
Hanno perso l’umiltà perché hanno perso la fede
28 Luglio 2015
Quando l’albero della scienza del bene e del male cederà il posto all’albero della Vita
28 Luglio 2015Dell’ammiraglio Wilhelm Franz Canaris (1887-1945), comandante dell’Abwehr o Servizio segreto militare tedesco, durante la Seconda guerra mondiale, condannato a morte dal regime hitleriano agonizzante pochi giorni prima della fine del conflitto, è stato detto tutto e il contrario di tutto: traditore e patriota, astutissimo e ingenuo, buono e cattivo.
È stata, senza dubbio, una figura enigmatica; eppure, l’enigma Canaris, se decifrato almeno in parte, offre la possibilità di comprendere meglio come si posero le forze conservatrici della Germania, e soprattutto i quadri delle Forze Armate tedesche, rispetto al regime nazista che andò al potere, non dimentichiamolo, in maniera relativamente improvvisa e inaspettata, al principio del 1933, dopo che i seguaci di Adolf Hitler erano stati una sparuta minoranza per oltre un decennio; e aiuta a comprendere quello che, per i non tedeschi, è e rimane un mistero, anche se in effetti non lo è per niente: vale a dire come mai la resistenza contro la dittatura hitleriana, sempre più arrischiata (lo stesso Hitler è stato paragonato a un giocatore di poker che compie dei "bluff" pericolosissimi, uno dopo l’altro) e sempre più criminale, sia stata così scarsa, così tardiva, così inefficace, anche nell’ambiente militare, che aveva alle spalle, comunque, una tradizione di senso dell’onore e di correttezza professionale ben collaudata.
Ai non tedeschi, infatti, e specialmente agli intellettuali nostrani, imbottiti di buone intenzioni e di saggezza a posteriori, politicamente corretta, piacerebbe immaginare che le Forze Armate tedesche e i circoli politici e sociali conservatori, che ne costituivano il principale sostegno, avessero prodotto centinaia di Rommel e migliaia di Stauffenberg, magari non a Seconda guerra mondiale inoltrata, e già presumibilmente perduta, ma prima, molto prima, per esempio fin dai tempi della rimilitarizzazione della Renania, o dell’Anschluss austriaco, o della conferenza di Monaco, oppure, ancora, del colpo su Praga e della proclamazione del Protettorato tedesco sulla Boemia e sulla Moravia, vale a dire con la definitiva liquidazione della Cecoslovacchia e con la sfida, ormai aperta ed esplicita, alle democrazie occidentali. In effetti, in tali occasioni vi fu, nei circoli militari superiori, e specialmente attorno alla personalità del generale Ludwig Beck, una vaga idea di sbarazzarsi del dittatore, prima che la sua politica conducesse la Germania al disastro; ma poi la cosa sfumò velocemente, davanti agli incredibili successi che Hitler riportò nella sua pregiudicata politica internazionale.
Canaris, dunque. Proveniente da una famiglia di lontane ascendenze greche o italiane, cadetto nella Marina imperiale nel 1905, poi tenente di vascello a bordo dell’incrociatore «Dresden», si trovava in pieno Oceano Atlantico allo scoppio della Prima guerra mondiale, e condivise l’avventurosa, quasi romanzesca, epopea di quella nave, posta al comando del capitano Ludecke. Così, essa fu dapprima al fianco della Squadra dell’Estremo Oriente di Maximilian von Spee, nella vittoriosa battaglia di Coronel, al largo delle coste del Cile (1° novembre 1914) e nella successiva, tragica sconfitta delle Isole Falkland (8 dicembre); poi, completamente sola, dovette fuggire attraverso il dedalo dei canali magellanici, ove il «Dresden» si tenne acquattato per tre mesi, mentre numerose navi britanniche gli davano la caccia in lungo e in largo.
Infine l’incrociatore tedesco riprese il mare aperto e tentò la fuga lontano dal Sud America, ma venne intercettato da tre navi britanniche e costretto ad autoaffondarsi, davanti all’isola di Mas a Tierra, nell’arcipelago Juan Fernandez, benché si trovasse in acque cilene e quindi neutre (14 marzo 1915). Il comandante inglese, John Luce, fece quindi catturare i marinai tedeschi, più di 300 uomini (quattro dei quali erano morti nel breve scontro a fuoco e altri quindici erano rimasti feriti), per assicurarsi che venissero internati in un campo di prigionia del Cile, sino alla fine della guerra, secondo le leggi internazionali — che però egli per primo aveva violato, attaccando battaglia nelle acque territoriali d’una nazione neutrale.
Canaris venne anch’egli internato, insieme ai suoi compagni, ma poco tempo dopo, nell’agosto del 1915, trovò il modo di fuggire e attraversò la Cordigliera delle Ande con una marcia leggendaria, portandosi così in Argentina, di dove, arrivato alla costa, si imbarcò audacemente per la Germania e fece ritorno, violando il blocco marittimo alleato, giusto in tempo per ricevere la Croce di Ferro e per vedersi assegnato, grazie alle notevoli capacità dimostrate, al nascente Servizio segreto della Marina. Nel 1916 lo troviamo già in Spagna, impegnato nell’esercizio delle sue nuove funzioni; sfugge ad un attentato degli agenti segreti britannici e riesce a tornare nuovamente in patria nel 1918, questa volta destinato a comandare dei sommergibili nel Mediterraneo, ove avrà la ventura di affondare la bellezza di diciotto navi dell’Intesa.
Dopo la guerra, Canaris dapprima aderisce ai Freikorps, formazioni militari che combattono i rivoluzionari dell’estrema sinistra (fa anche parte della corte marziale che processa e assolve gli assassini di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg), indi riprende servizio nella Reichsmarine, la Marina da guerra provvisoria della Repubblica di Weimar, svolgendo anche importanti funzioni nei servizi segreti. Comandante di una corazzata nel 1922, capitano di vascello nel 1931, nel 1935, mentre Hitler rifonda la Kriegsmarine, erede della vecchia Marina imperiale, Canaris raggiunge la carica di capo dell’Abwehr, il Servizio segreto militare, con il grado di ammiraglio.
Non è questa la sede per rievocare la sua carriera come capo supremo dei servizi segreti durante la Seconda guerra mondiale, sulla quale è stato già scritto moltissimo, così come sulla sua lotta sotterranea, senza esclusione di colpi, con Reynhard Heydrich, capo del Servizio segreto delle S.S., l’uomo di Himmler. Fu una lunga, serrata, implacabile partita con la morte, durante la quale Canaris mostrò ad amici e nemici le sue ammirevoli doti umane e, insieme ad esse, i suoi gravi difetti: la sconfinata generosità verso il il prossimo, ma anche la tendenza a fidarsi eccessivamente di chi fosse entrato nelle sue simpatie. In fondo, egli era un misantropo dal cuore d’oro; un uomo intelligente, colto e molto sensibile, ma del tutto inadatto a ricoprire il ruolo di capo del Servizio segreto militare. A ciò si aggiunga la contraddittorietà della sua posizione, in quanto sinceramente desideroso di vedere affermata la grandezza della sua patria nel mondo, e altrettanto ardentemente desideroso di vedere abbattuto il regime di Hitler. Ma si trattava, in ultima analisi, del dilemma di un intero ceto politico e militare, anzi, di una intera classe dirigente, allorché Hitler prese il potere e il destino del nazismo e quello della Germania parvero, d’un tratto, legarsi indissolubilmente, per la vita e per la morte.
Arrestato pochi giorni dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 e trasferito nell’Accademia della Gestapo, poco lontano da Berlino, ove rimase alcuni mesi, nel febbraio del 1945, avvicinandosi la fine del Terzo Reich, venne nuovamente trasferito, questa volta nel campo di concentramento di Flossenburg, ed ivi impiccato, con una corda da pianoforte, il 9 aprile. Alla vigilia dell’esecuzione, conoscendo il proprio destino, aveva affidato a un compagno di prigionia quest’ultimo messaggio: «La mia ora è arrivata. Non sono stato un traditore; ho fatto solo il mio dovere di tedesco. Se sopravvivrai, ricordami a mia moglie.»
Particolarmente interessante, oltre che acuto ed equilibrato, ci sembra il ritratto che ha fatto di quest’uomo enigmatico un testimone che ebbe realmente le mani in pasta, Walter Hagen, uomo di punta del Servizio segreto tedesco all’estero, durante la seconda guerra mondiale, nel suo prezioso libro di memorie (W. Hagen, «La guerra delle spie»; titolo originale: «Die Geheime Front»; traduzione dal tedesco di Massimiliano Wiesel, Milano, Garzanti, 1952, pp. 73-6):
«Canaris fu una personalità assai complessa e di natura tale che difficilmente si poteva scorgerne il fondo. Era un uomo che sapeva dare l’impronta del suo modo di pensare personale ad ogni attività del suo organismo in forme d’una semplicità quasi ingenua. Canaris era un buon patriota tedesco. Egli auspicò l’ascesa della Germania a grande potenza sotto Hitler ed era orgoglioso di poter contribuire a questo sviluppo di carattere internazionale da un’alta posizione direttiva. Ma nello stesso tempo era un avversario convinto e deciso del nazismo. Questa mentalità dominò sempre il suo atteggiamento e spiega talune contraddizioni del suo operato che lo fecero giudicare persona poco fidata. Se Canaris non fu nazista, ciò avvenne non solo per le sue riflessioni personali, ma altrettanto e forse anche maggiormente per antipatia sentimentale. Egli era ipersensibile in modo tale, che sembrava inspiegabile come egli potesse avere scelto la carriera militare. Questa sua straordinaria sensibilità gli faceva profondamente disprezzare ogni manifestazione di forza. Perciò non aveva alcuna simpatia per quel tipo di soldato che proprio nella Wehrmacht, come del resto in ogni esercito del mondo, era considerato come modello: il coraggioso, bravo, risoluto e perciò decoratissimo ufficiale o soldato. Ogni decorazione di guerra eccitava in lui una specie di risentimento. Se un ufficiale con la croce di guerra gli si presentava, poteva essere quasi sicuro di non ottenere nulla da lui. Più tardi si sviluppò in lui anche l’antipatia per le uniformi e per qualsiasi espressione esteriore militare. Egli amò l’abito borghese ed una grande riservatezza. Questo tratto antimilitarista del suo carattere che va considerato come un’istintiva protesta contro l’esagerata importanza data abitualmente in Germania al fattore militare, lo condusse talvolta ad accordare la sua preferenza ad individui che si professavano anti-militaristi, non per profonda convinzione, ma piuttosto per qualche deficienza umana. Spesso diede così la sua fiducia a persone che non la meritavano e ne ebbe gravi guai. La bontà e l’altruismo di Canaris non conoscevano limiti. In tutta la Germania si sapeva che ogni perseguitato politico poteva trovare un rifugio in seno all’Abwehr; tale fatto fu molto sfruttato. Non chiedevano l’aiuto di Canaris solamente persone politicamente o per ragioni di razza perseguitate dal nazismo, ma anche lestofanti e truffatori d’ogni genere, individui di un pessimo passato ed intriganti di professione. Tutti costoro si misero sotto la sua protezione per non essere chiamati sotto le armi per il servizio in guerra o per avere posti che permettessero la realizzazione di grossi guadagni senza correre gravi rischi. La larghezza di Canaris quando si trattava di fare del bene ad altri e la sua scarsa conoscenza della natura umana diedero molto filo da torcere ai suoi dipendenti e qualche volta anche gravi preoccupazioni. Se l’Abwehr ha potuto essere all’altezza dei suoi compiti con questo materiale umano così eterogeneo, è merito dei suoi capi. Ogni servizio segreto attira elementi equivoci e individui ai quali piace vivere pericolosamente. La debolezza del capo aumentò oltre misura questa forza naturale di attrazione. Non era impossibile che sotto il regime di Canaris, degli elementi poco chiari prendessero possesso di posizioni chiave e esercitassero la loro nefasta influenza sul capo. Scandali clamorosi di corruzione erano all’ordine del giorno, ma il capo impedì sempre una radicale ripulitura dell’ambiente e cercò di mettere una cortina di silenzio su tali vicende. Gli innumerevoli nemici dell’Abwehr nel partito nazista, nella polizia segreta, nei servizi di sicurezza e nella Wehrmacht, ad ogni modo, ne ebbero sufficienti informazioni per poter arricchire il loro già voluminoso materiale di accusa contro Canaris e la sua organizzazione. Con tutte le sue grandi qualità tecniche Canaris costituì per l’Abwehr piuttosto un peso, perché il suo disinteresse per le questioni organizzative portò infine ad una situazione molto prossima al caos. Molto temuti erano i suoi viaggi di ispezione, perché gli uffici da lui visitati erano messi a soqquadro in modo tale che dopo la sua partenza rimanevano nella più completa disorganizzazione. I capi dei reparti dell’Abwehr, conoscendo quanto succedeva negli uffici periferici in tali occasioni, lo facevano seguire da uno specialista che aveva il compito di rimettere tutto a posto senza alcun rispetto per le istruzioni lasciate dal capo. Canaris, una volta ripartito, non s’interessava più di sapere se i suoi ordini erano stati eseguiti. Questo capriccio prese con l’andare del tempo il carattere di una vera mania. Il suo impulso dinamico lo spinse a viaggiare incessantemente. Non poteva più stare fermo in un posto. Giustificandosi anche con futili pretesti viaggiò come un perseguitato in tutte le direzioni. Non aveva più alcun riguardo per la famiglia per quanto la moglie e la figlia nutrissero per lui un grande affetto. Neppure feste come il Natale egli le trascorse in famiglia, , sebbene non vi fosse alcuna ragione per rimaner fuori di casa. Questa necessità patologica di Canaris di cambiare continuamente residenza aveva, nel suo subcosciente, le stesse origini del desiderio di non avere rapporti con i propri simili. Questo uomo così buono che aveva aiutato tante persone degne e indegne non era, in fondo, legato a nessun individuo. Aveva, invece, un affetto illimitato per i suoi cani. Disprezzo dell’essere umano ed esagerato amore per le bestie si trovano spesso abbinati nel cuore umano e quanto più grande è il primo, tanto più esagerato si manifesta il secondo. I bassotti di Canaris erano il terrore del suo "entourage". Il buono stato di salute di essi era la cosa più importante per lui, che li poneva sempre e dappertutto prima degli uomini. Un piccolo disturbo gastrico dei suoi cani poteva provocare gravi depressioni psichiche nel capo e metterlo nella impossibilità di fare qualsiasi lavoro.»
Vi sono degli individui, delle personalità umane, che continuano ad essere enigmatici, suggenti, inafferrabili, anche davanti allo sguardo più acuto e indagatore; che non si lasciano penetrare mai del tutto, per quanti sforzi si faccia: ebbene, Canaris fu una di tali personalità, tanto strane quanto affascinanti.
Il libro di Walter Hagen ci aiuta, e non ci aiuta, a gettare un poco di luce in quel mistero fitto, in quella ambigua oscurità. Come uomo, el’ammiraglio Wilhelm Canaris ci appare ancora più enigmatico, ancora più impenetrabile, di quanto potessimo immaginarlo: la testimonianza di uno che lo conobbe, e che lo conobbe piuttosto bene, non asseconda quasi per niente il nostro desiderio di oltrepassare le contraddizioni, talora stridenti, della sua personalità, e di comprendere le bizzarrie della sua condotta. Che fosse un uomo geniale e coraggioso, non vi è dubbio; che fosse un maestro del doppio gioco, come da tanti è stato detto e ripetuto, è opinabile; che fosse adatto a ricoprire il suo incarico di altissima responsabilità, alla guida dell’Abwehr, è cosa alquanto dubbia, per non dire decisamente improbabile.
Che cosa non ha funzionato, nella condotta pratica e, forse, nella psicologia di questo personaggio, che fu guidato, indubbiamente, in tutto il corso della sua vita, da un alto sentire, e, in particolar modo, da un ardentissimo amor di patria? Probabilmente, lo stesso elemento che ha fatto corto circuito nell’insieme del corpo ufficiali delle Forze Armate tedesche: la capacità di scindere, se necessario, il proprio ruolo istituzionale dalle proprie convinzioni etiche e politiche. Beninteso: non era cosa facile; diciamo pure che era cosa difficilissima, quasi impossibile, perché le condizioni storiche erano quelle date allora, e non quelle che i Soloni della storiografia contemporanea, in base ai loro giudizi e pregiudizi politicamente corretti, preferirebbero che fossero state.
Insomma: non era facile trovarsi nella posizione di Canaris: non era facile amare la Germania di un amore sincero e profondo, e, nello stesso tempo, servire ai disegni di colui che, proclamandosene il Führer, e quasi il salvatore, se n’era impadronito, e la stava conducendo, di azzardo in azzardo, di crimine in crimine, verso il disastro totale, materiale e morale.
Questo, e non altro, è stato il dramma intimo di Wilhelm Canaris; che i pregi e i difetti del suo carattere, della sua personalità, possono avere reso più difficile, oppure no, ma comunque in via accessoria e subordinata.
E fu un dramma reale, inscritto nella realtà delle cose; che merita rispetto, ed un pensoso silenzio, da parte nostra.
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