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Giovanni XXIII, il “papa buono”?

Giovanni XXIII è tuttora rimasto, nell’immaginario di milioni di cattolici, come "il papa buono": espressione curiosa, a dire poco, visto che par sottintendere che gli altri, i papi che l’hanno preceduto, e specialmente il suo immediato predecessore, tanto buoni non devono essere stati: altrimenti, perché sottolineare la bontà di uno fra i tanti? La bontà non dovrebbe essere una caratteristica irrinunciabile del successore di san Pietro? Oppure qualcuno riesce a immaginarsi che san Pietro non fosse buono, o che non lo fossero gli altri Apostoli che formarono la Chiesa e iniziarono a diffondere il Vangelo presso tutte le genti?

Il giornalista e vaticanista Carlo Falconi (1915-1998), nella sua opera I papi del XX secolo, pubblicata da Feltrinelli nel 1967, per meglio magnificare la cortesia e l’affabilità verso tutti del "papa buono", riferisce un episodio assai significativo riguardante Angelo Roncalli, giovane segretario del vescovo di Bergamo, monsignor Giacomo Radini-Tedeschi, e papa Pio X, risalente agli anni della crisi modernista, culminata nell’enciclica Pascendi Dominici gregis, del 1907, che comminava la scomunica per i seguaci di quel movimento, definito da papa Sarto "collettore di tutte le eresie". L’episodio è questo (e viene riportato anche nella monografia Giovanni XXIII della collana I dossier Mondadori, Milano, Mondadori, 1972, pp. 62-63, dalla quale lo citiamo):

… da giovane, segretario del vescovo Radini-Tedeschi, egli era stato profondamente deluso una volta, durante un’udienza di Pio X, dall’atteggiamento accigliato e distratto di quel pontefice che, ricevendo il prelato insieme ad altre personalità bergamasche, non si era neppure curato di ringraziare per il vistoso obolo consegnatogli. Lamentandosi col suo superiore, egli aveva detto di ritenere che il papa, per quanto addolorato e preoccupato potesse essere, dovesse sempre mostrarsi benevolo e sorridente verso i suoi fedeli. Egli dunque non faceva ora che mettere in pratica il criterio formulato tanti anni prima, e se sembrava amare la popolarità, non era già per riscuotere le soddisfazioni , ma per dare più che per ricevere.

Come è noto, Roncalli nutriva una grandissima ammirazione, quasi una venerazione, per il suo vescovo, per ricordare il quale aveva pubblicato la biografia: Monsignor Giacomo Maria Radini Tedeschi vescovo di Bergamo. Note biografiche (Bergamo, S. Alessandro, 1923), scritta già nel 1916, due anni dopo la morte di lui. È anche noto che egli si è sempre espresso in termini rispettosi e devoti nei confronti di san Pio X, pur lasciando trasparire, qua e là, lampi di perplessità, se non proprio d’incomprensione o di critica. Ora, nell’episodio riferito dal giornalista Carlo Falconi vien fuori non solo una circostanza inedita e un tratto non molto lusinghiero di papa Sarto, ma anche una esplicita condanna di lui, al punto da averlo preso quale modello negativo per non ripetere lo stesso "errore", una volta eletto papa a sua volta, molti anni più tardi. Riportando quel lontano episodio, Giovanni XXIII non esita a dire di esser rimasto "profondamente deluso" dal comportamento di Pio X, il quale si era mostrato "accigliato e distratto" e non si era nemmeno curato di dire un grazie per il "vistoso obolo" che Radini-Tedeschi gli aveva consegnato.

La prima osservazione che non possiamo non fare è che, se Roncalli lo avesse taciuto, nessuno sarebbe mai venuto a conoscenza dell’episodio, perché non risulta che gli altri personaggi presenti a quella udienza ne abbiano poi parlato, per lo meno in quei termini. Dunque: un papa riferisce, a distanza di molti anni, un episodio riguardante un altro papa, suo predecessore, episodio che getta su questi una luce sfavorevole e lascia un’impressione un po’ penosa in chi ne viene a conoscenza. Sorge una domanda inevitabile: la carità cristiana non avrebbe dovuto suggerirgli di tenere per sé quel ricordo, o, almeno, di non affidarlo agli orecchi di un giornalista, che certamente lo avrebbe riferito ai suoi lettori? È una situazione analoga a quella del caso di Dante e Brunetto Latini: se il sommo Poeta non avesse collocato il suo antico maestro all’inferno, nel cerchio dei sodomiti, noi non saremmo mai venuto a conoscenza di quell’aspetto della sua personalità; era dunque necessario farlo a sapere a tutto il mondo, visto che, da un altro lato, egli professava la massima stima e il più grande affetto nei suoi confronti? Si può ostentare stima ed affetto per una persona, e, nello stesso tempo, metterla alla berlina, gridando dai tetti un suo peccato, o una sua debolezza, o un suo difetto, di cui quasi nessuno era finora a conoscenza?

Peraltro, Roncalli riconosce che il papa, forse, era "preoccupato" e "addolorato", senza spiegarne le ragioni; però si incarica lui stesso di spazzar via questa considerazione come giustificativa del suo comportamento scostante. In tal modo, gli sottrae, apparentemente, l’unica scusante, o, quanto meno, l’unica attenuante possibile: bisognava capirlo, cosa volete, il papa era in quel momento sovraffaticato e pieno di ansie e di preoccupazioni. Invece no: girando il coltello nella piaga, Roncalli fa notare che niente, neppure le preoccupazioni e i dispiaceri, possono giustificare un comportamento inurbano e quasi scorbutico; e si fa bello dicendo di aver tratto una morale da quell’episodio, che poi, eletto papa a sua volta, si è prefisso di mettere sempre in pratica: quella di essere gentile e amabile con tutti, perché il papa, anche se gravato dai suoi doveri e dalle sue responsabilità, non ha il diritto di mostrarsi meno che benevolo verso tutti quelli coi quali ha a che fare. Insomma, dà la pagella sia a Pio X che a se stesso: per bocciare quello e per dare un bel voto a se stesso. E questa è la seconda cosa che non ci piace molto, se dobbiamo dire la verità, in tutto questo episodio.

La terza cosa che non fa una bella impressione è il fatto di vantarsi che Radini-Tedeschi e il suo segretario non si erano presentati in udienza dal papa a mani vuote, ma portandogli un obolo che Roncalli definisce "vistoso". Forse saremo troppo all’antica, come si suole dire; ma non c’è scritto nel Vangelo che Gesù Cristo in persona ha raccomandato che, quando si fa una buona azione, la mano sinistra non deve sapere quel che sta facendo la destra? Qui, al contrario, il bene fatto viene sbandierato e, per giunta, viene utilizzato come una circostanza aggravante nei confronti di quel maleducato che non ha neppure ringraziato: un modo di fare, quello di Pio X, semplicemente deplorevole, che chiunque, trovandosi nei panni di Roncalli, avrebbe trovato altrettanto offensivo. Ma c’era proprio bisogno di aggiungere anche questo particolare, che aggrava la brutta figura di Pio X e suona a lode di chi riferisce l’episodio?

La quarta cosa che non ci quadra per niente, ed è la più grave di tutte, è che Roncalli si è guardato bene dallo specificare quali fossero, o potessero essere, le ragioni che rendevano il papa Pio X così rattristato e preoccupato: e lo ha fatto per una buonissima ragione, che, però, non torna affatto a suo onore. Papa Sarto aveva motivo di sospettare il vescovo Radini-Tedeschi di simpatie, o di connivenze, con gli ambienti modernisti, quelli stessi contro i quali stava conducendo la sua strenua e solitaria battaglia, incompreso dai più, criticato dietro le spalle da molti, e, in seguito, esplicitamente o implicitamente giudicato con estrema severità da quasi tutti gli storici che si sono occupati del suo pontificato e della crisi modernista, anche e specialmente da quelli di parte cattolica, dato che, fra costoro, spiccano quelli di tendenza progressista e, appunto, neomodernista, per cui è facile capire come Pio X, per essi, sia la "bestia nera" per antonomasia, e quanto poco volentieri ricordino il suo operato e rendano conto delle sue ragioni e della sua "severità". Nel raccontare quel lontano episodio, dunque, dopo aver eliminato le possibili attenuanti per la "maleducazione" di Pio X, e dopo essersi vantato che lui e il suo vescovo si presentavano a Roma latori di un vistoso donativo per le casse pontificie, tace la cosa più importante: cioè che il viso serio e accigliato del papa era dovuto a una ragione molto precisa, ossia i rapporti che gli erano giunti, forse non proprio infondati, checché ne dicano gli storici cattolici di sinistra, sulle segrete relazioni correnti fra Radini-Tedeschi e ambienti dell’eresia modernista.

E c’è una buona, anzi, un’ottima ragione, per spiegare quel silenzio di Giovanni XXIII: il sospetto più grave, a carico di Radini-Tedeschi, riguardava proprio lui, il suo fidatissimo segretario, il giovane Angelo Roncalli. Il vescovo, cioè, era sospettato di coprire le spalle al suo segretario dalle simpatie moderniste: ma di questo, Giovanni XXIII non voleva parlare, anzi, non poteva, per l’ovvia ragione che, se lo avesse fatto, avrebbe riportato l’attenzione su un aspetto poco noto, e ormai quasi dimenticato, della sua giovinezza: le sue simpatie moderniste. Oltretutto, se si fosse tornati a parlare della cosa, qualcuno avrebbe potuto fare due più due, e vedere nel Concilio Vaticano II, che l’ormai vecchio Giovanni XXIII aveva voluto ad ogni costo convocare, ignorando le ragioni di prudenza che avevano sempre trattenuto il suo predecessore, Pio XII, precisamente perché era desideroso di "sdoganare" e di "riabilitare", sia pure in forma obliqua e indiretta, proprio le sue vecchie idee moderniste, quelle del suo indimenticato maestro ed amico Ernesto Buonaiuti, che era stato scomunicato solennemente sotto il pontificato di Pio XI, appunto per aver preso le difese del movimento modernista, e le cui opere erano state messe all’Indice.

Stiamo dicendo una cosa molto grave, e ne siamo perfettamente consapevoli: ma è il segreto di Pulcinella, e solo l’ipocrisia del politically correct, declinata in salsa catto-progressista, è sempre riuscita a tenerla occultata al grande pubblico. Stiamo dicendo che Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, aveva apertamente simpatizzato con il movimento modernista: e questa non è un’illazione malevola, ma è la constatazione di un fatto. Il senatore Giulio Andreotti riferisce nel suo libro I quattro del Gesù. Storia di un’eresia (Milano, Rizzoli, 1999) che la Chiesa dovrebbe finalmente riabilitare quegli uomini, cioè i modernisti, i quali furono ingiustamente perseguitati. Erano il "gruppo dei quattro": Angelo Roncalli, Giulio Belvederi (zio della moglie di Andreotti), Alfonso Manaresi (che molti ex studenti non più giovanissimi ricordano come storico e autore di apprezzati libri di testo per le scuole superiori) ed Ernesto Buonaiuti. Gli ultimi due incorsero nei fulmini della censura ecclesiastica; i primi due, invece, vennero salvati dalle loro amicizie in alto loco; nel caso di Roncalli, si trattava precisamente del vescovo Radini-Tedeschi. La storiografia catto-progressista, e anche quella laica, hanno sempre minimizzato queste giovanili simpatie moderniste di Angelo Roncalli; hanno sempre parlato di una semplice amicizia, anzi, di un rapporto di stima per il suo professore Buonaiuti; e hanno ironizzato sul fatto che, a carico del futuro papa, nei dossier della Curia c’era solo una cartolina spedita al suo indirizzo. Altro che cartolina: Roncalli condivideva le idee di Buonaiuti, Belvederi e Manaresi, coi quali faceva compagnia fissa: erano noti, appunto, come "il gruppo dei quattro". E questa è storia, non pettegolezzo.

Arrivati a questo punto, si può meglio comprendere il volto accigliato e l’espressione seria e contrariata di papa Sarto, davanti a Radini-Tedeschi in visita a Roma, e specialmente davanti al suo giovane segretario in odore di modernismo, nonostante il vistoso obolo di cui s’è detto, e che può essergli sembrato un goffo tentativo per "comprare" la sua benevolenza: ma Sarto non era uomo da transigere sui principi. E si può anche capire perché Giovanni XXIII, raccontando, molti anni dopo, quell’episodio, abbia taciuto le circostanze collaterali, che avrebbero permesso a chiunque di comprenderlo meglio. Quel che non si capisce, a essere proprio sinceri, è perché egli abbia voluto parlarne. A meno che si tratti della solita sicumera, per non dire della solita arroganza, dei cattolici progressisti, alto clero e papi compresi: vedi, oggi, lo stile di papa Francesco. A costoro non viene mai in mente che anche gli altri abbiano un cervello per pensare da sé, per farsi delle domande, magari scomode (per loro): sono talmente sicuri di aver sempre ragione, di avere una superiorità morale su qualsiasi eventuale contraddittore, e nutrono un così profondo disprezzo verso quelli che non condividono le loro meravigliose "aperture" ecumeniste, la loro strenua volontà di tenere aperto un "dialogo" inter-religioso, e loro volontà di attuare "riforme" sempre più avanzate in seno alla Chiesa, che non prendono neanche in considerazione la possibilità che il loro gioco venga scoperto, e che possano fare, proprio loro, che si credono tanto furbi, una magra figura.

Certo; se avesse taciuto l’episodio dell’udienza presso Pio X, Giovanni XXIII non avrebbe corso il rischio di riaprire il capitolo dei suoi trascorsi modernisti, così volonterosamente messo a tacere da tutto l’establishment culturale nostrano, laicisti a oltranza compresi, tutti d’accordo nell’intonare le lodi incondizionate al papa che aveva voluto indire il Concilio Vaticano II. Benissimo. Ma, invece, lo ha fatto; e adesso noi siamo qui a domandarci: è proprio per quelle sue simpatie moderniste, che Giovanni XXIII ha voluto convocare il Concilio, ignorando le perplessità, le obiezioni e i pareri negativi di tanti uomini che, in Vaticano, vedevano il grave pericolo cui la Chiesa andava incontro?

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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