
Cercate le cose del Cielo, non della terra
24 Luglio 2016
Il destino dell’Europa è il cristianesimo o il nulla
25 Luglio 2016In concomitanza con la migrazione/invasione/colonizzazione dell’Europa da parte di masse di milioni d’individui di fede islamica, ben decisi a non integrarsi affatto ma, al contrario, ad integrare gli Europei nella loro civiltà, a cominciare dalla loro fede religiosa, si assiste, da qualche tempo, al livello della cultura "alta" (si fa per dire) ad un curioso tentativo, da parte di alcuni sedicenti intellettuali, di dimostrare che le radici della civiltà europea non sono solamente greco-cristiane e giudaico-cristiane, ma anche islamiche. Con quali supporti storici? Principalmente con la vecchia tesi — perché di una tesi si tratta, e anche piuttosto scombinata, benché sia stata fatta passare per oro colato da generazioni di professori nelle aule scolastiche e universitarie, senza che mai qualcuno si prendesse la cura di verificarla — che gli Europei hanno riscoperto la cultura greca, nei secoli dell’Alto Medioevo, grazie al fatto che essa, pressoché dimenticata nel nostro continente, era rimasta viva nell’amore e negli studi dei traduttori arabi di Aristotele e altri filosofi greci; e che fu quasi esclusivamente per merito loro se, più tardi, quelle conoscenze si diffusero di nuovo nella cultura europea, che le aveva praticamente dimenticate, così come aveva praticamente dimenticato la lingua greca e, quindi, non era più in grado di padroneggiare direttamente quei testi, almeno fino all’inizio dell’Umanesimo.
Nel migliore dei casi, dunque, e per ammissione degli stessi sostenitori di questa lettura della civiltà medievale, gli studiosi arabi non avrebbero fatto altro che tradurre e chiosare Aristotele, per renderlo nuovamente accessibile agli studiosi europei, peraltro nelle discutibili o fuorvianti interpretazioni di Avicenna e Averroè: per cui, a rigor di termini, una filosofia araba non esiste, ma esiste una esegesi araba della filosofia greca. Tuttavia, bisogna chiarire un altro equivoco preliminare, sul quale si è retta, per generazioni, la favola della trasmissione islamica della cultura greca alla civiltà europea: e cioè che "arabo" non significa, puramente e semplicemente, "islamico": i due termini non sono affatto equivalenti; e anche il termine "arabo", che, dei due, parrebbe il meno suscettibile di subire un uso improprio, non è, invece, così chiaro e oggettivo come si potrebbe immaginare. Per chiarire questo punto, ricordiamo che Avicenna era persiano e Averroè era berbero; molti altri studiosi mediorientali della filosofia greca erano siriaci di lingua aramaica o greca, e di religione cristiana, prevalentemente monofisita o copta, i quali solo nel corso dei secoli sono stati assimilati dalla religione islamica, processo che non è giunto a compimento integrale neppure oggi, dopo quattordici secoli di pressione esercitata su quelle antichissime comunità. Questo significa che gli studiosi semiti della filosofia greca non erano, in larga maggioranza, né arabi, né islamici; e che si dedicavano a tali studi non in quanto arabi o in quanto islamici, ma in quanto eredi diretti della cultura greco-romana e membri attivi della civiltà cristiana-orientale, che rimase viva e vitale fino a quando l’Impero Bizantino, dopo secoli di lotta strenua e gloriosa, non fu ridotto che ad un troncone sanguinante, dal quale erano state amputate, una dopo l’altra, tutte le membra, dalla ferocia dei conquistatori turchi.
Pertanto, sarebbe molto più giusto rovesciare l’impostazione cara ai sostenitori di un decisivo apporto islamico alla formazione della civiltà europea: la verità sta press’a poco nella direzione opposta, nel senso che fu la forza della civiltà greco-romana, filtrata e trasformata dal cristianesimo (che nacque dalla matrice giudaica, ma che nacque appunto distaccandosi e differenziandosi da essa, in maniera rivoluzionaria e inconciliabile), ad esercitare un potere di attrazione così grande sulle popolazioni situate ad oriente e a mezzogiorno del Mediterraneo — siriani, persiani, armeni, greco-egiziani, berberi, etiopi ed anche arabi), che esso rimase vivo per parecchi secoli dopo che quelle popolazioni erano state bensì soggiogate dai conquistatori islamici, non però ancora del tutto convertite e assimilate. Al contrario, si può pensare che proprio il fatto di coltivare con tanto amore lo studio dei filosofi greci sia stato, per tali popolazioni, una maniera di conservare uno stretto legame con la cultura greco-romana, vale a dire, nei secoli dell’Alto Medioevo, con l’ambito della civiltà cristiana: perché, in quell’epoca, le due cose erano di fatto inseparabili (mentre, come si è detto, era, almeno in parte, separabile il fatto di essere siriani, persiani, berberi, eccetera, dal fatto di essere islamici).
Ci piace riportare, a questo proposito, alcune righe tratte da un articolo del saggista Corrado Gnerre, uno studioso di filosofia e teologia che non sarà mai invitato nei salotti televisivi frequentati dai vari Massimo Cacciari e Umberto Galimberti, e meno ancora dai vari Enzo Bianchi o Vito Mancuso, perché è uno dei pochi che ha il coraggio di andare controcorrente e di dire quelle verità politicamente scorrette che tanto infastidiscono i sonni beati del conformismo culturale e disturbano le comode tesi preconfezionate della vulgata ideologica oggi imperante. La pagina in questione, a sua volta, prende lo spunto dall’opera dello storico medievalista francese Sylain Gouguenheim, classe 1960, il cui libro Aristote au Mont Sauint-Michel ha scatenato violente discussioni, proprio per la sua impostazione radicalmente diversa da quella che è stata, finora, la sola e giusta interpretazione politically correct del rapporto fra cultura islamica e civiltà medievale europea (dall’articolo di Corrado Gnerre: L’Alto Medioevo… altro che "ignorante" in greco!, apparso sul periodico delle Suore Francescane dell’Immacolata, Il Settimanale di Padre Pio, Ostra, Ancona, anno XV, 10 luglio 2016, pp. 27-28):
Tra le tante sciocchezze che sono scritte nei testi scolastici ve ne è una su cui non si fa molta attenzione, ma che ha la sua importanza. La sciocchezza è questa: l’Alto Medioevo (cioè quel periodo che va dalla fine dell’Impero Romano di Occidente fino all’anno Mille) sarebbe stato di tale decadenza culturale da aver completamente dimenticato importanza della cultura greca. Tant’è che si dice che sarebbero stati gli Arabi, durante il cosiddetto periodo "abasside", a far sì che l’Occidente si riavvicinasse ai classici greci e alla filosofia di quella cultura. S tenga presente che una simile convinzione è funzionale anche a ciò che negli ultimi tempi si vuole diffondere e cioè che le radici dell’Europa non sarebbero solo greco-latine e cristiane, ma anche islamiche. Insomma, come si suol dire: due piccioni con una fava": da una parte perpetuare la leggenda del Medioevo come periodo oscuro e arretrato in quanto fortemente influenzato dal Cristianesimo; dall’altra affermare l’inconsistenza culturale di chi sente l’Occidente minacciato dall’islam perché tutto sommato lo stesso Occidente avrebbe radici islamiche.
Ma, come dicevamo, si tratta di una sciocchezza. E a dimostrarlo è uno storico francese, Sylvain Gouguenheim, docente alla Scuola Normale Superiore di Lione […] Vediamo che cosa Gouguenheim scrive. Sarò schematico affinché il lettore possa ritenere più facilmente.
1) L’Europa è nata dal’incontro tra Cristianesimo, Ebraismo e cultura classica. Dunque, niente "radici islamiche" dell’Occidente.
2) Non è vero, a differenza di quanto solitamente si afferma, che in periodo alto-medievale l’Europa avrebbe perso i contatti con i classici greci e che poi questi li avrebbe riscoperti grazie all’islam. […]
9) L’Islam non si preoccupò mai di "donare" la cultura greca all’Occidente latino. Avvenne piuttosto il contrario: furono gli europei ad andare a ricercare nel mondo islamico delle opere che non venivano valorizzate. L’"Etica Nicomachea" e la "Poetica" di Aristotele venivano, infatti, costantemente escluse dai musulmani perché ritenute incompatibili con la loro fede. […]
Insomma, più si ricerca e più si scoprono cose interessanti per quanto riguarda l’apologetica storica. E pensate che quando uscì il libro, il povero Gouguenheim fu accusato di "attentare" al principio del multiculturalismo, solo perché si era permesso di scoprire che per quanto riguarda le radici dell’Occidente l’islam non ci ha messo parola. Insomma un vero e proprio reato di "lesa al politicamente corretto" che a Gouguenheim non si poteva affatto perdonare.
È curioso come i signori dell’ideologia mondialista si affannino a cercare ovunque quegli elementi che possano supportare le loro testi multiculturaliste, con la stessa caparbietà e con la stessa acribia con le quali, ottant’anni or sono, gli studiosi del Terzo Reich (e sappiamo bene che un simile paragone manderà su tutte le furie tutto coloro i quali hanno una lunga e scomoda coda di paglia da nascondere) andavano per il mondo, dalle Ande al Tibet, a caccia di "conferme" delle loro balorde teorie antropologiche circa le origini "iperboree" della pura razza ariana, misurando crani e arcate sopraciliari, confrontando stature, pigmentazioni, caratteristiche dei capelli e degli occhi nelle più svariate popolazioni terrestri.
Eppure, mutatis mutandis, la situazione è suppergiù la stessa: anche qui, oggi, si vorrebbe dimostrare "scientificamente" ciò che è indimostrabile, per non dir peggio, ossia che è completamente assurdo e costruito su un castello di presupposti non scientifici, bensì puramente ideologici; questa volta, quel che si vuol dimostrare è che i popoli dell’Europa cristiana erano solo dei barbari ignoranti quando gli islamici erano così avanzati negli studi filosofici, da permettersi il lusso di "passare" proprio a quei barbari la sapienza che Aristotele e gli altri filosofi greci avevano elaborato, ma che era stato poi dimenticato dagli europei degeneri. Insomma: meno male che c’era stato l’islam, fra il VII e l’XI secolo: altrimenti chissà fino a quali infimi gradini di abbrutimento e di auto-degradazione sarebbe discesa la nostra civiltà. Un po’ come oggi, davanti al crollo demografico e alle difficoltà erariali per il pagamento degli stipendi e delle pensioni di vecchiaia, la cultura politically correct vorrebbe convincerci che non solo l’immigrazione/invasione dell’Europa da parte di milioni e milioni di islamici è un bene per la nostra società e per la nostra economia, perché ci salva dalle nostre debolezze e dalle nostre contraddizioni, ma dovremmo essere loro infinitamente grati, e manifestare tangibilmente tale gratitudine allargando ancora di più le politiche di accoglienza e invitando a presentarsi in Europa qualsiasi massa di popolazione lo voglia e lo pretenda.
La fandonia delle radici islamiche della civiltà europea, a sua volta, non è che una delle manifestazioni di un sintomo assai profondo: l’odio e il disprezzo di sé da parte della cultura europea moderna; odio e disprezzo che, guarda caso, hanno incominciato ad emergere, fino ad imporsi quale chiave di volta di tutta la cultura oggi dominante, a partire da quando essa ha incominciato la sua battaglia contro il Cristianesimo, che l’aveva generata e resa feconda, che le aveva conferito slancio e vitalità, che l’aveva spinta ad innalzare le cattedrali e a diffondersi, con la crescita demografica e con l’opera dei missionari, anche al di fuori dei propri confini, dopo aver trovato in esso il proprio nucleo essenziale e quel serbatoio di energie morali e materiali che l’hanno sempre sostenuta nei momenti difficili. Dai Campi Catalaunici, dove, nel 451, si infrange sulle lance degli ultimi eserciti romani e dei loro alleati germanici la furia di Attila; a Lechfeld, dove, nel 955, Ottone il Grande ferma per sempre il terrore delle scorrerie ungare; a Lepanto, dove, nel 1571, le flotte ottomane vengono arrestate nella conquista del Mediterraneo; a Vienna, dove, nel 1529 e, di nuovo, nel 1683, viene annientato il sogno del sultano turco di piantare la mezzaluna sulla capitale del sacro romano imperatore: sempre la civiltà europea, gli eserciti e le flotte europei, la spiritualità e la cultura europee hanno trovato la forza di respingere le minacce più drammatiche e di riprendere il cammino verso la piena instaurazione della Civitas Christiana.
La verità è che se gli Europei non torneranno alle loro autentiche radici, se non sapranno riscoprire il valore e la perenne vitalità del messaggio cristiano, che ha dato loro gli strumenti per la splendida fioritura spirituale, intellettuale, artistica, scientifica, della loro civiltà più che millenaria, nulla e nessuno potranno salvarli dal tracollo e da una ingloriosa, catastrofica auto-dissoluzione. Il peggior nemico dell’Europa non è fuori, ma nel profondo dell’anima europea moderna, ed è un micidiale miscuglio di relativismo, scetticismo, nichilismo, edonismo, consumismo, indifferentismo religioso. Non è indifferente quale strada si sceglie per arrivare a Dio; e la civiltà europea o ritornerà alle sue radici cristiane, o sparirà del tutto: perché il Vangelo è il suo destino. Senza di esso, non sarà nulla…
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