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Terrore e voluttà: le basi malefiche del paganesimo

Molte persone, anche di buona cultura, non solo di formazione laica, ma anche cristiana, conoscono la figura di Frédéric Ozanam (Milano, 1813-Marsiglia, 1853), beatificato da Giovanni Paolo II nel 1997, quasi solo come il fondatore della Società San Vincenzo de’ Paoli, inizialmente nota come Conferenza di Carità; e, oltre a questo, sanno, al massimo, che è stato un forte apologista del cattolicesimo e uno dei maggiori esponenti della rinascita culturale cattolica in Francia nella prima metà del XIX secolo (cfr. anche il nostro precedente articolo: «Il cristianesimo per Frédéric Ozanam è la formula necessaria all’umanità», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 02/01/2012).

Eppure, Ozanam non è stato solo questo: è stato anche uno storico insigne, autore di studi e ricerche — specialmente di medievalistica — che rivelano in lui la tempra del pensatore, lo scrupolo del filologo, l’acume del critico letterario; e, cosa più importante di tutte, non ha mai permesso alla sua fede religiosa di fargli ombra nel giudizio storico, mantenendosi sempre lucido, pacato e razionale nel formulare le sue valutazioni. In breve, è stato l’anti-Gibbon e l’anti-Voltaire, ma senza nulla della loro faziosità, e, d’altro lato, senza nulla del manicheismo un po’ bigotto di certi apologisti cattolici: ha esaltato, al contrario, il ruolo della ragione e ha mostrato come sia stato il cristianesimo, in lotta col paganesimo, a salvare la dimensione speculativa della cultura europea, e, pertanto, a creare i presupposti per la nascita del pensiero scientifico moderno.

Fra le sue numerose e poderose opere storiche, alcune basate su documenti inediti, nelle quali si rivela, fra l’altro, assai versato sia nell’italianistica (era un grande conoscitore e ammiratore di Dante), che nella germanistica (onde seppe vedere, a differenza di Gibbon, la fecondità della fusione tra romanità e germanesimo), spicca un autentico gioiello: un penetrante saggio di oltre 500 pagine sull’affermazione del cristianesimo sul paganesimo e sulla duplice assimilazione, da parte della Chiesa cattolica, della cultura classica e dei popoli germanici, intitolato: «La civiltà cristiana nel suo primo formarsi (il secolo quinto)», tradotta dal francese, per la Società Editrice Internazionale di Torino, da Antonio Cojazzi, nell’ormai lontano 1941, in piena Seconda guerra mondiale; e da allora, significativamente, non più ristampata. Si tratta della raccolta di una serie di lezioni che Frédéric Ozanam, professore universitario, tenne alla Sorbona nell’anno accademico 1850-51, con il titolo «La Civilisation au Ve siècle», che formano il primo e il secondo volume delle sue «Œuvres Complètes», che, nell’edizione originale francese, recava, in appendice, un saggio del 1850, intitolato «Des écoles et de l’instruction publique en Italie aux temps barbares».

È un’opera affascinante, scritta in uno stile limpido e chiaro, senza fronzoli, e tuttavia naturalmente elegante; un’opera che andrebbe letta interamente, per coglierne e apprezzarne in maniera deguata il filo conduttore: che è dato dal riconoscimento che la Chiesa cattolica ha saputo preservare dalla distruzione la parte migliore della cultura antica, e che essa non ha affatto umiliato la ragione, come sostennero gli illuministi, anzi, l’ha esaltata e le ha dato il massimo riconoscimento e la massima autonomia. Dopo la vittoria definitiva sul paganesimo, la Chiesa avrebbe potuto bruciare i testi della letteratura e della filosofia greca e latina; al contrario, è stata essa a salvarli dal naufragio, a ricopiarli negli scriptoria dei monasteri, a insegnarli nelle scuole vescovili. Inoltre, quando la cultura pagana ormai languiva e la poesia pagana non riusciva a produrre che stanche imitazioni di Virgilio, e la prosa non sapeva far di meglio che disquisire su astruse questioni filologiche del tutto avulse dalla vita, la cultura cristiana produsse un fiume vivace di nuovi autori, nuove idee, nuovi stili e nuove opere, che ridiedero slancio e prestigio alla lingua latina, già avviata sulla china di una inesorabile decadenza. Ma l’opera più importante realizzata dalla Chiesa per il progresso dell’umanità (Ozanam è un sostenitore dell’idea di progresso, ma in senso morale e spirituale: e, come cristiano, non potrebbe non esserlo) è stata quella di aver bonificato la coscienza degli uomini dagli aspetti più abietti del modo di vivere pagano, la crudeltà e la lussuria, culminati nella "sacra prostituzione" e nelle cruente mattanze del Colosseo, ridotte a spettacoli di divertimento, e che nessun intellettuale romano — con la sola eccezione di Seneca — ebbe mai la forza di condannare, neppure Cicerone. Per merito del cristianesimo, l’uomo vecchio, intessuto di crudeltà e di sensualità, ha ceduto il passo all’uomo nuovo annunciato dal Vangelo, capace di pietà e di pudore.

Ozanam fa l’esempio di Quinto Aurelio Simmaco, il più grande, il più colto, il più intelligente e il più sensibile campione del paganesimo nella sua ultima fase: e riporta quella lettera, ove egli si lamenta perché una trentina di schiavi sassoni, da lui acquistati per essere destinati agli spettacoli circensi, hanno avuto il cattivo gusto di strangolarsi con le loro stesse mani, per privare il popolaccio romano del sadico piacere di assistere alla loro morte (cfr. il nostro articolo:«La battaglia del Frigido e la fine del paganesimo», pubblicato sul sito del Centro Studi La Runa in data 18/04/2011). Se questo fu il migliore dei pagani, egli osserva a ragione, se ne può dedurre quale tipo di morale esprimesse il paganesimo, nel momento in cui venne definitivamente soppiantato dal cristianesimo: e ciò, per chi possieda anche solo un minimo di obiettività e di onestà intellettuale, dovrebbe rappresentare di per sé la risposta eloquente alla tesi di Gibbon, che, cioè, la vittoria del cristianesimo fu la vittoria della barbarie, dell’ignoranza e della superstizione, sopra una concezione raffinata e aristocratica della vita.

I moderni nipotini di Gibbon e di Voltaire (attenzione a non sottovalutarli: hanno in pugno la cultura odierna, dalle cattedre universitarie ai libri di testo; basti vedere l’idea corrente che esiste sul Medioevo, e che è bene espressa da un romanzo come «Il nome della rosa» di Umberto Eco, best-seller mondiale assoluto, con circa 50 milioni di copie vendute), di solito, a questo punto, sfoderano quello che considerano il loro asso nella manica: Plotino. Essi contrappongono la nobile filosofia dei neoplatonici alla pretesa "rozzezza" del cristianesimo; ma, soprattutto, rivendicano al neoplatonismo il vanto di aver difeso il ruolo della ragione contro una fede — quella cristiana — accusata di essere semplicistica e superstiziosa, adatta alle masse incolte, ma indegna delle speculazioni di un qualsiasi pensatore appena un po’ evoluto.

Ora, a parte il fatto che quella rozza fede ha fornito materia di speculazione a menti eccelse, come quelle di Agostino e di Tommaso d’Aquino; e a parte il fatto che è un merito del cristianesimo, e non un demerito, aver saputo fare quello che il paganesimo non tentò nemmeno: gettare un ponte fra la cultura delle classi superiori e quella del popolo, resta il fatto che il neoplatonismo, pur coi suoi indubbi meriti (che Ozanam riconosce di buon grado, così come altri aspetti positivi della cultura pagana), non ha esalato la ragione, ma l’ha frammischiata ai fumi della teurgia, della magia, della demonologia (cfr. Il nostro precedente articolo: «Come gli dèi del paganesimo diventarono demoni», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» in data 18/07/2015). Inoltre, per colmo di paradosso, Plotino, sostenitore di una visione talmente spirituale della realtà, da vergognarsi — come notò un contemporaneo — di possedere un corpo, in pratica finisce per cadere in una concezione francamente panteista, il che equivale a divinizzare quella stessa materia che tanto disprezza. Di qui, uno sdoppiamento penoso, una vera e propria schizofrenia: da un lato, l’anima umana aspira a tornare nelle regioni sublimi dell’Uno, a dissolversi nell’Anima universale; dall’altro, Dio è il mondo e il mondo è Dio, in un panteismo che esclude la libertà del volere, tanto di Dio che dell’uomo: entrambi sottoposti a una rigida necessità, che ricorda quella degli Stoici.

Citiamo una pagina dal libro di Ozanam, affinché il lettore possa farsene un’idea (pp. 83-86):

«Il paganesimo pervertiva l’umanità sviandola dal bene supremo con due immani passioni: il terrore e la voluttà. L’uomo ha bisogno e paura di Dio. Ne ha paura come ha paura dei morti, come ha paura dell’altra vita, e di tutte le cose misteriose e invisibili. Ne è attratto invincibilmente, e, ciò non ostante, lo fugge, ne evita fino il pensiero, e un tale sgomento che lo allontana dal suo ultimo fine è l’origine di tutti i suoi traviamenti. A prima vista, il paganesimo sembra in tutto la religione del terrore. Sfigurando il concetto di Dio, era riuscito a renderlo più oscuro, più minaccioso e più truce per la fantasia umana. La natura, proposta dal paganesimo all’adorazione dell’uomo, appariva come una forza cieca, senz’altra legge che i formidabili suoi capricci, i quali facevano scattare i fulmini e tremar sull’asse la terra, e si rivelavano nei fenomeni vulcanici della campagna di Roma. Il Romano, posto in mezzo ai suoi trentamila dèi, di cui aveva popolato il mondo, doveva trovarsi in una ammirabile sicurezza e confidenza; invece era tutto agitato e inquieto. […] Non vi può essere nulla di più strano e di più istruttivo che il sistema di scongiuri e di osservazioni insensate con cui il popolo più assennato della terra intendeva d’incatenar la natura. Tuttavia, presto o tardi, questa potenza terribile spezzava i vincoli e si vendicava del’uomo mediante la morte. […]

Ultima dominatrice pertanto del mondo pagano restava la morte, ed ecco perché il sacrificio umano fui l’ultimo sforzo nella liturgia del paganesimo. Gli dèi infernali specialmente, le anime degli antenati, pallide, macilente ed erranti intorno al sepolcro, domandavano sangue.[…] Già regnava Costantino e con lui regnava il Cristianesimo, eppure i sacerdoti pagani tutti gli anni offrivano ancora una tazza di sangue umano al oro Giove Laziale. Invano i Romani avevano vietato ai barbari di strozzar vittime umane: ne davamo essi stessi l’esempio. Nel secolo terzo, troviamo ancora sacrifizi umani in Arcadia e nell’Africa. Tutte le leggi della civiltà non riuscivano a soffocare questi istinti di bestia selvaggia, ai quali il paganesimo toglieva il bavaglio in fondo all’anima dell’uomo decaduto. […]

Ma l’uomo non poteva fuggire il vero bene, senza dar la caccia ai beni fallaci. Il terrore che l’allontanava da Dio lo cacciò a capofitto nella concupiscenza e il culto del terrore diventò la religione della voluttà. Qui occorre svelare gli ultimi eccessi dell’errore, non fosse altro che per disingannare molti intelletti, i quali, colpito dalla severità del Vangelo, si volgo con rimpianto verso l’antichità e domandano in che cosa la civiltà romana fosse inferiore alla civiltà del Cristianesimo.

Se la natura presenta dappertutto lo spettacolo della morte, non prodiga meno lo spettacolo della vita. L’uomo vi scorge la potenza con lui ingenita di perpetuare la propria specie, e della quale può abusare per la propria rovina. Sente esalare intorno non so quale incanto dannoso che può fargli dimenticare i suoi destini spirituali. Invece di difenderlo contro una tale ebbrezza dei sensi, il paganesimo ve l’immerse profondamente e gli fece adorare nella natura la potenza che propaga la vita. Questo culto smagliante, che aveva tra i suoi iniziato Fidia e Prassitele, scelse un segno oscenissimo per riassumere tutti questi misteri, ed era quello che si portava in processione per le città e le campagne del Lazio per le feste di Bacco, con cerimonie nelle quali le più illustri matrone avevano una parte obbligata, mentre i canti e il gesto che accompagnavamo la sacra pompa non lasciavano a quelle donne alcun dubbio intorno al significato di quanto esse facevano. […]

Dopo aver adorato l’amore, che fa scorrere, che fa scorrere la vita nella natura, furono divinizzate le voluttà innominabili che sconvolgono tutta la natura. Non si poteva celebrare più degnamente l’apoteosi della carne se non sacrificandole la bellezza e il pudore. Così la prostituzione divenne culto. Essa a Cipro, a Samo, a Corinto, sul monte Erice, eresse templi in cui servivano a migliaia le cortigiane. Così aveva anche la lussuria le sue vittime umane. E così il terrore e la voluttà, i due mali geni del paganesimo, spingevano l’uomo nel medesimo abisso. Nel suo allontanarsi dal sommo bene era pervenuto sino alla divinizzazione del male, sino all’adorazione di esso, sotto il duplice aspetto della distruzione e della corruzione, fin a servirlo con il corrompere e distruggere l’uomo. In faccia a un tale traviamento, in faccia a un culto oltraggioso per l’intelletto, che santificava l’omicidio, che stipendiava l’impurità, scrive S. Agostino: "i cristiani, rendendo onore alla natura umana, non potevano credere che fosse di per sé caduta cos’ì in basso e trovarono cosa più pia il pensare che solo lo spirito del male avesse ideato tali orrori, e immaginato quel mezzo per degradare l’uomo e così farselo schiavo" ("De Civitate Dei", VII, 27).»

In Frédéric Ozanam vi è la serenità dello storico che sa contestualizzare i fatti, ma anche la finezza del pensatore che sa leggerli sullo sfondo del grande dramma della storia universale: storia di progresso e di salvezza, quando gli uomini si pongono alla ricerca disinteressata del sommo bene; storia malefica, grondante sangue e disordine morale, quando, volte ad esso le spalle, si mettono ad inseguire affannosamente dei beni parziali e ingannevoli, tentando di stordire la loro disperazione.

Ed è una riflessione che ha moltissime cose da dire anche all’uomo di oggi, egli pure tentato di far di sé il proprio dio: ma, come osserva Ozanam, l’uomo è il peggiore fra gli idoli di sua invenzione…

Fonte dell'immagine in evidenza: Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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