù, ma che, in realtà, sono una cosa completamente diversa, per non dire opposta. È nata la neochiesa gnostico-massonica, all’interno della Chiesa cattolica; ed è nata la contro-cultura cattolica, la quale, con la scusa di "liberare il clero dal clericalismo", formula continuamente usata proprio dal sommo pastore, papa Francesco, sta semplicemente togliendo l’identità cristiana a ciò che è cristiano, sta purgando il Vangelo dalla parola di Cristo e la sta sostituendo con una parola interamente umana, sempre più laica e laicista, nella quale non si sente il profumo dell’infinito, ma solo l’aria stagnante dell’immanenza, della storia chiusa in se stessa, dell’umanità che rifiuta Cristo e che vuol fare da sola, ma con la raffinata ipocrisia e la diabolica astuzia di recepire ed attuare i suoi insegnamenti, sì, ma in modo più "maturo" e più "adulto" dei nostri rozzi e ingenui predecessori. I quali, figuriamoci, arrivavano al punto di beata ingenuità di leggere i quattro Vangeli, credendo (ma si può esser più sempliciotti?) che Gesù avesse detto e fatto proprio quelle tali cose che vi sono scritte; mentre invece noi, oggi, cristiani adulti e responsabili, siamo andati ben oltre questo rozzo fideismo, e, resi edotti dalla saggezza infinita di un padre Sosa Abascal, che, ai tempi di Gesù, non esistevano i registratori, abbiamo il privilegio di sapere che non si sa cosa Gesù realmente disse e fece.

Ma allora, chiederà qualcuno della vecchia scuola, incorreggibilmente ingenuo o incorreggibilmente testardo, se non sappiamo cosa Gesù abbia detto, che razza di cristianesimo è il nostro, e che razza di Vangelo è quello in cui crediamo, e che abbiamo la pretesa di annunciare al mondo? Beata ingenuità, o, piuttosto, dannata malizia dei soliti cattolici tradizionalisti e nemici del progresso: basta rimettersi al giudizio di padre Sosa. Non abbiamo appena detto che chiunque ha il diritto alla propria verità, e, dunque, alla propria nozione del bene del male? E dunque, ciascuno ha il diritto di credere nel proprio vangelo, e di far dire a Gesù quel che gli sembra più giusto. Certo, un po’ di modestia vorrebbe che il semplice fedele, il cattolico qualsiasi, la vecchietta, il bambino, si rimettessero al giudizio di chi ne sa più di loro: gli esperti, i competenti, cioè i teologi. E i teologi della scuola odierna sono sempre più allineati sulle posizioni di padre Sosa Abascal; che sono, poi, le posizioni di papa Francesco, del cardinale Vincenzo Paglia, di monsignor Nunzio Galantino, dell’arcivescovo Gian Carlo Perego, e così via. Così è, se vi pare: questa sera si recita a soggetto, diceva un certo Luigi Pirandello. Ma domani, chi lo sa? Domai è un altro giorno, staremo a vedere…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Hal Gatewood su Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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